Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

  • Come si fa mattino (istanti rubati a #ottobre2024)

    On: 3 Febbraio 2025
    In: istanti rubati, la mia vita e io
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    1 ottobre
    Scrivere poesie è rallentare i pensieri e i battiti del cuore -uno a uno- intrecciarli con la pazienza degli uccelli, per farne nido dentro il silenzio.

    8 ottobre
    Mi parlano, le sere d’ottobre.
    Sarà la speciale qualità della luce, più densa prima di arrendersi, e finire.
    Queste sere che mi metto in balcone e le gazze giocano sulle tegole del tetto di fronte e i cavalli ondeggiano sull’erba come ombre sfocate.
    Cerco parole per dire questa specie di pace, questa specie di fatica – e non le trovo. Le avrà rubate la gazza, scambiando per pietra preziosa una carabattola luccicante di nessuna importanza.

    Mi parlano, loro, le sere di ottobre.
    Mi dicono: fermati. Togli. Una cosa alla volta. Rastrella l’inutile. Stai ferma.
    Senti.
    E mi mostrano il modo: quella luce che si fa riassorbire dal cielo.
    E quanto coraggio c’è, in quella resa.
    In ogni resa: tutto il coraggio del mondo.
    14 ottobre

    Comincia una nuova avventura, la chiameremo Avventura del sentire.
    Del fermarsi a fare silenzio.
    Fare silenzio come si fa il pane, come si fanno gli alberi, da dentro. Come si fanno cesti di giunchi intrecciati.
    Come si fa notte, più fredda e nera prima del mattino.
    Come si fa mattino.

    17 ottobre

    È notte di luna piena, quella in arrivo. Luna piena in Ariete.
    La luna più grande e potente dell’anno, dicono.
    Ma non la vedremo, noi qui, il cielo è coperto in lungo e in largo da nuvole spesse. E piove. Come piove. La immagineremo, la Luna di Sangue, rossa per i sacrifici animali di tutti i tempi. La sentiremo, col sesto senso delle streghe, dei lupi mannari.
    Proveremo a stare al buio, sapendo che la luce –
    e a fare quello che conta.
    E cosa, allora?
    Questo: spremere e strizzare quello che c’è, estrarre dal buio quel tanto di luce che basta a vederci le mani, e poi i piedi, poi la mattonella su cui i piedi poggiano e poi lui, lei, quegli altri che come noi vagano, annaspano, procedono a tentoni, strizzando e spremendo – o provando.
    E poi questo: prendere l’ombra con tutte le mani, tenerla, farne ristoro.

    23 ottobre

    Dicono: il dolore è una vanga che dissoda l’anima
    perché la vita possa far crescere i suoi frutti migliori.
    Dico: se il dolore dissoda voglio essere terra arsa, un grumo duro e secco, che sfarina.
    Se il dolore ammorbidisce e concima io voglio essere pietra, arido sale o granito.
    Non voglio lacrime e scavare solchi, ad addolcire l’arsura dell’erba.
    Il sole asciutto brilli a mezzogiorno sulla mia testa
    vuota
    vuota
    come vuota è la mente del tordo quando il cacciatore imbraccia il fucile, come vuota è la mente del tonno quando l’esca gli viene vicina.
    Dico: se il dolore rende migliori è alla versione peggiore di me che mi aggrappo
    e chiudo gli occhi, le dita a sigillo e non guardo
    e non sento lo spavento del mondo che mi preme addosso.

    25 ottobre

    Ci sono momenti che mi sembra di aver capito tutto.
    Per fortuna durano pochissimo.

    28 ottobre

    Cadono foglie sulla mia testa, quando cammino nel viale. Nei giornali e in tv cadono bombe. Autunno strano. Piove quasi ogni giorno e pure se smette il cielo è un cuscino imbottito di grigio.
    Leggo Christian Bobin e Ron Rash. Guardo Shameless e Il racconto dell’ancella, cerco oggetti su Vinted e Subito, provo a liberarmi di oggetti che non mi servono più.
    Il mattino presto medito seduta in mezzo alla stanza.
    Medito? Forse. Vedo con gli occhi chiusi il profilo molle degli alberi e le tegole oltre i vetri da pulire. Vedo tutte le cose che ho da fare, in fila a reclamare attenzione, si spintonano per saltare un turno, strusciano i piedi, come turisti davanti ai musei.
    Le caccio con un tic del sopracciglio, ma tornano.
    Un figlio dal dentista, la riunione a scuola dell’altro, mandare la mail, aspettare quell’altra, mettere i ceci in ammollo, non ho ancora preso il caffè, la spesa, sguardo al terzo occhio, il nuovo tatuaggio, pulire i vetri.
    Un altro tic del sopracciglio, svaporano.
    Per poco.
    La sera, poi, davanti alla tv, prendo l’uncinetto, intreccio.
    Penso a questi giorni così, dove cadono foglie invece che bombe, dove ho uno spazio per stare ferma e zitta, dove mi appunto di comprare cereali e lane, dove il 27 arriva lo stipendio, dove la stufa accesa brilla nel cuore del buio, il divano come una zattera.
    Dove piove e piove ma per adesso gli argini tengono.
    E provo senso di pericolo e di scampato pericolo – e pena – e incapacità di capire – e sollievo e vergogna per provarlo – e gratitudine.
    Ho finito una coperta, ordinato una lana mohair, cominciato una sciarpa a punto canestro.

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  • L’orologio fermo dice: stai dove sei (istanti rubati a #settembre2024)

    On: 9 Ottobre 2024
    In: istanti rubati, la mia vita e io
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    4 settembre
    Mi si è fermato l’orologio, nella notte prima di venire al mare. Per me, che tutto è segno, simbolo e sincronocità, il messaggio è piuttosto esplicito e non cambierò la pila almeno fino al rientro.
    Detto questo, l’occhio cerca il polso ennemila volte al giorno.
    Lascia stare, mi dico. Non è così importante. Di cosa hai voglia adesso? Bagno, gelato, libro, panino, orizzonte?
    Il dopo lo vedremo.
    Ho pensato che devo essere gentile con settembre. Trattarlo con cura, come un delicato da stendere al sole senza stropicciarlo troppo, senza rimpinzarlo di piani e progetti e buone intenzioni come sempre sono tentata di fare.
    Punto la sveglia prima dell’alba per uscire a camminare e provo a non programmare niente. Mi fermo quando ho voglia di caffè o quando una particolare luce giallastra cattura lo sguardo.
    Che ore sono? I ragazzi si saranno svegliati? Avranno fatto colazione?
    Lo sguardo corre al polso. Inutilmente.
    L’orologio fermo dice: stai dove sei.
    Ho pensato che devo essere gentile, con me, a settembre. Con lo smalto che metto male e si gratta via con la salsedine, con le doppie punte e la pigrizia. Con i pasti alla come ti salta in mente, l’abbronzatura a strisce e il caffè di troppo.
    Ho pensato che a settembre devo essere gentile con me e con quello che mi succede intorno – che forse basta spostare lo sguardo e vederlo.
    6 settembre
    I ragazzi sono andati soli a camminare sul lungomare. Mi hanno chiamata dopo un po’ da un numero sconosciuto dicendo che avrebbero tardato: hanno salvato una beccaccia di mare incastrata tra gli scogli e, ascoltando i consigli di un passante, l’hanno portata in una certa spiaggia dove il bagnino avrebbe chiamato un’associazione per la cura degli animali selvatici.
    Mamma, aveva il cuore a mille, mi hanno detto. Non riusciva più a usare le ali.
    Le camminate da soli sul lungomare fino al paese vicino è una delle loro conquiste dell’ultimo anno. Altra novità è poter restare a casa da soli mentre noi mamme usciamo a camminare.
    Usciamo a camminare, quindi, e parliamo per lo più di loro. Della scuola che comincia, delle cose di loro che ci fanno ridere o arrabbiare. A volte con il cuore alleggerito per la nostra nuova libertà, a volte con l’istinto di cercarli con la coda dell’occhio, abituate come siamo ad averli sui nostri passi.
    Sul quadernino che porto sempre con me annoto le cose che fanno (le lunghe nuotate con la maschera, saltare le onde, la caccia ai granchi lungo gli scogli, le lotte con gli asciugamani arrotolati), per ricordarle quando non le faranno più.
    Loro, i ragazzi, sembrano non curarsi troppo di questi cambiamenti. Li osservo e mi pare di vederli armeggiare con ali nuove, ancora troppo goffe o ingombranti per saperle spiegare a dovere.
    Loro sembrano non pensarci affatto.
    Oggi c’è da tornare alla spiaggia per sapere come sta la beccaccia.
    23 settembre

    L’anima è una lucciola in autunno, dicono.
    Facciamola brillare.
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  • Nulla in me dubita della tua presenza (istanti rubati a #agosto2024)

    On: 9 Ottobre 2024
    In: istanti rubati, la mia vita e io
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    1 agosto
    Scendere nell’orto prima di cominciare la giornata, in estate, è un rito che mi va comodo.
    Scendere con la bocca ancora impastata dai sogni, i piedi negli stivali, la maglia a maniche lunghe nonostante il caldo già prepotente, per non farmi rosicchiare dagli insetti.
    C’è un esercito di insetti, tra i fiori delle zucchine, tra le file di pomodori. Ti fischiano nelle orecchie come fuochi d’artificio.
    Nel silenzio dell’alba, ogni cosa sembra al suo posto. Forse per questo la natura ci affascina tanto. Anche l’ape che ti punge fa il suo lavoro. L’hai spaventata, hai invaso il suo territorio, lei si difende come sa: niente di personale.
    Forse per questo la natura, a volte, tranquillizza: a differenza delle faccende tra umani, ogni cosa segue il suo corso. E il modo in cui vanno o non vanno le cose non dipende da niente che non sia la loro essenza – piegarsi al vento, nutrirsi di pioggia. Rigenerarsi con la luce del sole.
    Non c’è colpa, né senso di colpa, né aspettativa, scopo o frustrazione. Solo lasciarsi vivere e morire e poi rinascere. Ogni cosa al suo tempo, nel presente – una musica esatta.

    10 agosto
    Che poi è facile, se ci pensi.
    Quello che abbiamo è questo sentiero, persone con cui fare dei tratti, un cielo sulla testa che delle volte dice sole e altre tempesta. Altre volte ancora se ne sta azzurro e distante, fa finta di niente.
    E abbiamo queste gambe che è meglio far andare e scarpe da scegliere robuste. E abbiamo voci che ci scortano lungo la strada e che il più delle volte ci riportano a casa.

    14 agosto
    Pensare un nuovo tatuaggio.
    Il bosco.
    Preparare il tiramisù per un ferragosto in cortile.
    Famiglia.
    Il primo caffè del mattino in bottega o sul balcone.
    Cognetti – Giù nella valle.
    Appunti di viaggio.
    Amici. Le birre al laghetto.
    Camminare.
    Meditare sul pavimento di legno, di fronte al Pasubio e le sentinelle di pietra.
    I pasti condivisi.
    Chandra Livia Candiani e Mariangela Gualtieri.
    Ricordare.
    Le serrature del silenzio, la preghiera del ruscello.
    La notte, un nero mare capovolto punteggiato di stelle.
    Moquette d’erba sotto i piedi.
    Nel letto coi bambini, le parole prima di dormire.
    Mi inchino al Dio dei giorni semplici – con la fronte a terra benedico ogni minuscola sterminata grazia.

    19 agosto

    Tu e io, una notte in rifugio, camminare al tramonto. E poi all’alba. La superluna blu di agosto giallissima e quasi piena e tutte le nostre parole – parole che vengono facili, qui, lontano da tutto. Tu che mescoli storie da bambino e riflessioni da uomo, tu che racconti con la voce quasi da ragazzo.
    Mangiare come lupi, dormire come sassi – il vocabolario dello stare bene è preso in prestito dal bosco.
    Come sempre perderci, noi due (anche questa una quasi tradizione), arrabbiarci un po’ nell’erba bagnata, alta che ci arriva ai fianchi, Te lo avevo detto che non era questa la strada. E poi trovare un segno, la rotta, la via – una riga rossa e una bianca su un tronco. Rieccoci sul sentiero che ci riporta a casa.
    (Perché domani, ovunque tu vada, sappia riconoscere sempre il sentiero che ti riporta a casa).
    27 agosto

    Salire al rifugio Fraccaroli è un rito dell’estate – uno dei tanti eppure uno dei più significativi.
    La sveglia prestissimo, la prima parte della salita nella pancia scura e ancora fresca del bosco e poi venire alla luce sulle pietre chiare, sbiancate dal sole.
    La merenda -pane e cioccolata- alla prima bocchetta, quando la vista spazia dall’una all’altra valle, al rifugio infilare le ciabatte, i pasti abbondanti, guardare salire la nebbia, la birretta rigenerante, le gambe a pezzi, il belato lontano di un gregge, il tramonto lento, lento, che non arriva mai – il giorno che non vuol finire.
    Ogni volta le stesse domande su altitudine, chilometri, distanze, la camerata rumorosa, tre piani di letti a castello, al ritorno surfare sul ghiaione.
    Quell’allegria annebbiata, storie di montagna, la polenta e il vino e sempre dire tra noi che la prossima estate magari si cambia meta, magari si dorme in un altro rifugio, magari… e sempre sapere che intanto la prossima estate è qui che ritorni. Perché i riti celebrano il tempo e gli restituiscono senso.
    28 agosto

    Quando un nube
    inghiotte i monti
    roccia cielo terra
    tutto svanisce
    – ma solo agli occhi.
    Oltre il visibile
    tu ci sei.
    Nulla in me dubita della tua presenza.
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  • Una boccata di verde e papaveri (istanti rubati a #maggio2024)

    On: 30 Luglio 2024
    In: la mia vita e io
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    5 maggio
    Domenica di maggio.
    Yoga. Napoleone e i combustibili fossili. Tesina sull’Infinito. Zuppa di ceci e cavolo nero. Uncinetto. Milan Kundera.
    Una boccata di verde e papaveri.
    E il naufragar m’è dolce in questo mare.

    8 maggio
    Quando all’alba mi sono svegliata, stavo per lanciarmi con la zip line. Le persone che si buttavano prima di me avevano smorfie di preoccupazione e una volta appese remavano nel vuoto, annaspavano sventolando le braccia come se fossero loro a dover decidere la direzione e l’andatura.
    Stamattina, dopo giorni di pioggia, il cielo è asciutto. Nuvolo ma le previsioni dicono: migliorerà. In stazione, poco prima che partisse il treno, due donne e una ragazza si sono messe in posa per farsi fare una foto, abbracciate. A volte salutarsi prima di un treno è un salto appesi a un filo. Molte cose lo sono – in certi casi lo sappiamo prima, in altri lo scopriamo poi. Quello che si può fare è regolare bene l’imbragatura e aver fiducia nel filo.

    9 maggio
    Quello che vuol dire, per me, stare bene.
    Stai bene è quando vedi, in ogni giorno che comincia, un luccichino di speranza.
    Una cosa anche minuscola, come quando ti siedi sulla riva di un fiume e un raggio di sole lo tocca e si sbriciola e una di quelle briciole ti sfarfalla tra le ciglia e tu socchiudi gli occhi e sai che di quella scintilla puoi fare qualcosa di buono.
    Stare bene è una cosa piccola, ma neanche poi tanto, a starci attenti.

    22 maggio
    Certi giorni mi sembra che si sia congelato un certo dialogo che intrattenevo con me stessa. Con una certa parte di me che trascende la ragione e arriva a vedere oltre il muro, sopra il tetto, dietro le porte chiuse. Come se quel canale si fosse ristretto, infeltrito. Le parole che prima cadevano a pioggia adesso devono farsi piccine, per passare attraverso. Giungono a me rinsecchite, infeltrite, apparentemente inusabili. Intraducibili.
    Mi vengono meglio altre cose, al momento. Lo yoga, l’uncinetto. Fare ricerche su disparati argomenti. Fare cose con le mani, con il corpo. Sgarbugliare nodi, cercare l’equilibrio sulle mani. Ascoltare. Andare nell’orto a controllare la crescita delle zucchine e dello scalogno. Forse questo non è il tempo della messa a fuoco. È un tempo bislacco, fuori stagione come queste piogge che sembrano non finire.
    Ma ogni cosa verrà quando e come deve, mi dico. La natura sa come far germogliare il seme. Forse non serve che lo sappia anch’io.

    23 maggio
    In treno, la donna seduta di fronte a me attacca discorso.
    Parliamo del più e del meno, poi lei si interrompe, si scusa, dice che la sua memoria ogni tanto fa cilecca.
    La rassicuro, dicendo che anche la mia…
    “Eppure” dice, con tono benevolo, “lei dovrebbe essere un poco più giovane di me, CREDO”
    “…”
    “Quanti anni ha? Io ne ho 77 .”
    A quel punto, mi son detta che evidentemente la memoria è l’ultimo dei miei problemi.
    28 maggio
    Sulla vecchiaia (mia), parte seconda.
    Sono in bagno davanti allo specchio, un filo di matita e mascara.
    Entra mio figlio, dice: “Mamma, sai perché a me piacciono tanto i videogiochi?”
    “No, perché?”
    “Per lo stesso motivo per cui tu ti trucchi”
    “Ovvero?”
    “Per sfuggire alla realtà”
    (E meno male che i figli so’ pezz’ e core)
    30maggio
    Continui a cercare fuori.
    Invece che sentire.
    Svisceri, compari, investighi, cerchi febbrilmente conferme e rassicurazioni.
    Perché tutto questo affannarsi?
    Il fiore sboccia senza nessun calcolo.
    Il bruco non legge nessun manuale, per farsi spuntare le ali.
    Il gabbiano non studia le leggi gravitazionali, prima di spiccare il volo.
    Volgi lo sguardo all’interno, e ascolta.
    Lasciati vivere.
    Lasciati diventare.

     

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  • Baia di Kotor, luci intermittenti e una musica fortunata (istanti rubati a #dicembre2023)

    On: 13 Febbraio 2024
    In: istanti rubati, la mia vita e io, viaggi
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    13 dicembre
    Federico ha messo le lucine sull’abete in cortile. Sono gialle e intermittenti e quando le guardo di notte -le vedo anche dal letto- mi sembra che la notte sia più larga, spaziosa. Ci stanno dentro più cose.
    Quest’anno il freddo lo sento più forte. Non so se è solo una questione di temperatura o di me che invecchio. Non credo. Mi copro, strati su strati. Eppure. C’è un’umidità che passa attraverso i tessuti, la pelle, le ossa. A volte vorrei qualcosa che mi rendesse impermeabile.
    È che certi bocconi -anche se non sono destinati precisamente a te- hanno un gusto talmente cattivo che viene da pensare che siano medicine. Ma se poi non lo sono? A che servono, se non curano?
    C’è nebbia e starla a guardare dai vetri mi piace. Leggo Baricco, James Still e Thich Nhat Hanh.
    Leggere alza la mia temperatura interiore. Come aprire una mappa, disegnare una strada. Come chiamare un’amica. Come stravaccarmi sul divano coi bambini e dire: Scegliete un bel film in tv. Come dicembre, quando si fa tana in cui rannicchiarsi. Come piangere quando fa bene. Come guardare le luci sull’abete – accese spente accese spente – il buio che dura un battito di ciglia.
    (Felice Santa Lucia a tutti)

    24 dicembre
    Per un paio di giorni ho guardato il mio albero dalla stanza da letto: influenza. Me ne sono stata sotto le coperte in uno stato di dormiveglia. Avevo bisogno di questo. Riposo. Letargo. Ne ho bisogno ancora, a guardare bene.
    Quando mi sento meglio, leggo. Assaporo con lentezza quella meraviglia che sono i racconti di Rick Bass (La vita delle rocce). Scrivo biglietti di Natale. Scrivo messaggi di auguri.
    Luce!, dico. Luce!, scrivo.
    Ma lo so, lo sento, che alle volte quello che serve è fare tana nel buio.
    Raccogliere le gambe al petto, stringerle con le braccia. Sentirsi il cuore.E allora anche gli auguri sono per piccole cose piene di significato.
    Una bella storia – qualcosa di rassicurante a cui pensare la sera.
    Un letto da cui vedere le luci sull’albero o uno scorcio amico oltre i vetri.
    Una stanza calda – meglio una stufa, qualcosa che brucia, sulla stufa una buccia di mandarino.
    Qualcuno che passa a chiederti: ti porto una spremuta d’arancia?
    Una caramella, un frutto, un cioccolatino – qualcosa di dolce per mandare via l’amaro.
    Una persona a cui vuoi bene che ti scrive: sto meglio.
    Qualcuno che va in farmacia al posto tuo.
    Avere un piano b e metterlo in pratica senza troppi rimpianti, quando certi progetti vanno in fumo.
    Una lettera. Il bosco. Caffè.
    E per chi ha la grazia di avere a portata di mano o pensieri le quattro cose che contano: gli occhi giusti per vederle. Anche per chi, ora come ora, questo lusso non sa proprio cosa sia.
    Davvero, solo questo. Che sia sotto il sole o nel buio a piombo di una lunga notte boreale: avere gli occhi giusti per vederle.
    Auguri a voi.

    27 dicembre
    A te che sei coraggio e vulcanica immaginazione. A te – tutto cuore e capriole tra le nuvole – che da dodici anni ci riempi la vita di Magia…Grazie per essere esattamente quel che sei. Auguri amor mio!#12

    30 dicembre
    Quello che devo imparare, soprattutto quando viaggio: stare con la testa sui miei passi, in asse con il corpo. Non, come son solita, oltre la prossima tappa, a sbirciare tra le immagini della prossima meta. Stai qui, adesso, mi dice la Vita: non è per questo che mediti? Mezzore seduta a gambe incrociate o abbandonata in shavasana e poi? La tua mente resta la solita scimmia che senza vergogna nè saggezza dondola di ramo in ramo.
    Me lo dice in modi diversi, la Vita. Ad esempio: programmavo l’Ammerica e sono sui Balcani. Croazia, Montenegro. Baia di Kotor. Mangiamo arance mele mandarini fichi secchi rotoli di pizza e involtini di formaggio, ascoltiamo Goran Bregovic, beviamo tisane di Rooibos caramel, leggo Lana Bastasic (meraviglia!).
    Costeggiamo la baia di Kotor che è un pezzo di vetro costellato da una strada stretta. Ci perdiamo per i vicoli di tufo seminati di luci e saliamo centinaia di scalini fino ai resti della fortezza di San Giovanni.
    Prenoto una notte alla volta, leggo una pagina della guida alla volta, per la maggior parte del tempo mi scollego da Internet ed evito di cercare info commenti foto suggestioni.  Ogni scalino mi dico: sto qui.
    Respiro. Non penso a ieri, l’ultimo tratto in salita. Non programmo domani, provando a prevedere, premunirmi, prevenire. Mi concedo di immaginare la veduta oltre la curva, tuttalpiù. Il prossimo centimetro sulla mappa.
    E sto qui. Che a ben vedere c’è tutto quello che serve – e molto di più.

    31 dicembre
    Ieri abbiamo camminato sul lungomare di Budva (che a esser sinceri non mi ha colpito granché). Un locale lungo la passeggiata mandava musiche balcaniche e a un certo punto ho visto in lontananza una ragazza orientale -giovane, i capelli scurissimi e lisci tagliati sotto le orecchie – che ballava sulla spiaggia. L’ho vista sorridente, si sarebbe detto felice di quel suo ballo solitario, improvvisato, a pochi metri dal bagnasciuga, a due passi dell’onda. Brava, ho pensato, così si fa. Indifferente al viavai di passanti nel pieno del giorno. Ci sei tu, una buona musica, il mare. Che ti importa se qualcuno ti guarda o nessuno.
    Pensavo questo, mano a mano che mi avvicinavo alla ragazza, quando ho scoperto l’inganno: un uomo la stava riprendendo, o fotografando.
    Rideva e ballava a favore di obiettivo.
    Peccato, ho pensato. E ho pensato quello che vorrei per l’anno nuovo: passi di danza per me. L’entusiasmo e il coraggio di essere quello che sono senza il dubbio di piacere o spiacere a qualcuno.
    Una buona musica, chiedo. Una musica fortunata, potendo. E piedi e pensieri liberi di seguire il ritmo, improvvisando la coreografia.
    Auguri a voi! Che sia un nuovo anno felice.





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  • è che la luce (istanti rubati a #novembre2022)

    On: 12 Dicembre 2022
    In: la mia vita e io
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    3 novembre
    Misteriosa è la vita del capriolo. Ombra che s’addensa ai margini del campo visivo, rumore di foglie e sterpaglie, due salti:sparito. Ma è ancora qui, dietro un dirupo, una curva, un tronco ingobbito: è vicino. Camminare nel bosco è allenarsi a guardare.
    Ma, più di tutto: allenarsi a vedere anche quel che scompare.

    4 novembre
    A volte sembra proprio difficile far succedere le cose come le vorresti. Ti ingegni, ti arrovelli, insisti, riprovi, riparti, ancora e ancora. Ci sbatti la testa, il muso, l’ego. Niente da fare. Quello che stai cercando non arriva. Poi, basta alzare gli occhi, guardare dove stai andando. Camminando a testa bassa ci si dimentica di farlo.
    Davvero la volevi, quella cosa?
    Davvero ti serviva?
    O era forse quello che gli altri si aspettavano che tu volessi?
    Quasi sempre, la risposta chiarisce il risultato. Guardati dall’alto, guarda dove sei, un puntino che si muove sul sentiero.
    Abbi fiducia nella saggezza del sentiero.

    10 novembre
    Persone chiamano altre persone carico residuale.
    Eppure le parole hanno un loro peso – hanno suono, anima, intenzione.
    Non dicevano che è di tutti il cielo la terra il mare il temporale il solleone?
    Io dico che qui si è perso il senso, in mezzo a tante cose futili.
    Lo cerco dove posso, con riti semplici, probabilmente inutili.
    Trovo solo risposte ingenue, che non interessano a nessuno.
    La più facile è: Sì, terra, mare, cielo sono di tutti, e non solo di qualcuno.

    15 novembre
    Sotto cieli altissimi
    mossi dal canto muto delle sirene
    sparpagliamo i giorni.
    Un filo invisibile li inanella come grani – vedremo, domani, la forma che li tiene insieme.

    16 novembre
    In un libro che mi sta piacendo moltissimo, l’analista dice alla protagonista che le madri non dovrebbero avere bisogno dei figli.
    Ci ho pensato su parecchio, e probabilmente ha ragione. Eppure sono 12 anni – e i nove mesi prima, e tutto il tempo passato a maturarli e desiderarli, quei nove mesi e quel che ne è conseguito…
    Insomma, dicevo, a me sembra che sia da tutta la vita -la mia- che ho bisogno di te.
    Auguri amore mio grande, che senza te non sarei più io.

    17 novembre
    (Pulizie d’autunno)
    Dentro giorni di attese e incastri acrobatici quello che mi serve è rimettere ordine.
    Ricollocare una speranza, spolverare un sogno che è lì da un po’, per vedere se mi somiglia ancora. Riordinare lo scaffale dei vecchi rimpianti, buttare quelli che non servono più. Di quelli che restano, prendere solo quanto serve e riciclare le intenzioni, ricalibrare i Vorrei.
    Sverniciare certe antiche convinzioni per vedere cosa c’è sotto. Areare.
    Riappaiare domande e risposte senza che debbano per forza combaciare.
    I vecchi errori: trattarli con cura e seminarli qui e là per vedere se cresce qualcosa di buono.
    Mettendoli insieme, magari, giocando di innesti, potrei capire che non erano poi solo errori.Concimare con autoindulgenza e immaginazione.
    Reimpostare il navigatore emotivo, dopo essere stata almeno un giorno sotto un albero a respirare: è davvero là che mi interessa arrivare?
    Nutrire l’intuito con silenzi e vuoto e stanze per me, e luce lunare. Lasciare che esca dalla scatola dove lo ho relegato, si stiracchi per bene e si metta a marciare. Che scelga il sentiero.
    Adesso, gli dico: Vai tu, per favore. Fai strada.

    18 novembre
    È che la luce si infila tutto dove può. Tu falle spazio.




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  • Fare spazio (istanti rubati a #ottobre2022)

    On: 12 Dicembre 2022
    In: la mia vita e io
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    1 ottobre
    Ottobre porta la sua primavera, buona per chi cammina con gli occhi puntati verso il cielo.
    Vengo anche io con te, mese gentile, a camminare nelle vigne saccheggiate, a contemplare la tua fiammata solitaria – una manciata di coriandoli lanciati in aria.

    11 ottobre
    Per proteggermi dalle aggressioni del mondo non c’è niente che io sappia fare, oltre a pochi gesti semplici.
    Curare il respiro, il raccolto e la semina, il tempo buono da spendere in amore.

    12 ottobre
    Imparare, studiare e approfondire gli argomenti che ci stanno a cuore è uno dei più bei regali che possiamo fare a noi stessi, io credo. Così ho deciso di farmene uno a cui penso da tempo: mi ritiro per una settimana in una bellissima isola di pace nel bosco, tra yurte, alberi secolari, rampicanti, canne di bambù, laghetti e cavalli in libertà. Farò un corso di yoga immersivo. Immersivo in ogni senso.
    Per approfondire una disciplina che pratico ormai da una ventina di anni e soprattutto per stare un po’ con me. Per frequentarmi da vicino. Farmi quelle domande a cui non so o non voglio trovare  risposta, ammesso che una risposta ci sia; inventarmi domande per le risposte che so. Guardare anche la tristezza che provo, la paura che mi segue e delle volte mi precede e delle volte mi fa nido dentro la pancia. (Cosa ci somiglia di più della nostra paura?)Stare un po’ con il desiderio di fare meglio, di vivere appieno, con tutte le cose che vorrei fare (metterle a fuoco) e con quelle -infinitamente più numerose- che non so fare.
    Sfrondare, lasciar andare, fare spazio.
    Sfrondare,  lasciar andare, fare spazio.
    Sfrondare,  lasciar andare, fare spazio.
    Parto così, col mio tappetino e fogli da scrivere. Con la voglia di trovare sentieri che mi piaccia percorrere, anche quando è un andare con mappe di fortuna e la meta solo intuita – in una america che ancora nessuno ha scoperto e che forse non esiste. Con gratitudine e desiderio di restituire qualcosa. Con quello che c’è e quello che no, che va bene così.
    Non so cosa ne verrà. Il senso del viaggio è: viaggiare.

    27 ottobre
    Oh quanti giorni passati senza uscire di casa solo per incontrare una foglia sospesa un istante all’altezza degli occhi, senza ricambiare il saluto del corvo o guardare il mondo cambiare forma e colore. Giorni senza incontrare il gallo, senza carezzare il gatto, senza leggere due versi di una poesia trovata per caso. Senza fare un inchino al cielo, ascoltare una bella musica o infilare le dita nella terra umida.
    Giorni persi nella contabilità spicciola del dare-avere, senza tenere a mente che nessun calcolo di profitto o di perdita renderà giustizia al nostro tempo, se lo sperperiamo in cose di poca importanza anziché riempirlo di presenza e significato, fino a farlo smettere di essere tempo.

    28 ottobre
    Sono uscita a camminare in quell’ora in cui anche questo strambo autunno somiglia davvero all’autunno: le nebbie basse e lattigginose, un cielo indaco che pare di vederlo attraverso un vetro appannato.L’ora in cui la notte somiglia al giorno e il giorno alla notte. Diceva un saggio indiano: ricorda a te stesso, durante le tue ore da sveglio, che quello che vivi è nient’altro che sogno.
    A quest’ora è più facile pensarlo, più vero. A quest’ora, tutto si immagina.

    31 ottobre
    Il tempo non esiste. Tutto è adesso. Sentire questo, saperlo: può essere il risultato della ricerca di una vita. Mi è più facile intuirlo da qui, dal mio posto. Dove sento -pure per il tempo di una capocchia di fiammifero che s’infiamma- tutto quel che mi ha preceduto, tutto quel che segue. Sento le voci di chi mi ha portata qui: nelle voci dei vecchi del paese, nei latrati dei loro cani, negli scherzi dei bambini, nelle litanie del vento. Nel toc delle foglie contro le foglie, nel chiacchiericcio domestico del fuoco, nelle pietre che sotto i passi squittiscono. Tutto qui. E io son tutto eppure così poco e saperlo è un tale sollievo…Nelle ore in cui lo spazio tra i mondi si assottilia, auguro a tutti questo: un luogo, una preghiera, un’ora del giorno, un suono, un fiato… che conduca a casa. Anche solo il tempo di un abbaglio.


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  • Diario quasi d’autunno (istanti rubati a #settembre2022)

    On: 6 Ottobre 2022
    In: la mia vita e io
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    6 settembre
    Nel sogno di questa notte, regalavo un volo per Nairobi alle mie nonne e a mia zia. Mi sono svegliata domamdandomi: perché Nairobi? e con la curiosità di vederne delle immagini. Era l’alba e ho camminato fino a un posto dove mi avevano portato tanti anni fa. Ho resistito alla tentazione di esplorarne ogni vicolo, per lasciare che nella mia memoria resistessero i ricordi così come li avevo lasciati. Lo stesso disordine sul tavolino del bar, i pezzi mancanti, quella precisa luce che batte sul bicchiere, la curiosità incontenibile del dopo. Guccini intanto mi cantava nelle orecchie che non la vedi e non la tocchi, oggi, la malinconia.Ho pensato, camminando, che senza la fantamappa dei nostri luoghi immaginati, inventati e ricordati non saremmo che cani in un cortile, con la catena troppo corta. Ho pensato che ogni canzone è qualcuno o qualcosa che ci viene a trovare. Ho pensato: non lasciamo che trabocchi, e ho allungato il passo.(Ho pensato anche che ascolto sempre la stessa musica e che non riesco ad ascoltarla senza cantare, con gran ludibrio o comprensibile disappunto di tutti quelli che incrocio sulla via).

    9 settembre
    Per affrontare l’aurunno mi riempio gli occhi di questa luce. Già nella mia testa si mescolano, all’aroma del caffè, i progetti per l’anno in arrivo. Lavoro, scuola, sport, corsi, impegni vari, spese. Li aspetto (ma senza fretta) con un misto di timore e curiosità. Forse è questo il momento dell’anno in cui mi è più difficile restare nel qui e ora. Mi perdo in calcoli, numeri, date, incastri, calendari. Mi sforzo di essere qui, nell’odore di salsedine, la sabbia che solletica il piede, il sottofondo della risacca. Di mettere un freno all’ansia di programmazione e a quel sapore amarognolo di un’altra estate che va via.Il primo dei buoni propositi d’autunno: restare con la testa dove sto coi piedi.

    12 settembre
    Il tuo corpo, quando cresce, quanti corpi più piccoli lascia indietro.Piccole dita, piccole mani, piccole rotule bocche talloni. Conservo nella mente i tuoi confini e li ripasso col dito. Ti osservo per farti combaciare con tutti i te che ti hanno preceduto.Tu isola in espansione e il mio amore un mare.Fatico -ma ci provo- a tenere a bada l’onda, a farti sentire contenuto, accolto. Non invaso.
    Amore di madre è quest’acqua che turbina, che stenta a riconoscere la sponda – sempre a rischio di tracimare.

    21 settembre
    Yoga del mattino, nell’orto – finché la pianta dà i suoi frutti ci presentiamo puntuali all’appuntamento quotidiano. Ieri il primo ceppo bruciato nella stufa, comincia il conto alla rovescia per la fine dell’estate. La mia candela accesa è una preghiera: che sia mordibo e gentile, il tempo nuovo che s’affaccia alla mia stanza. Che si spogli del verde, se deve, ma che nutra la speranza.

    23 settembre
    Cosa dovremmo fare, quindi, certi giorni d’autunno. Possiamo aprire le finestre, far circolare l’aria. Meditare sulla lingua dei pesci e sull’incanto della galaverna. Possiamo buttarci un po’ giù e poi venirci a prendere. Usare parole insolite, mandar via la polvere, richiamare con un fischio affilato gli animali notturni.
    Possiamo riempire il bicchiere di tenerezza e non svuotarlo mai.
    Osservare la vita dal fondo, dal lato della morte. Come procedura, esperimento, saracinesca.
    Poi ricordare la volta che abbiamo imparato a respirare. Non c’è niente che non possa fare, chi una volta ha imparato a respirare.



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  • Diario tra i monti (istanti rubati ad #agosto2022)

    On: 6 Ottobre 2022
    In: la mia vita e io
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    4 agosto
    Curare le piante curare le paroleammirare di ognuna la bellezza, prima di metterle a servizio di qualcosa – la tavola apparecchiata per cena, una storia.
    Prima della produttività apprezzare il dono – è sempre un dono, anche quando viene dalla cura. La terra potrebbe non restituire niente (basta vedere adesso, questa siccità), la traccia di parole potrebbe non portare in nessun posto.
    SuccedeMa alle volte succede che il pomodoro ingrossi e arrossi, che lo zucchino ispessisca, coronato dal suo bel fiore giallo.Ma alle volte succede che sulla pagina compaia qualcosa che prima non c’era, una mappa, un disegno – non sarà compiuto come la cicogna di Karen Blixen, ma, forse, sarà qualcosa
    Mi sembra che “cura” sia la chiave di questo tempoe che, per aprire qualche serratura, debba camminare mano nella mano con “speranza”. o, se preferite, con “preghiera”perché il solo modo di abitare questi giorni è con gesti oculati, passi brevi, brevissimi – gocce dispensate con parsimonia e generosa gentilezza.

    8 agosto
    Prima di cominciare a lavorare sono uscita a camminare un po’, nonostante il sonno che mi incollava le palpebre. Ho dovuto buttarmi giù dal letto con un atto di fede, nel bel mezzo di un sogno sanguinario e illogico, uscire di casa ancora prima di aver ingurgitato la dose di caffè capace di traghettarmi fuori dal regno di Morfeo.
    Ma la buona volontà è stata premiata: dopo venti minuti di cammino ho incontrato cinque cervi. Due si rincorrevano su per un crinale, mentre sassi e ghiaia rotolavano a valle. Facevano un rumore di cavalli al galoppo e una sorta di soffio, di sbuffo. Ci sarebbe da aver paura, se non fossero loro a temere l’uomo. Sono rimasta a guardarli incantata finchè non sono spariti su su, in alto, nel folto bosco. Oltre al recinto della pigrizia e delle abitudini, a un passo da noi, c’è tanta di quella vita – vita selvatica e segreta da far impallidire i sogni.Fuori dal perimetro di noi stessi, alle volte, com’è tutto più limpido e interessante!

    10 agosto
    sei amici, una partenza a piedi nel tardo pomeriggio, c’è chi c’è e c’è pure chi non c’è, un rifugio da raggiungere, birrette fresche, polenta, grappe varie, una notte che scende planando dall’alto, si scolla dai monti e ci circonda poco a poco, una luna all’ingrasso, il cielo d’agosto, le vette nere che così nere non le avete mai viste e poi il bosco da attraversare con le torce – provare a spegnerle dove il fitto dirada, allenare la vista dei feliniuna luce che compare nella macchia di fronte, a mezza costa, una luce che si accende e si spegne, si muove restando ferma, trema, si spegne, s’accende. noi che urliamo, nessuna risposta – qualcuno conosce il codice morse? la luce forse manda segnali, forse nemmeno s’accorge di noi, compatti sulla strada grigia di sotto (sto leggendo La lucina di Moresco, è un caso? chi c’è lassù: un bambino con la testa rasata, un alieno in pantaloncini?) di nuovo camminare, di nuovo i nostri scherzi, nella valle ci sono i lupi, uno di noi s’acquatta non visto tra il fogliame, salta fuori al passaggio degli altri, dal buio: Bu! scemo, dice qualcuno, sono gli stessi scherzi che si facevano 30 anni fa, dico io, eppure funzionano come allora, sento la pelle d’oca che dal tallone mi sale ai capellii lupi, se c’erano, sono stati alla larga, abbiamo riportato a casa la pelle e piccole storie di paura, risate di sollievo, cazzate miste a voli pindarici, il vento insolitamente caldo tra gli abeti, e passi dietro ai nostri di tutti i noi giovani incontrati per strada, trovati fermi lì, ad aspettarci per accompagnarci un pezzo, confusi con le ombre, confusi di grappa, ridanciani e pensosi come eravamo e siamoe la lucina chissà, chissà se si è accorta di noise ci ha visti passaree chissà se stanotte s’accende.

    18 agosto
    Ultimo giorno di lavoro.Questa mattina la pioggia ha cominciato gentile, quasi chiedendo: Posso?Pian piano s’è fatta spazio, ha preso coraggio e baldanza, ha gonfiato il petto, batteva sui vetri di stravento, e tutto intorno si rincorrevano tuoni come cani tenuti al guinzaglio.
    Lavoro in una stanza piccola, un tavolo di legno davanti alla finestra col davanzale di legno, pavimento di legno sotto i piedi. Lavorare da qui, dalla mia stanza piccola che guarda Cima Pasubio e il suo occhio sempre desto, lo considero un dono incommensurabile. In pausa pranzo leggo Irene Solà (Io canto e la montagna balla), guardo documentari sulle migrazioni delle cicogne e i fulmini crepano il cielo, strisce bianche, uno schiaffo di luce. Progetto le escursioni dei prossimi giorni, devo cercare una mappa, i sentieri da fare. Io che mi perderei persino nel mio paese, non ci fosse una strada sola.Sto per cominciare le ferie in un’estate che non è più estate, in un principio d’autunno brumoso, o forse in un altro Paese, lontano, dove i Monsoni sono di casa. Le previsioni dicono: dopodomani sole. Dopodomani posso mettere gli scarponcini, infilare lo zaino, salire. Oggi mi godo questa sacca di nulla, la valle cancellata dalla nebbia, le voci nella stanza di fianco, il caffè appena salito nella moka, dita e dita che battono i vetri.
    Intanto le cicogne sorvolano i tetti bianchi di Tangeri e i cani hanno strappato il guinzaglio, e corrono latrando tra le montagne e il cielo.

    22 agosto
    Due giorni in giro per rifugi.Sole, poi nuvole. Crema solare, poi pioggia. Maniche corte poi maglioni, cioccolata calda, libri. Avventura e rifugio.
    La notte che scende al rallentatore, che schiaccia tra due dita la luce in una striscia rossastra. Ancora due passi al buio, la tua mano nella mia tasca – spavalderia mista a timore, la curiosità di quel che non si vede, bestie sanguinarie acquattate al bordo del sentiero. Eppure andiamo, mamma? Fino là, fino alla curva.Le luci del rifugio lontane, una nave sperduta in un nero lago immobile.
    Una partita a carte, piccole confessioni, cose da grandi e cose da bambini.Il mattino perdersi a un bivio, salire alla cieca, bussare a una baita sperduta nel bosco, sulla schiena di un monte, per chiedere: siamo giusti, di qui? Salire e scendere creste, dente austriaco, dente italiano, cima Palon.
    Orgogliosa delle mie gambe che resistono ma soprattutto orgogliosa di te, del tuo andare mani in tasca e sguardo in giro, della tua ironia tagliente, dell’impareggiabile compagno di viaggio che si nasconde sotto la scorza di preadolescente.
    (E sì, anche del tuo senso dell’orientamento, perché se ti avessi dato retta a quel bivio, non ci saremmo persi).

    27 agosto

    Non c’è una pentola d’oro ai piedi del mio arcobaleno. Ma una pentola piena d’ore, semmai, da passare così. Stufa accesa, buona compagnia, gambe stanche per la camminata da allungare davanti. L’odore della pioggia, dell’erba bagnata e del caffè. Il tempo che rallenta, e rallenta, fino a quando non ci si ricorda più di lui.

    2 settembre
    Quasi tutte le mie fantasie di bambina avevano come costante la casa sull’albero. Miei coinquilini fissi erano elfi e folletti.Quest’anno, uno zio molto abile e generoso e tre ragazzini intraprendenti hanno dato forma ai miei sogni di allora. Una pineta al limitare di un grande prato, la luce che filtra tra i rami, un tappeto di aghi e pigne, odore di resina e la più bella palafitta tra gli alberi di sempre.
    Ci hanno lavorato un pezzetto al giorno e alla fine abbiamo chiamato gli amici e abbiamo festeggiato. C’è stata una piccola processione nel bosco con i cesti da pic nic pieni di roba da bere e da mangiare, Prosecco, coca cola. Patatine, pizza. Un pugno di colore tra gli alberi fitti in una sera di fine estate, le nostre voci allegre, a tre a tre (così hanno prescritto i responsabili della sicurezza) salire la scaletta a pioli e brindare da lassù. I miei monti, il bosco, strizzano l’occhio e alzano il calice insieme a noi.La me bambina ubriaca di felicità fa salti altissimi. Elfi e folletti, fate buona guardia mentre siamo via.

    3 settembre
    Sono stati giorni di continui arrivi e ripartenze.Saluti di benvenuto e abbracci di arrivederci. Fanno male, fanno bene.Un po’ stropicciano il cuore, un po’ lo gonfiano di gratitudine,Giorni di cose facili: la fame dopo la salita, la gioia di un’ora di lettura dopo una lunga camminata, l’odore del bosco, il riposo ristoratore del corpo esausto, della mente sgombra.
    La bellezza di raccontarsi gli ultimi mesi (qualche volta anni), di dividere un piatto di polenta, la sera un bicchiere di grappa, due canzoni stonate persino, mentre la notte regala cieli sfarinati di stelle.
    Poche cose mi fanno stare così bene: il corpo che lavora, la mente che si svuota, il cuore che si riempie.
    Grazie a questo tempo generoso e a chi ne ha fatto parte.

    34Laura Chiarello, Irene Brusa e altri 32Commenti: 9Mi piaceCommentaCondividi

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  • Una finestra

    On: 3 Agosto 2022
    In: la mia vita e io, quasi poesia
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    Mille volte sono passata davanti a questa finestra, durante le mie camminate. Solo ieri mattina la ho vista, tra i fiori e le foglie del cappero. Una poesia tra le crepe del muro.
    Luce che entra in un stanza abbandonata chissà quando, chissà da chi.
    Prego di riconoscere la bellezza ogni volta che la incontro. Prego i miei occhi di non trascurare la grazia silenziosa delle cose dimenticate.
    Tutto torna a vivere, quando viene visto.

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