Lasciarsi sorprendere non è cosa da tutti, bisogna imparare.
Aprile è specialista nel lasciarti indovinare il tempo, puntare gli occhi al cielo il mattino – oggi sarà sole o sarà pioggia?
Mi sono lasciata sorprendere anche io, qualche volta, in questo aprile. Da un compleanno -il mio- che mi coglie ogni santo anno completamente impreparata, e sì che oramai un po’ di allenamento l’ho fatto. Ammesso poi che ci possa preparare ad avere un anno in più, a ricevere auguri senza commuoversi troppo, a fare (o meglio a non fare) bilanci.
Mi sono lasciata sorprendere da una festa di compleanno molto speciale -non mia- festeggiata un martedì notte in un bosco allestito per l’occasione, con un furgoncino per distribuire birra fredda, zuppa di ceci e torta di nocciole e luci, e un bel falò, e palloncini colorati appesi ai rami degli alberi.
Mi sono lasciata sorprendere da una covata di pulcini che abbiamo adottato per un po’, dalla trilogia di Kent Haruf attraverso le strade di Holt, da una pasquetta inaspettatamente soleggiata con gli amici, dalle trovate dei bambini, da una ricorrenza festeggiata in famiglia con un pranzo e poi una gita al lago – breve, ma bella, come le cose improvvisate in un giorno di primavera.
E così a metà di quel pomeriggio di primavera montarono a cavallo e, come viaggiatori nel vasto mondo, Bobby in sella e Ike dietro, si allontanarono. (Kent Haruf, Canto della Pianura)
Mi sono lasciata sorprendere persino dalle tante ore che sono riuscita a passare davanti a una tastiera a battere e ribattere i soliti tasti. A limare, spostare, tagliare, aggiungere, modificare, definire, sostituire, mettermi le mani tra i capelli, alzarmi e guardar fuori -piove o non piove? Esce il sole?- accarezzare il gatto e aggiungere ceppi nella stufa in cucina, che il sole vabbè, ma in casa fa freddo. E poi ancora, da capo, gli stessi tasti, levare, sintetizzare, ricalibrare. La virgola lì non ci sta, proviamo col punto.
Mi ha sorpreso sentirmi sbalzata indietro, agli anni dell’università, le notti prima degli esami, i sabati e le domeniche a vagare per casa in pigiama e a riempire la moka di caffè. Rispetto ad allora mancavano le sigarette a segnare le pause, gli amici spettinati e stravaccati sulla poltrona in camera mia con grossi libri aperti sulle ginocchia e matite per sottolineare.
Mi ha sorpreso, in qualche modo, ogni frase che ho scritto e poi riscritto perché prima di farlo non sapevo precisamente nemmeno io cosa volessi raccontare. Oppure sì, ma soltanto confusamente. Soltanto approssimativamente. Adesso invece è quasi tutto lì, quello che volevo dire, che potevo dire. E ogni volta mi sorprende.
Intanto siamo a maggio, si veleggia verso l’estate, nonostante le piogge insistenti in questa parte di mondo. Non scoraggiamoci, non certo per il meteo. Alleniamoci, invece, diventiamo campioni di stupimento.
(Che dite, il sole: esce o non esce?)
Read MoreIl vento soffiava sui campi piatti, aperti e sabbiosi, sui campi di grano e sulle stoppie di granturco, sulle praterie dove scure mandrie di bovini pascolavano nella notte. Ai due lati della strada le fattorie si stagliavano alla debole luce azzurra dei lampioni nei cortili, case sparse e isolate nella campagna buia, e in lontananza, alla fine della strada, le luci di Holt non erano che un bagliore sul basso orizzonte. (Kent Haruf, Crepuscolo)