Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

  • Qualcosa che luccica (istanti rubati a #marzo2023)

    On: 3 Maggio 2023
    In: istanti rubati
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    9 marzo
    Eliandro è stato a casa da scuola qualche giorno – influenza
    L’ultimo giorno prima di tornare in classe, quasi del tutto rimesso, si è messo a studiare, mentre io lavoravo al computer. Roba noiosissima. I fiumi più lunghi d’Europa. I laghi più grandi d’Europa. I mari. Come sono fatte le coste: alte e rocciose o basse e sabbiose? Nomi e nomi da mandare a memoria.
    Mamma lo sai che io la odio la geografia.
    Ogni tanto, una pausa insieme. Vieni a vedere, gli dicevo. La finestra di fronte alla mia postazione di lavoro si affaccia sulla campagna. C’è un pioppo smilzo, proprio qui davanti, su cui due gazze stanno costruendo un nido. Ci fermavamo a spiarle. Tra i rami spogli il nido è ben visibile, grosso come un cesto, disordinato come la nostra cucina. Le due bestiole sono instancabili: scovano rametti, li inseriscono nella matassa, ripartono. Lampi nerazzurri dappertutto.
    Continueranno per giorni, abbiamo letto. Poi verranno i piccoli e le prove di volo.
    Lo sai perché le gazze si chiamano ladre, gli ho chiesto.
    Perché se trovano qualcosa che luccica, se lo prendono, mi ha risposto.
    Così, tra un Danubio, una Mar Caspio e una foce a estuario, ci siamo goduti lo spettacolo in prima fila.
    Uno sguardo alle cartine: qui ci siamo stati, ti ricordi i fiordi? qui pure, in questo mare abbiamo fatto il bagno. Ci torniamo?
    Uno sguardo al cielo: guarda, uno è dentro il nido, vedi la testolina? starà arredando?
    Passato il giorno, venuta sera, momento di andare a dormire. Sai mamma -mi ha detto mio figlio- è stata proprio una bella mattina, oggi. Anche se dovevo studiare geografia.
    Mi ha fatto sorridere. Oggi anche noi abbiamo trovato qualcosa che luccica, e ce lo siamo preso.

    23 marzo
    Ogni giorno il giorno anticipa di qualche minuto. Arriva con la sua valigia di ore di luce, batte i vetri della finestra, eccomi, si comincia.
    Questo fine settimana cambia l’ora, mi han detto. So già che quell’ora in meno mi peserà sugli occhi come piombo. Eppure tutto chiede di uscire dal letargo, uscire di casa, uscire nel mondo. Sto leggendo quattro libri contemporaneamente (un record), aro pagine ad inchiostro, nemmeno mi pagassero un tanto a riga. Penso che a breve metteremo giù le zucchine e lo scalogno, manca poco. Bisogna aspettare che passino le gelate di inizio aprile, mi han detto.
    Eppure è tempo di semina sempre, ogni giorno. Semi nelle parole che dici, che scrivi, nei pensieri che concepisci, negli incontri, nelle canzoni che ascolti.
    C’è un seme in quel cielo verso cui alzi gli occhi, nella forma di quella nuvola.
    Semi casuali, fortuiti, o covati a lungo. Semi da scegliere con cura, necessari, sorprendenti. Pensavi non crescesse niente, lì, in quella terra arida e ingenerosa… e invece, cos’è quello strano, imprevisto, bellissimo fiore? È sempre tempo di semina, ogni giorno della nostra vita: non è questo che rende interessante il mondo?

    30 marzo
    Lo yoga è un cammino.
    Così, dopo un numero indefinito di anni che lo pratico, mi sono decisa a mettere una piccola pietra miliare sulla mia strada e, al termine di un percorso nel percorso, nei giorni scorsi ho superato l’esame per diventare insegnante.
    Un piccolissimo traguardo, ma soprattutto, per come la vedo io, un nuovo inizio stimolante.
    Un punto da cui riprendere, quindi. O meglio, continuare.
    La destinazione è ignota, ma la direzione è certa: attraverso la pratica, conoscere me stessa. Attraverso me stessa, conoscere quel che c’è, e, più di tutto, quel che sfugge ai sensi.
    Lo yoga è una strada possibile. Come lo è la scrittura, la meditazione, camminare. Tutte cose che fanno parte del mio modo di stare nel mondo.
    Così avanti, senza fretta. Passo a passo, senza meta, ma con precisa fede nella direzione.
    Grazie a chi mi ha accompagnata fin qui.

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  • “Tu sei qui” (istanti rubati a #febbraio2023)

    On: 6 Marzo 2023
    In: istanti rubati
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    13 febbraio
    E se dovessi disegnare la mappa della tua vita in questo momento, dove ti collocheresti? Hai presente quelle planimetrie con l’indicazione: “tu sei qui”. Tu sei dove?
    Finito l’ennesimo SanRemo, i figli alle prese con pagelle e i primi amori, mani e piedi nel carnevale e i progetti per l’estate, un corso alle porte, inverno al mattino ma la primavera nell’aria nel sole tiepido del dopopranzo, una storia e le parole per dirla, kefir a colazione, cercare un trattamento antirughe, cercare un volo a buon prezzo (per dove?), il Montana di Watson, lo yoga, la sera Carlo Magno e i verbi irregolari, treni da prendere e una casa -dolce casa- a cui tornare.
    La luna rimpicciolisce ogni notte, verrà quella nuova, e tutto sommato quel che vorrei è restare a lungo nel “tu sei qui” dove sto.

    24 febbario
    Quando i bambini erano piccoli, facevo fare loro un giochino.
    Li facevo mettere accovacciati per terra, chiusi a uovo, la fronte sul pavimento.
    E’ inverno, la terra dorme.
    Tutto è silenzio.
    Tutto è in pace.
    Poi, con i primi raggi di sole, qualcosa si muove.
    A quel punto allungavano un braccio dietro la schiena e un ditino faceva capolino.
    Il germoglio cominciava a diventare piantino, arbusto, poi albero.
    Lentamente -il bello di tutto era la lentezza- si trovavano in piedi, le braccia verso l’alto, rami contro il cielo.
    Gli piaceva molto: me lo hanno fatto ripetere non so quante volte.
    Dopo giorni di leggera influenza, febbre, dolori articolari, oggi mi sento meglio e mi è tornato alla mente quel germoglio. È una piccola primavera, sentir tornare le energie e la voglia di fare.
    E lo so che non è solo influenza. Sono i miei giorni così, questi. Si ripresentano ogni anno, da parecchi anni, ormai. Puntuali. Come vengono, poi vanno. Lasciano sempre qualcosa. Non sempre è male. Non sempre capisco cos’è.
    Chiusa nel guscio, comincio a pensare al germoglio. Lo aiuto un po’.
    Faccio yin yoga, corteggio domande futili, cucino zuppe di ceci e fagioli azuki.
    Chiusa nel guscio, mi godo ancora un po’ di calore.
    Aspetto la neve, carezzo il gatto, prendo appunti senza capo né coda, leggo Selma Lagrlof.  Leggo Chandra Livia Candiani – un mazzetto di righe alla volta.
    “So che ogni viaggio disfa, so che ogni viaggio riconsegna. So che si torna sempre”.
    A metà tra inverno e primavera, mi tengo stretta.
    Mi tengo quel che c’è.
    Per quel che ne sappiamo, tutte le cose nascono al buio.

    25 febbraio
    Così sei tu. Refrattario alle mode e alle convenzioni – spirito libero.
    Arrivi a sera portando legna per il fuoco, un fiore raccolto, due o tre giochi di parole e un gioco di prestigio per farci sorridere.
    Così sei tu. Con i tuoi poteri magici semini poesia anche dove non immagini.

    28 febbraio
    Chiamare il marzo.
    Nel mio paese, quello di montagna, è tradizione antica.
    L’ultimo giorno di febbraio si esce in corteo per le strade con pentole e coperchi e mestoli e campanacci e si fa rumore più che si può.
    Sveglia Primavera, è ora. Esci dalla tana.
    Te ne sei andata, mamma, un 28 febbraio di diciotto anni fa. Non ho messo insieme subito le cose, ma ora so. Nevicava, quella notte, c’era un silenzio ovattato sulle strade di Torino. Ma sulle nostre vie dei monti son sicura che ci fosse un gran baccano..

    “Ricordo di aver pensato: non ci sarà mai un momento in cui non ci penso. E avevo ragione. E avevo torto” (Amy Hempel)

    Ciao ma’.
    Mica si piange, oggi. Si urla forte, insieme, si battono i piedi, si fa un casino da far tremare i muri. Primavera verrà.



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  • Son buoni tutti a viaggiare mentre si viaggia (istanti rubati a #gennaio2023)

    On: 6 Marzo 2023
    In: istanti rubati
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    16 gennaio
    Sveglia alle 5.50 (incredibile, il mondo esiste a quell’ora!), uno strato di nebbia semisolida, due ore per arrivare a destinazione, tra tratti in auto, coi treni (due) e a piedi o in tram. Dopo anni di lavoro quasi sempre da casa, dovrò tornare con più regolarità in ufficio. L’entusiasmo non è alle stelle, diciamocelo.
    Però, durante l’avventura al Nord ho preso appunti. Dicevo (scrivevo) che la vera sfida è portare l’atteggiamento del viaggio nelle piccole imprese quotidiane. Son buoni tutti a viaggiare mentre si viaggia… Per cui me lo ripeto qui, per ricordarmelo. Che certo un atteggiamento di stupore e scoperta porta a nuove scoperte.
    Ci provo?
    (Nel frattempo: al bar della stazione non c’è connessione per fare l’abbonamento e il treno è in ritardo. Convoco all’istante i miei aiutanti magici: libri e caffè, salvatemi voi!)

    19 gennaio
    La luce del Nord è una creatura mutevole. Una lentissima volpe artica che esce dalla tana, si muove quasi camaleontica sul manto bianco.Si muove di continuo, anche quando non te ne accorgi, anche dentro l’apparente buio.E una creatura senziente, la luce del Nord. Vede i tuoi pensieri, il modo in cui sei, e qualche volta te lo mostra.Sul treno leggo Jon Kalman Stefansson, quel suo libro incredibile che è “La tua assenza è tenebra”.
    Arrivo a Torino ancora nella notte del mattino ma dentro gli occhi ho i fiordi d’Islanda, Gudridur che sulla sua giumenta cammina incontro allo spavento e alla meraviglia. Incontro alla passione e al tradimento. Cammina dentro la luce già d’autunno che non è molta, che immagino fievole e docile, che la accompagna e parla con lei di quel che l’aspetta.
    (Eh sì, la luce del Nord e i libri di Stefansson rendono il mondo un posto migliore)

    28 gennaio
    Questa mattina, poco prima dell’alba, hanno visto un lupo nel prato vicino a casa nostra. Proprio accanto al confine del nostro prato. Un bel bestione, ci hanno detto. Giovane, arzillo, una testa grossa così. Non spelacchiato e magro come certi altri che si sono visti in giro. Ha attraversato la strada, il campo, per infilarsi nel bosco.
    Mi fa un certo effetto. Vado spesso in giro da sola, anche al buio. Non attaccano l’uomo, dicono. Eppure ci penso. Cosa farei se me lo trovassi di fronte? Mi viene in mente il periodo in cui scrivevo “Quando la montagna era nostra”. Quanto li ho immaginati gli orsi, quelle creature possenti e solitarie, aggirarsi nel fitto del bosco.Fanno così le paure. Ci aspettano acquattate dietro una curva, nella penombra umida della sera. Al risveglio da certi sonni brevi e tormentati.
    Non sono le paure -soprattutto, loro- a dare forma al mondo? Non sono loro a scriverne i confini? A delimitare lo spazio che ci diamo il permesso di esplorare?
    Le mie paure somigliano a queste bestie selvatiche, uscite da un libro di fiabe o da un racconto dell’orrore. Sanno di luoghi spopolati, notti di luna piena, domande che vanno indietro, indietro, fino all’alba del mondo.Un po’ gli rassomiglio, un po’ mi si infilano nei sogni, mi tolgono voce.
    Qualche volta, mi fanno compagnia.




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  • Go to North – Vesteralen e Lofoten Island

    On: 1 Febbraio 2023
    In: viaggi
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    28 dicembre 2022
    Bodo, oltre il circolo polare artico. La chiamano Porta del Nord.
    Ci siamo arrivati ieri notte, il volo due ore in ritardo, mezz’ora a piedi per guardarci intorno, il check in è stato un mazzo di chiavi nella buca delle lettere.
    Oggi ha cominciato a schiarire intorno alle 10. Il paesaggio è indescrivibile. Per terra tutto è neve e ghiaccio, o ghiaccio, o neve ghiacciata e la vera impresa è tenersi in piedi. Camminiamo adagio, quindi, cercando equilibrio, come muovessino ora i primi passi, guardandoci intorno per cogliere più dettagli possibili, per imprimere nella memoria questa luce pazzesca, che adesso, al crepuscolo, non è giorno nè notte.
    All’avamposto del nulla – adesso solo acqua all’orizzonte e montagne basse, imbiancate – aspettiamo il ferry boat.
    Siamo alla porta del Nord, pronti ad attraversarla, su su per il mare della Norvegia, verso la lunga notte polare.

    29 dicembre 2022
    Ieri l’attesa del traghetto per Moskenes è durata ore. Ritardo. Era difficile capire se e quando sarebbe passato (tutto il mondo è paese, quindi).
    Rintanati in una sala d’aspetto/chiosco con cucina orientale, abbiamo aspettato. Leggendo e giocando a carte mentre fuori il buio si infittiva.
    Arriva? Che facciamo se non arriva?
    Ancora una briscola.
    Due pagine di Basho.
    Alla fine, siamo partiti.
    La macchina che abbiamo affittato ce l’hanno lasciata al porto con le chiavi sopra, semisepolta dalla neve. Siamo arrivati alla nostra casetta intorno a mezzanotte, bianco e silenzio e acqua scura tutto intorno: le chiavi erano nella toppa.
    E ancora una volta eccolo qui, il grande maestro Viaggio che viene a dirmi: fidati, affidati. Non puoi tenere tutto sotto controllo.
    Delimiti, recinti, programmi calcolando data e ora, ma la Vita è un vento di tramontana che spariglia le carte, che alza neve ai bordi delle strade e cambia le mappe.
    Allora questo c’è da fare: mettersi comodi e godersi il paesaggio.
    (Questo posto, poi, con le porte aperte e le finestre senza tende, è un ottimo esempio di fiducia nel prossimo).
    E adesso, irriducibilmente verso Nord – le Vesteralen, Sortland e poi su, fino a dove? Vedremo.
    Intanto, andiamo.

    30 dicembre 2022
    Com’era la cosa degli Spiriti Guida?
    Incontrare questi animali, oggi, in un parco semideserto, attorniati dal bianco, dal silenzio rotto dal sibilio del vento, è stata un’esperienza più emozionante di quanto avrei pensato.
    Sono usciti quasi tutti dalle tane, sono venuti a curiosare. (A salutare?) Perfetti ospiti, ci hanno accolti con tutti gli onori. Orsi, lupi, linci, alci, cervi, volpi artiche, buoi muschiati.
    Come era la cosa degli Spiriti Guida?
    Nel dubbio, i miei desideri per il 2023 oggi io li ho confidati a loro… chissà che non mi abbiano sentita.

    31 dicembre 2022
    Andenes. Il luogo più remoto del viaggio, finora.
    Il punto da cui si parte in cerca di balene. Ci siamo arrivati che era buio pesto. Qui anche le ore centrali del giorno non sono che un baluginio, una striscia biancastra all’orizzonte.
    Era buio, dicevo. Ci ha fermati un ragazzo, gli abbiamo offerto un passaggio. Viene dalla Thailandia, è in Norvegia per lavorare. Da Bankok a Andenes, qui, alla fine del mondo. Ci ha offerto un caffè in una stazione di servizio. 
    La luce non veniva e così, senza più aspettarla, siamo andati a camminare sul molo. Il vento era una mano che ti tirava e ti spingeva in ogni direzione e, sotto i piedi, il ghiaccio ti faceva pattinare. Difficile restare in piedi. All’orizzonte: ombre. Poi: mare e poi altra terra e altri monti.
    Non finisce qui, allora, il mondo?
    Non finisce. E allora vi auguro di trovare il vostro punto di equilibrio, e, se lo perdete, trovarlo ancora. E un desiderio potente come un vento che quasi quasi sembra che basti allargare le braccia per alzarsi in volo. Che questo ci salva: un sogno.
    E la voglia di salpare.
    Ogni momento è quello giusto per intraprendere un’azione, anche piccola, che ci faccia sentire che stiamo andando.
    Che c’è nuova luce, nuova terra, anche quando abbiamo l’impressione che sia finita qui.
    Andiamo, allora. Andiamo a vedere.
    Felicità!

    1° gennaio 2023
    Ieri sera, prima di uscire in cerca di alci, fuochi d’artificio e aurora boreale (trovati 2 su 3) come da tradizione abbiamo scritto i nostri desideri/buoni propositi per il nuovo anno su tanti bigliettini che, una volta a casa, metteremo in un barattolo.Stamattina siamo partiti presto. Desideravo fortissimo un caffè, ma niente da fare: il primo dell’anno in Norvegia è quasi impossibile trovare qualcosa di aperto. Siamo arrivati a Nyksund dentro una bufera di neve e ghiaccio che si faticava a tenere aperti gli occhi. Passata nel giro di poco: qui il meteo non annoia mai.
    La Lonely Planet racconta che questo remoto villaggio di pescatori abbarbicato sulle scogliere è una storia di rinascita. Abbandonato nel 1975, a causa di una tempesta che lo ha distrutto, è stato poi ricostruito da un gruppo di artisti. Adesso in inverno ci vivono in cinque. Non abbiamo incontrato nessuno ma abbiamo trovato tracce dei residenti qui e là, sulla neve fresca, nella luce accesa dentro una casa, in un gatto raggomitolato dentro una roulotte.
    Intanto il mare oltre la barriera del porto ruggiva che avreste dovuto sentirlo.
    Chi può vivere qui, dove la strada si inabissa in mezzo alle rocce, tra neve e vento e acqua, sul confine di un mare che dà l’impressione di non pacificarsi mai… Eppure, qualcuno ha avuto il coraggio di ricominciarsi da qui.
    Aggiungo questo, mentalmente, ai miei propositi: ricominciarsi sempre.
    Anche se il mondo non inizia e non finisce. E noi?
    Noi neppure.
    Noi possiamo dare vita a nuove versioni di noi stessi e di quel che ci sta intorno. Che altro serve? Gratitudine, perchè è una cosa mica piccola, questa.
    (Il caffè l’ho trovato intorno alle tre, in una stazione di servizio, dentro una notte già fermissima. Annoto anche questo, caro 2023: molto arriva a chi sa cercare – oltre a: fai scorta di caffeina ogni volta che puoi).
    Buon ri-cominciamento a tutti!

    2 gennaio 2023
    “La conoscenza del movimento costante del presente gli permette di abitare il viaggio”.
    Lo scrive Chandra Livia Candiani a proposito di Basho, autore (fra il resto) di “Lo stretto sentiero del profondo Nord”. Questo libro è stato un colpo di fulmine in aeroporto e ne leggo ogni giorno alcune pagine.
    La frase sopra mi ha fatto molto pensare. Si cerca tanto -nello yoga, nella meditazione- la presenza cosciente. Quell’essere tutto nell’attimo, che riesce meglio (credo) quando ci si dedica ad attività nuove, non ripetitive.
    Fatico a comprenderla. Mi sforzo, ma ho l’impressione che sempre mi sfugga qualcosa.
    Però in quel porto di Bodo, prima dell’imbarco per questo luogo mai visto prima, ero davvero tutta nel presente, con il cuore accelerato per l’emozione. È questo che cerchiamo?
    Abitare il viaggio.
    Abitare l’attimo. Essere lì dove la tua vita succede: questo è il senso? Forse la sfida è portare quel sentimento di possibile nelle cose piccole di ogni giorno. Quando suona la sveglia il mattino e c’è un treno da prendere, un pc da accendre, una moka da mettere sul fuoco, la scatoletta del gatto da versare nella ciotola.
    Il sentiero è stretto, ci dice Basho. Quello che vale la pena raggiungere, merita lo sforzo. Tocca provare.
    Abbiamo raggiunto le Lofoten poco fa. La nuova casa è calda e accogliente. Ci sono calzini di lana nella cesta accanto all’entrata, lucernari sopra i letti, coperte di pecora sulle poltroncine e un vecchio telefono sulla cassettiera. Fuori piove, bevo un black chai e leggo qualche pagina mentre i bambini fanno i compiti. La notte è già incollata ai vetri e le luci delle case in lontananza raccontano un’infinità di storie.
    “Celebre luna
    così mutevole è il tempo
    nel paese del Nord.”
    Basho

    3 gennaio 2023
    Nusfjord è un villaggio conosciuto sulla costa di Flakstadoy. Ci abbiamo trovato diversi turisti italiani, almeno una decina – un numero altissimo per lo standard del viaggio.
    Siamo entrati in un caffè con i tavoli accanto a finestre a picco sul mare, i candelabri a triangolo che usano qui. Di fronte c’era l’esposizione di due artiste norvegesi contemporanee (tele con aurore boreali e deliziose piccole carte con tratteggi di volpi e orsi e foreste e gente in cammino).
    È stato strano e bello, in questo pezzettino di mondo sperduto, incontrare e riconoscere @bookwithoutfrills con cui ci seguiamo su Instagram.
    Vikten lo abbiamo trovato deviando sulla via del ritorno: un villaggio rurale steso sulle scogliere, le case sparpagliate come carte cadute da un mazzo intorno all’unica strada, arrosata dalla luce del tramonto.
    Abbiamo camminato sulla spiaggia – la neve che si trasforma in sabbia, e poi in onde nerissime e all’orizzonte in altre rocce e neve. Abbiamo mangiato pane spalmato di una salsa al bacon spremuta da un tubetto, osservato un’aquila di mare appollaiata su uno scoglio.
    Pochi incontr, qui.
    Un uomo spalava l’ingresso della piccola scuola mentre un bambino tutto intabarrato lo aspettava sul trattore.
    Tre ragazzine bionde sulla strada di ghiaccio, gli sguardi intimiditi e le risate complici, i visi arrossati, i capelli biondissimi nel vento. Intorno a loro il nulla, davanti agli occhi tutta la vita e loro pronte sul bordo, alla vigilia del tuffo.
    Alle loro spalle, tra le montagne aguzze e il mare, una luna gigante si spostava alla velocità di un sottomarino.

    4 gennaio 2023
    L’aurora boreale è un fenomeno atmosferico ma somiglia a una benedizione.
    O è il contrario?

    4 gennaio 2023
    “Nord
    Mille e una notte laggiù.
    Luna nel viaggio
    Tra le aquile”
    Questa mattina ci siamo alzati con l’aurora boreale ancora negli occhi. Mentre mi vestivo (il solito outfit multistrato) ho messo Nord di Paolo Conte in loop.
    Fuori c’erano 10 gradi sotto lo zero, una luna tonda che ci ha seguiti tutto il giorno come l’occhio di Odino e la neve che scintillava sotto i fanali, seminata di lucciole.
    Al supermercato, la cassiera ci ha detto: Sono felice oggi, il sole sta tornando.
    Ma mi creda, avrei voluto dirle, a me basta questa notte polare, questa luce lunare, tutta questa bellezza irreale, che non fa che urlare guardami, guarda dove sei, guarda quello che hai intorno…
    Abbiamo camminato (pattinato) sul lungomare di Eggum mentre i bambini conversavano di un videogioco che vogliono realizzare e si lanciavano di culo sulle scogliere innevate, mentre la notte si scioglieva in rivoli e strisce e bagliori e Paolo Conte cantava nella mia testa, solo per me. Lui cantava e io cercavo parole per dire tutta quella bellezza, ma nessuna era appuntita e potente abbastanza.
    Ho respirato, guardato intorno. Mi son detta Pazienza. A che servono?
    Non servono mica.

    5 gennaio 2023
    Eravamo a Reine, poco prima dell’ora di pranzo, quando Federico ha urlato: guardate là!Il sole. Un’unghia di luce sul mare.
    Per la prima volta da quando siamo qui (ecco cosa intendeva, ieri, la cassiera al supermercato), il disco arancione è uscito dal letargo. Uscito non proprio: ha giusto fatto capolino per dare un’occhiata, per verificare che tutto fosse in ordine. La lunga e inviolata notte artica è finita anche per quest’anno. Comincia un nuovo ciclo.
    Così, nel cuore del duro assedio di Generale Inverno, si intravede il miraggio di nuovo caldo, nuova vita che fiorisce. Non è questo il miracolo? Questa ruota che gira, questo eterno andare verso qualcosa.
    Oggi il vento era scatenato e stare fuori a lungo difficile. Abbiamo attraversato in auto Flakstadoy, ho camminato sola sulla sabbia bianca della spiaggia di Ramberg. Guardandomi intorno, mi aspettavo a ogni istante di vedere sbucare Gandalf con il suo bastone ritorto o una creatura del regno di Narnja.Il sole si è mostrato per una mezz’ora soltanto -un’alba mischiata al tramonto- prima di tornare a cedere lo scettro alla lucentezza della luna. Ma la sua coda rosata ha trasformato il paesaggio un’altra volta: un altro piccolo grande gioco di prestigio di questo cielo irreale.

    6 gennaio 2023
    Henningsvaer è chiamata la Venezia delle Lofoten.L’abbiamo attraversata a piedi, le mani sprofondare nelle tasche per tenerle al riparo dal vento gelido che da un paio di giorni ti segue persino nel sonno e al mattino alza sbuffi di neve e ghiaccio sulle strade bianche.
    Ci siamo rifugiati in un caffè (qui aprono quasi tutti alle 11) pieno di candele di tutti i colori sui tavoli e alle pareti, e ho mangiato una rotella alla cannella per cui potrei sviluppare una dipendenza in due giorni. Massimo tre. Il caffè costa tantissimo ovunque, ma puoi riempirti la tazza all’orlo e servirti di acqua fresca ogni volta che ti va.
    Siamo risaliti in macchina e siamo usciti dalle rotte della Lonely Planet, intorno a laghi ghiacciati dove l’acqua era azzurra e verdina, coperta di arabeschi. Abbiamo attraversato lunghi ponti e visto il mare portare alla terra blocchi di ghiaccio e neve, come nei documentari sul mare Artico.
    Ho l’impressione che sia sulle strade meno battute che si incontra l’atmosfera più autentica.
    Mi sembra di aver scorto lo spirito di queste terre nei villaggi deserti coperti di neve, poche case, un trattore, tutte le finestre accese. Nelle spiagge battute da un vento feroce, nelle stazioni di servizio che aprono per prime nella notte – un caffè lunghissimo, pochi avventori con gli occhi ancora presi dal sonno. Nelle mosse di un vecchio tutto intabarrato sulla soglia di casa, passi cauti nella neve, la luna un lampione.
    Nelle piccole barche di pescatori che ballano al ritmo dell’onda insonne, nelle pale appoggiate vicino alle porte. Nella stella di Natale ancora appesa vicino a una chiesa, nelle orme di chi per primo ha pestato l’ultima neve.

    7 gennaio 2023
    Ieri sera, verso le undici, siamo usciti a fare due passi. Siamo in mezzo al nulla, qui: ci sentiamo a casa. Rientrando, Eliandro e io ci siamo sdraiati nella neve ammucchiata in cortile, abbiamo lasciato le sagome dei nostri corpi.
    Questa mattina siamo partiti in auto senza meta. Con una direzione vaga, e nient’altro. Dall’alto, nel nord di Vestvagoy, ho visto un villaggio che mi ha suscitato qualcosa. Ci siamo fermati poco distante, sono scesa dalla macchina e mi sono seduta nella neve. Un vecchio fienile con il tetto scolorito, un’imballatrice, uno steccato addobbato di lucine. È ancora Natale. È ancora avvento, anche se è passata persino l’Epifania.
    Tutto il paese, visto da lì, dalla riva di un lago ghiacciato, pareva una bestia addormentata e sognante, vegliato dalla luna – la luna piena del segno del cancro.
    i può avere nostalgia di un posto che non conosciamo?
    Delle vite che non abbiamo vissuto?
    (Pare che i tedeschi la chiamino Fernweh. Che loro abbiano una parola per dirlo mi fa sentire meno incompresa).
    Ho camminato sola sulla spiaggia bianca di Haukland Beach, dove la terra si infila sotto l’acqua come un tappeto e il vento alza una polvere di ghiaccio e farina. Siamo scesi tutti e quattro nella spiaggia vicina a fare foto buffe e video di acrobazie, congelandoci a turno le mani.
    Abbiamo mangiato i nostri panini al piccolo porto di Ballstad, case colorate e decorate con grandi murales di azzurri paesaggi marini e volpi acciambellate. Ho bevuto un chai latte a Leknes, in quello che ormai è il nostro solito bar.Mentre i bambini e Federico giocano a Pinnacola, penso al paese misterioso rimasto senza nome, all’erba secca che sbucava qua e là, e penso che domani c’è da preparare la borsa e c’e un traghetto da prendere – prima tappa del ritorno.Penso che il vento, questa mattina, aveva già cancellato le impronte dei nostri corpi nella neve. Il paesaggio nuovamente intatto, come tutte le cose che abbiamo solo immaginato.
    “Seminata l’intera risaia
    ora di andare
    il salice resta”.
    Basho

    8 gennaio 2023
    “Un transatlantico di carta ti regalerò
    E un aeroplano a vela
    Ed un pilota con gli occhiali lo piloterà
    Da questo a un altro cielo
    E un canarino canterino addomesticherò
    Per le giornate scure
    Di quando il mare e il cielo dicono di no
    E non si può viaggiare”
    Abbiamo lasciato le Lofoten che cadeva una neve come chicchi di riso (ci sarebbe da scrivere un trattato, qui, sui tipi di neve. Ci sarebbe da imparare le tante espressioni degli eschimesi per dirla).
    Abbiamo temuto che il traghetto non partisse, con quel mare grosso e il vento. Invece è stato più puntuale che all’andata. Siamo rimasti sul ponte a guardare le montagne appiattirsi nel buio, finché non è rimasta che una labile scia di luci lontane. Poi mi sono inchiodata al sedile, tipo stoccafisso, a prendermi gli schiaffi dell’onda, attenta a non fare troppi movimenti per non patire come all’andata. Nel dormiveglia ripensavo a Basho, allo spirito del viaggio di cui si dice vittima. Me lo immagino, lo spiritello dispettoso, o meglio, lo riconosco: quando ti si attacca al calcagno e un po’ ti frena un po’ ti spinge. So anche io quanto può essere tenace, se ci si mette.
    Siamo sbarcati a Bodo nel tardo pomeriggio. C’è meno neve di una dozzina di giorni fa e il nostro albergo si affaccia sul mare. Non fa nemmeno più così freddo: sarà che arriviamo dal Nord.
    Domani si torna. Ci portiamo a casa una conchiglia, un riccio di mare, un quaderno nuovo con le casette rosse sulla copertina. Per parlare delle cose che si toccano.
    Mi affaccio alla finestra. Mi viene in mente L’areoplano a vela di GianMaria Testa – parte della colonna sonora del viaggio. Mi viene in mente quella sua incredibile dichiarazione d’amore. Perché ci vuole un transatlantico per attraversare il mare. Ma anche un canarino canterino che ti tenga allegro, tra una partenza e l’altra, quando resti al porto.

    Alcune delle cose (oltre a quelle note) per cui -secondo me- vale la pena mettere in calendario un viaggio a Vesteralen e Lofoten in inverno:

    • gli sbuffi di neve e aria ghiacciata sulla strada, come mulinelli-le bolle (un tipo di pane speziato e col cioccolato)
    • i mille tipi di neve: quella in cui sprofondare, quella su cui pattini, quella che si sfarina, quella che il vento porta in giro, quella che scende come chicchi di riso, quella che scende a foglie, le distese che riflettono la luna…
    • bagni pubblici caldi puliti e profumati di buono (quasi tutti)
    • i sacchetti di merluzzo essiccato come snack
    • fermarsi ogni pochi passi a farsi rapire dal paesaggio
    • il traghetto gratis
    • il cappuccino al caramello salato
    • le case con le finestre senza tende, per sbirciare dentro
    • le montagne specchiate nel mare
    • i piccoli camposanto a cielo aperto, con le lapidi semisommerse dalla neve
    • i jingle alla radio-scorrazzare in auto a velocità di crociera sulla E10 e perdersi di tanto in tanto su strade secondarie che sempre portano al mare
    • gli incontri ravvicinati con alci e aquile di mare
    • le decorazioni di Natale e tutte le luci che, nella lunga notte polare, fanno somigliare le case ad accoglienti barche in mezzo al nulla
    • le stazioni di servizio
    • la cortesia e la riservata accoglienza delle persone
    • la luce del Nord, che di continuo trasforma il mondo.

    (La ciliegina sulla torta sono compagni di viaggio adattabili e avventurosi… ma quelli devi portarteli da casa;)

    “Esistono molti modi di vedere il mondo e il nostro punto di vista probabilmente definisce chi siamo davvero.”
    Da “La tua assenza è tenebra” di Jon Kalman Stefansson, l’altro libro che mi ha tenuto compagnia durante il viaggio.
    Grazie a chi ha fatto un pezzo di strada insieme a noi.



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  • non serve che sia perfetto (istanti rubati a #dicembre2022)

    On: 31 Gennaio 2023
    In: istanti rubati
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    1 dicembre
    Un’influenza come questa, da queste parti, non si vedeva da un pezzo.Soprattutto i bambini: non li vedevo così sfiancati da anni, senza nemmeno la forza di guardare la tv. E alla fine ci siamo ammalati anche Federico e io. Verrebbe da dire che sfiga. E invece no. Siamo tutti e quattro insieme, al caldo, un tetto sopra la testa, il camino acceso, i santi nonni che ci aiutano con spesa e medicine, e persino Netflix, quando il mal di testa dà tregua.Non riesco a non pensare a chi il malessere, anche un semplice male di stagione come questo, lo deve affrontare solo, dentro una guerra, senza riparo, cibo, assistenza, su una barca in mezzo al mare, nel freddo di dicembre. Come si fa a non pensarci?
    Vedo i miei figli con la faccia smunta e penso a chi non ha farmaci e medici solerti per poter aiutare i propri. Sembra banale, forse. Ma viene più facile pensare alla fragilità, quando ci si sente fragili.
    Non c’è molto da fare. Essere grati, sempre, e tenere a mente che, anche dai privilegi (e non solo dal potere), derivano grandi responsabilità.

    13 dicembre
    La neve nel giorno di Santa Lucia.Ci sono *coincidenze* che hanno più valore di una verità scolpita nella pietra. Che i nostri occhi possano cogliere anche l’invisibile!

    14 dicembre
    Uscire di casa a notte fonda, la testa ancora dentro certi sogni indecifrabili, che lasciano tra i pensieri una scia vischiosa. Guido nella notte densissima, il primo premio del mattino è il caffè al bar della stazione.
    Ai margini del campo visivo, al bordo della strada, tre ombre in movimento. Agili, scattanti, spariscono nella macchia mentre mi avvicino.
    Tre lupi.
    È possibile?Mi hanno detto che in zona ci sono, ma altro conto è vederli, a due passi da casa… Al modo delle ombre incontrate nei sogni, oggi mi seguono le tre sagome selvatiche. A metà strada tra il vero e l’inventato, l’immaginario e il reale. Come sempre. Come tutto.

    21 dicembre
    Sarà il Solstizio? Oggi è un giorno in cui tutto fa breccia. Il bene, il male. Tutto muove. Le parole lette e ascoltate. Una musica. Le luci intermittenti sull’albero. Una voce in strada. Le fusa del gatto. Vedo una foto dei miei bambini quando erano minuscoli e mi sento come se una lunga mano mi pescasse qualcosa in fondo, qualcosa che avevo scordato e che brucia, freme sottopelle. Mi basta questo.
    Figurarsi se incrocio una notizia sulla guerra, sulla rotta balcanica, sui senzatetto assediati dal gelo. Figurarsi. Il cuore mi si sbriciola e resto lì a raccoglierne i pezzetti sul palmo, a provare a rimetterli insieme.Anche il bene mi rimescola. Mi emoziono per niente. Per un messaggio di poche righe, un ricordo. Una storia qualunque con un lieto fine. Una vecchia canzone. Dei biscotti a forma di stella.
    Sarà il solstizio?
    È un giorno così. Da stare rannicchiati, farsi crescere un’altra pelle, che quella che c’è non basta. Tenersi nel buio, non provare a scansarlo. Lì dove fa male, posare un piccolo bacio. Come si fa coi bambini, quando piangono per un graffio.

    22 dicembre
    Organizzare un viaggio verso una meta ignota è mettere in fila le immagini mentali dei luoghi che visiteremo. Mi piacerebbe poterle conservare in un archivio, non confonderle poi con quelli che saranno ricordi, al ritorno. Tenerli distinti, senza commistioni. Per dire Ecco come pensavo, Ecco invece com’era.Non che contino più gli uni delle altre. Non che la memoria non operi a posteriori le sue scelte per restituirci una sua versione, sempre in movimento.
    Tutto si trasforma.
    Tutto si immagina.
    (Quel che conta, quando si può, è partire)

    24 dicembre
    Non serve che sia perfetto.
    Non serve che ci sia tutto.
    Serve una cosa buona, giusta per noi, che ci fa alzare in questi giorni con quel poco di felicità che basta. Con la serenità di essere nel posto giusto. O, almeno, con la speranza di esserci vicini, al posto che per noi è casa. Auguri.
    Che sia un Natale che ci tiene insieme, che ci dia quel che serve -poco o tanto- che ci fa dire: Grazie al cielo sono qui. Siamo qui.

    27 dicembre
    Auguri mio bimbo magico.
    Non solo sai fare realtà dei sogni, ma anche, dote ancora più rara, sai fare della realtà una miniera di meraviglie. Ti auguro di conservare il tuo cuore grande e il filtro felice con cui guardi tutte le cose.





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  • è che la luce (istanti rubati a #novembre2022)

    On: 12 Dicembre 2022
    In: la mia vita e io
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    3 novembre
    Misteriosa è la vita del capriolo. Ombra che s’addensa ai margini del campo visivo, rumore di foglie e sterpaglie, due salti:sparito. Ma è ancora qui, dietro un dirupo, una curva, un tronco ingobbito: è vicino. Camminare nel bosco è allenarsi a guardare.
    Ma, più di tutto: allenarsi a vedere anche quel che scompare.

    4 novembre
    A volte sembra proprio difficile far succedere le cose come le vorresti. Ti ingegni, ti arrovelli, insisti, riprovi, riparti, ancora e ancora. Ci sbatti la testa, il muso, l’ego. Niente da fare. Quello che stai cercando non arriva. Poi, basta alzare gli occhi, guardare dove stai andando. Camminando a testa bassa ci si dimentica di farlo.
    Davvero la volevi, quella cosa?
    Davvero ti serviva?
    O era forse quello che gli altri si aspettavano che tu volessi?
    Quasi sempre, la risposta chiarisce il risultato. Guardati dall’alto, guarda dove sei, un puntino che si muove sul sentiero.
    Abbi fiducia nella saggezza del sentiero.

    10 novembre
    Persone chiamano altre persone carico residuale.
    Eppure le parole hanno un loro peso – hanno suono, anima, intenzione.
    Non dicevano che è di tutti il cielo la terra il mare il temporale il solleone?
    Io dico che qui si è perso il senso, in mezzo a tante cose futili.
    Lo cerco dove posso, con riti semplici, probabilmente inutili.
    Trovo solo risposte ingenue, che non interessano a nessuno.
    La più facile è: Sì, terra, mare, cielo sono di tutti, e non solo di qualcuno.

    15 novembre
    Sotto cieli altissimi
    mossi dal canto muto delle sirene
    sparpagliamo i giorni.
    Un filo invisibile li inanella come grani – vedremo, domani, la forma che li tiene insieme.

    16 novembre
    In un libro che mi sta piacendo moltissimo, l’analista dice alla protagonista che le madri non dovrebbero avere bisogno dei figli.
    Ci ho pensato su parecchio, e probabilmente ha ragione. Eppure sono 12 anni – e i nove mesi prima, e tutto il tempo passato a maturarli e desiderarli, quei nove mesi e quel che ne è conseguito…
    Insomma, dicevo, a me sembra che sia da tutta la vita -la mia- che ho bisogno di te.
    Auguri amore mio grande, che senza te non sarei più io.

    17 novembre
    (Pulizie d’autunno)
    Dentro giorni di attese e incastri acrobatici quello che mi serve è rimettere ordine.
    Ricollocare una speranza, spolverare un sogno che è lì da un po’, per vedere se mi somiglia ancora. Riordinare lo scaffale dei vecchi rimpianti, buttare quelli che non servono più. Di quelli che restano, prendere solo quanto serve e riciclare le intenzioni, ricalibrare i Vorrei.
    Sverniciare certe antiche convinzioni per vedere cosa c’è sotto. Areare.
    Riappaiare domande e risposte senza che debbano per forza combaciare.
    I vecchi errori: trattarli con cura e seminarli qui e là per vedere se cresce qualcosa di buono.
    Mettendoli insieme, magari, giocando di innesti, potrei capire che non erano poi solo errori.Concimare con autoindulgenza e immaginazione.
    Reimpostare il navigatore emotivo, dopo essere stata almeno un giorno sotto un albero a respirare: è davvero là che mi interessa arrivare?
    Nutrire l’intuito con silenzi e vuoto e stanze per me, e luce lunare. Lasciare che esca dalla scatola dove lo ho relegato, si stiracchi per bene e si metta a marciare. Che scelga il sentiero.
    Adesso, gli dico: Vai tu, per favore. Fai strada.

    18 novembre
    È che la luce si infila tutto dove può. Tu falle spazio.




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  • Fare spazio (istanti rubati a #ottobre2022)

    On: 12 Dicembre 2022
    In: la mia vita e io
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    1 ottobre
    Ottobre porta la sua primavera, buona per chi cammina con gli occhi puntati verso il cielo.
    Vengo anche io con te, mese gentile, a camminare nelle vigne saccheggiate, a contemplare la tua fiammata solitaria – una manciata di coriandoli lanciati in aria.

    11 ottobre
    Per proteggermi dalle aggressioni del mondo non c’è niente che io sappia fare, oltre a pochi gesti semplici.
    Curare il respiro, il raccolto e la semina, il tempo buono da spendere in amore.

    12 ottobre
    Imparare, studiare e approfondire gli argomenti che ci stanno a cuore è uno dei più bei regali che possiamo fare a noi stessi, io credo. Così ho deciso di farmene uno a cui penso da tempo: mi ritiro per una settimana in una bellissima isola di pace nel bosco, tra yurte, alberi secolari, rampicanti, canne di bambù, laghetti e cavalli in libertà. Farò un corso di yoga immersivo. Immersivo in ogni senso.
    Per approfondire una disciplina che pratico ormai da una ventina di anni e soprattutto per stare un po’ con me. Per frequentarmi da vicino. Farmi quelle domande a cui non so o non voglio trovare  risposta, ammesso che una risposta ci sia; inventarmi domande per le risposte che so. Guardare anche la tristezza che provo, la paura che mi segue e delle volte mi precede e delle volte mi fa nido dentro la pancia. (Cosa ci somiglia di più della nostra paura?)Stare un po’ con il desiderio di fare meglio, di vivere appieno, con tutte le cose che vorrei fare (metterle a fuoco) e con quelle -infinitamente più numerose- che non so fare.
    Sfrondare, lasciar andare, fare spazio.
    Sfrondare,  lasciar andare, fare spazio.
    Sfrondare,  lasciar andare, fare spazio.
    Parto così, col mio tappetino e fogli da scrivere. Con la voglia di trovare sentieri che mi piaccia percorrere, anche quando è un andare con mappe di fortuna e la meta solo intuita – in una america che ancora nessuno ha scoperto e che forse non esiste. Con gratitudine e desiderio di restituire qualcosa. Con quello che c’è e quello che no, che va bene così.
    Non so cosa ne verrà. Il senso del viaggio è: viaggiare.

    27 ottobre
    Oh quanti giorni passati senza uscire di casa solo per incontrare una foglia sospesa un istante all’altezza degli occhi, senza ricambiare il saluto del corvo o guardare il mondo cambiare forma e colore. Giorni senza incontrare il gallo, senza carezzare il gatto, senza leggere due versi di una poesia trovata per caso. Senza fare un inchino al cielo, ascoltare una bella musica o infilare le dita nella terra umida.
    Giorni persi nella contabilità spicciola del dare-avere, senza tenere a mente che nessun calcolo di profitto o di perdita renderà giustizia al nostro tempo, se lo sperperiamo in cose di poca importanza anziché riempirlo di presenza e significato, fino a farlo smettere di essere tempo.

    28 ottobre
    Sono uscita a camminare in quell’ora in cui anche questo strambo autunno somiglia davvero all’autunno: le nebbie basse e lattigginose, un cielo indaco che pare di vederlo attraverso un vetro appannato.L’ora in cui la notte somiglia al giorno e il giorno alla notte. Diceva un saggio indiano: ricorda a te stesso, durante le tue ore da sveglio, che quello che vivi è nient’altro che sogno.
    A quest’ora è più facile pensarlo, più vero. A quest’ora, tutto si immagina.

    31 ottobre
    Il tempo non esiste. Tutto è adesso. Sentire questo, saperlo: può essere il risultato della ricerca di una vita. Mi è più facile intuirlo da qui, dal mio posto. Dove sento -pure per il tempo di una capocchia di fiammifero che s’infiamma- tutto quel che mi ha preceduto, tutto quel che segue. Sento le voci di chi mi ha portata qui: nelle voci dei vecchi del paese, nei latrati dei loro cani, negli scherzi dei bambini, nelle litanie del vento. Nel toc delle foglie contro le foglie, nel chiacchiericcio domestico del fuoco, nelle pietre che sotto i passi squittiscono. Tutto qui. E io son tutto eppure così poco e saperlo è un tale sollievo…Nelle ore in cui lo spazio tra i mondi si assottilia, auguro a tutti questo: un luogo, una preghiera, un’ora del giorno, un suono, un fiato… che conduca a casa. Anche solo il tempo di un abbaglio.


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  • Il mio cuore è una pianta carnivora

    On: 6 Ottobre 2022
    In: quasi poesia
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    Il mio cuore è una pianta carnivora
    un uncino, uno spigolo
    un arnese da taglio
    una brugola.

    Ha rattoppi da sarto
    un dolore che sfrigola,
    ha un cappotto marrone
    rattoppato sui gomiti
    sempre fuori stagione
    un ardore, una fregola.

    È il portiere all’incrocio dei pali,
    la pernacchia di un bischero,
    due noci di burro
    foderate in carta da zucchero.

    Il mio cuore,
    fuoco fatuo nel buio,
    fuori fuoco sui margini
    – il mio cuore:
    mollica alle rondini.

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  • Diario quasi d’autunno (istanti rubati a #settembre2022)

    On: 6 Ottobre 2022
    In: la mia vita e io
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    6 settembre
    Nel sogno di questa notte, regalavo un volo per Nairobi alle mie nonne e a mia zia. Mi sono svegliata domamdandomi: perché Nairobi? e con la curiosità di vederne delle immagini. Era l’alba e ho camminato fino a un posto dove mi avevano portato tanti anni fa. Ho resistito alla tentazione di esplorarne ogni vicolo, per lasciare che nella mia memoria resistessero i ricordi così come li avevo lasciati. Lo stesso disordine sul tavolino del bar, i pezzi mancanti, quella precisa luce che batte sul bicchiere, la curiosità incontenibile del dopo. Guccini intanto mi cantava nelle orecchie che non la vedi e non la tocchi, oggi, la malinconia.Ho pensato, camminando, che senza la fantamappa dei nostri luoghi immaginati, inventati e ricordati non saremmo che cani in un cortile, con la catena troppo corta. Ho pensato che ogni canzone è qualcuno o qualcosa che ci viene a trovare. Ho pensato: non lasciamo che trabocchi, e ho allungato il passo.(Ho pensato anche che ascolto sempre la stessa musica e che non riesco ad ascoltarla senza cantare, con gran ludibrio o comprensibile disappunto di tutti quelli che incrocio sulla via).

    9 settembre
    Per affrontare l’aurunno mi riempio gli occhi di questa luce. Già nella mia testa si mescolano, all’aroma del caffè, i progetti per l’anno in arrivo. Lavoro, scuola, sport, corsi, impegni vari, spese. Li aspetto (ma senza fretta) con un misto di timore e curiosità. Forse è questo il momento dell’anno in cui mi è più difficile restare nel qui e ora. Mi perdo in calcoli, numeri, date, incastri, calendari. Mi sforzo di essere qui, nell’odore di salsedine, la sabbia che solletica il piede, il sottofondo della risacca. Di mettere un freno all’ansia di programmazione e a quel sapore amarognolo di un’altra estate che va via.Il primo dei buoni propositi d’autunno: restare con la testa dove sto coi piedi.

    12 settembre
    Il tuo corpo, quando cresce, quanti corpi più piccoli lascia indietro.Piccole dita, piccole mani, piccole rotule bocche talloni. Conservo nella mente i tuoi confini e li ripasso col dito. Ti osservo per farti combaciare con tutti i te che ti hanno preceduto.Tu isola in espansione e il mio amore un mare.Fatico -ma ci provo- a tenere a bada l’onda, a farti sentire contenuto, accolto. Non invaso.
    Amore di madre è quest’acqua che turbina, che stenta a riconoscere la sponda – sempre a rischio di tracimare.

    21 settembre
    Yoga del mattino, nell’orto – finché la pianta dà i suoi frutti ci presentiamo puntuali all’appuntamento quotidiano. Ieri il primo ceppo bruciato nella stufa, comincia il conto alla rovescia per la fine dell’estate. La mia candela accesa è una preghiera: che sia mordibo e gentile, il tempo nuovo che s’affaccia alla mia stanza. Che si spogli del verde, se deve, ma che nutra la speranza.

    23 settembre
    Cosa dovremmo fare, quindi, certi giorni d’autunno. Possiamo aprire le finestre, far circolare l’aria. Meditare sulla lingua dei pesci e sull’incanto della galaverna. Possiamo buttarci un po’ giù e poi venirci a prendere. Usare parole insolite, mandar via la polvere, richiamare con un fischio affilato gli animali notturni.
    Possiamo riempire il bicchiere di tenerezza e non svuotarlo mai.
    Osservare la vita dal fondo, dal lato della morte. Come procedura, esperimento, saracinesca.
    Poi ricordare la volta che abbiamo imparato a respirare. Non c’è niente che non possa fare, chi una volta ha imparato a respirare.



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  • Diario tra i monti (istanti rubati ad #agosto2022)

    On: 6 Ottobre 2022
    In: la mia vita e io
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    4 agosto
    Curare le piante curare le paroleammirare di ognuna la bellezza, prima di metterle a servizio di qualcosa – la tavola apparecchiata per cena, una storia.
    Prima della produttività apprezzare il dono – è sempre un dono, anche quando viene dalla cura. La terra potrebbe non restituire niente (basta vedere adesso, questa siccità), la traccia di parole potrebbe non portare in nessun posto.
    SuccedeMa alle volte succede che il pomodoro ingrossi e arrossi, che lo zucchino ispessisca, coronato dal suo bel fiore giallo.Ma alle volte succede che sulla pagina compaia qualcosa che prima non c’era, una mappa, un disegno – non sarà compiuto come la cicogna di Karen Blixen, ma, forse, sarà qualcosa
    Mi sembra che “cura” sia la chiave di questo tempoe che, per aprire qualche serratura, debba camminare mano nella mano con “speranza”. o, se preferite, con “preghiera”perché il solo modo di abitare questi giorni è con gesti oculati, passi brevi, brevissimi – gocce dispensate con parsimonia e generosa gentilezza.

    8 agosto
    Prima di cominciare a lavorare sono uscita a camminare un po’, nonostante il sonno che mi incollava le palpebre. Ho dovuto buttarmi giù dal letto con un atto di fede, nel bel mezzo di un sogno sanguinario e illogico, uscire di casa ancora prima di aver ingurgitato la dose di caffè capace di traghettarmi fuori dal regno di Morfeo.
    Ma la buona volontà è stata premiata: dopo venti minuti di cammino ho incontrato cinque cervi. Due si rincorrevano su per un crinale, mentre sassi e ghiaia rotolavano a valle. Facevano un rumore di cavalli al galoppo e una sorta di soffio, di sbuffo. Ci sarebbe da aver paura, se non fossero loro a temere l’uomo. Sono rimasta a guardarli incantata finchè non sono spariti su su, in alto, nel folto bosco. Oltre al recinto della pigrizia e delle abitudini, a un passo da noi, c’è tanta di quella vita – vita selvatica e segreta da far impallidire i sogni.Fuori dal perimetro di noi stessi, alle volte, com’è tutto più limpido e interessante!

    10 agosto
    sei amici, una partenza a piedi nel tardo pomeriggio, c’è chi c’è e c’è pure chi non c’è, un rifugio da raggiungere, birrette fresche, polenta, grappe varie, una notte che scende planando dall’alto, si scolla dai monti e ci circonda poco a poco, una luna all’ingrasso, il cielo d’agosto, le vette nere che così nere non le avete mai viste e poi il bosco da attraversare con le torce – provare a spegnerle dove il fitto dirada, allenare la vista dei feliniuna luce che compare nella macchia di fronte, a mezza costa, una luce che si accende e si spegne, si muove restando ferma, trema, si spegne, s’accende. noi che urliamo, nessuna risposta – qualcuno conosce il codice morse? la luce forse manda segnali, forse nemmeno s’accorge di noi, compatti sulla strada grigia di sotto (sto leggendo La lucina di Moresco, è un caso? chi c’è lassù: un bambino con la testa rasata, un alieno in pantaloncini?) di nuovo camminare, di nuovo i nostri scherzi, nella valle ci sono i lupi, uno di noi s’acquatta non visto tra il fogliame, salta fuori al passaggio degli altri, dal buio: Bu! scemo, dice qualcuno, sono gli stessi scherzi che si facevano 30 anni fa, dico io, eppure funzionano come allora, sento la pelle d’oca che dal tallone mi sale ai capellii lupi, se c’erano, sono stati alla larga, abbiamo riportato a casa la pelle e piccole storie di paura, risate di sollievo, cazzate miste a voli pindarici, il vento insolitamente caldo tra gli abeti, e passi dietro ai nostri di tutti i noi giovani incontrati per strada, trovati fermi lì, ad aspettarci per accompagnarci un pezzo, confusi con le ombre, confusi di grappa, ridanciani e pensosi come eravamo e siamoe la lucina chissà, chissà se si è accorta di noise ci ha visti passaree chissà se stanotte s’accende.

    18 agosto
    Ultimo giorno di lavoro.Questa mattina la pioggia ha cominciato gentile, quasi chiedendo: Posso?Pian piano s’è fatta spazio, ha preso coraggio e baldanza, ha gonfiato il petto, batteva sui vetri di stravento, e tutto intorno si rincorrevano tuoni come cani tenuti al guinzaglio.
    Lavoro in una stanza piccola, un tavolo di legno davanti alla finestra col davanzale di legno, pavimento di legno sotto i piedi. Lavorare da qui, dalla mia stanza piccola che guarda Cima Pasubio e il suo occhio sempre desto, lo considero un dono incommensurabile. In pausa pranzo leggo Irene Solà (Io canto e la montagna balla), guardo documentari sulle migrazioni delle cicogne e i fulmini crepano il cielo, strisce bianche, uno schiaffo di luce. Progetto le escursioni dei prossimi giorni, devo cercare una mappa, i sentieri da fare. Io che mi perderei persino nel mio paese, non ci fosse una strada sola.Sto per cominciare le ferie in un’estate che non è più estate, in un principio d’autunno brumoso, o forse in un altro Paese, lontano, dove i Monsoni sono di casa. Le previsioni dicono: dopodomani sole. Dopodomani posso mettere gli scarponcini, infilare lo zaino, salire. Oggi mi godo questa sacca di nulla, la valle cancellata dalla nebbia, le voci nella stanza di fianco, il caffè appena salito nella moka, dita e dita che battono i vetri.
    Intanto le cicogne sorvolano i tetti bianchi di Tangeri e i cani hanno strappato il guinzaglio, e corrono latrando tra le montagne e il cielo.

    22 agosto
    Due giorni in giro per rifugi.Sole, poi nuvole. Crema solare, poi pioggia. Maniche corte poi maglioni, cioccolata calda, libri. Avventura e rifugio.
    La notte che scende al rallentatore, che schiaccia tra due dita la luce in una striscia rossastra. Ancora due passi al buio, la tua mano nella mia tasca – spavalderia mista a timore, la curiosità di quel che non si vede, bestie sanguinarie acquattate al bordo del sentiero. Eppure andiamo, mamma? Fino là, fino alla curva.Le luci del rifugio lontane, una nave sperduta in un nero lago immobile.
    Una partita a carte, piccole confessioni, cose da grandi e cose da bambini.Il mattino perdersi a un bivio, salire alla cieca, bussare a una baita sperduta nel bosco, sulla schiena di un monte, per chiedere: siamo giusti, di qui? Salire e scendere creste, dente austriaco, dente italiano, cima Palon.
    Orgogliosa delle mie gambe che resistono ma soprattutto orgogliosa di te, del tuo andare mani in tasca e sguardo in giro, della tua ironia tagliente, dell’impareggiabile compagno di viaggio che si nasconde sotto la scorza di preadolescente.
    (E sì, anche del tuo senso dell’orientamento, perché se ti avessi dato retta a quel bivio, non ci saremmo persi).

    27 agosto

    Non c’è una pentola d’oro ai piedi del mio arcobaleno. Ma una pentola piena d’ore, semmai, da passare così. Stufa accesa, buona compagnia, gambe stanche per la camminata da allungare davanti. L’odore della pioggia, dell’erba bagnata e del caffè. Il tempo che rallenta, e rallenta, fino a quando non ci si ricorda più di lui.

    2 settembre
    Quasi tutte le mie fantasie di bambina avevano come costante la casa sull’albero. Miei coinquilini fissi erano elfi e folletti.Quest’anno, uno zio molto abile e generoso e tre ragazzini intraprendenti hanno dato forma ai miei sogni di allora. Una pineta al limitare di un grande prato, la luce che filtra tra i rami, un tappeto di aghi e pigne, odore di resina e la più bella palafitta tra gli alberi di sempre.
    Ci hanno lavorato un pezzetto al giorno e alla fine abbiamo chiamato gli amici e abbiamo festeggiato. C’è stata una piccola processione nel bosco con i cesti da pic nic pieni di roba da bere e da mangiare, Prosecco, coca cola. Patatine, pizza. Un pugno di colore tra gli alberi fitti in una sera di fine estate, le nostre voci allegre, a tre a tre (così hanno prescritto i responsabili della sicurezza) salire la scaletta a pioli e brindare da lassù. I miei monti, il bosco, strizzano l’occhio e alzano il calice insieme a noi.La me bambina ubriaca di felicità fa salti altissimi. Elfi e folletti, fate buona guardia mentre siamo via.

    3 settembre
    Sono stati giorni di continui arrivi e ripartenze.Saluti di benvenuto e abbracci di arrivederci. Fanno male, fanno bene.Un po’ stropicciano il cuore, un po’ lo gonfiano di gratitudine,Giorni di cose facili: la fame dopo la salita, la gioia di un’ora di lettura dopo una lunga camminata, l’odore del bosco, il riposo ristoratore del corpo esausto, della mente sgombra.
    La bellezza di raccontarsi gli ultimi mesi (qualche volta anni), di dividere un piatto di polenta, la sera un bicchiere di grappa, due canzoni stonate persino, mentre la notte regala cieli sfarinati di stelle.
    Poche cose mi fanno stare così bene: il corpo che lavora, la mente che si svuota, il cuore che si riempie.
    Grazie a questo tempo generoso e a chi ne ha fatto parte.

    34Laura Chiarello, Irene Brusa e altri 32Commenti: 9Mi piaceCommentaCondividi

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