Ieri siamo tornati dalla montagna. Il mattino è cominciato con una nebbia che si smangiava l’orizzonte e dopo è venuta la neve – una neve ghiaccia e dritta ma fitta, potente. Abbiamo fatto una lunga camminata per trovare un amico che aveva a pranzo altri amici e ci siamo seduti nella cucina calda: brillava il fuoco dentro la stufa, il tavolo di legno senza tovaglia era apparecchiato con tre salamini, una bottiglia di vino rosso e piatti bianchi, e l’acqua per la pasta aveva appena preso a bollire.
Poi ancora nella neve, bianca da fare male agli occhi, non so se vi è mai successo di stare in tanto bianco che ubriaca, che fa girar la testa. Ai bambini non girava niente e si buttavano per i pendii con le palette, giù e su, ci facevano male i polpacci solo a guardarli scendere e salire, le guance rossissime e i berretti messi storti per le capriole.
Tornando a casa, a sera, pioveva. Tutto diventa un po’ più mogio e certamente più insipido quando smette la neve e comincia la pioggia, chissà perché. Riflettevo su questo mentre in macchina sentivamo la radio, poi Eliandro ha detto: Sapete a volte cosa mi succede?
Che cosa.
Che penso a una cosa bellissima, così bellissima, che mi viene da piangere. Ma piangere davvero, eh, con le lacrime vere.
Non ha voluto dirmi quale fosse la cosa bellissima. Non la dico mai a nessuno, ha risposto alla mia insistenza.
Ho pensato due cose: la prima che è proprio figlio mio, l’altra che adesso chissà quanto vado avanti a chiedermi quale fosse la sua cosa bellissima.
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Una cosa bellissima e misteriosa (Istanti rubati a #marzo2018)
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Di come nevicare somigli a una musica (Istanti rubati a #febbraio2018)
Dicevano delle grandi nevicate che allora venivano; di tante altre cose e burle che adesso non accadono più perché la gente ha troppi svaghi e poca fantasia.
Mario Rigoni SternUscir di casa quando nevica è una specie di istinto, come poi alzar la faccia per farmi sciogliere fiocchi sulle guance, sulle palpebre. Camminare in quella alta, meglio se si affonda, vedere come si trasformano le cose intorno, come diventano irreali.
Perdono la forma che avevano gli alberi, case, staccionate, pietre; tutto sembra livellarsi, smussarsi, farsi piccolo e nascondersi nel bianco. Non lo vedi, ma pure c’è.Viene la nonna, dico ai bambini quando fuori volteggiano piccole ali bianche.
Per come mia madre l’amava, quando viene la neve io dico che è il suo modo di salutarci.Abbiamo fatto una bella camminata tutti e tre insieme, un giorno che oltre a fioccare c’era un vento che faceva chiudere gli occhi tanto da non veder la strada. Tra le ciglia semichiuse tutto quel chiarore di terra e di cielo diventava indistinto.
Per un piccolo tratto siamo andati avanti a fatica, io un po’ timorosa che loro si pigliassero troppo freddo per i vestiti poco adatti – abbiam visto bianco e ci siamo buttati fuori, senza pensare a metter qualcosa d’impermeabile. Ma loro avanti, con i berretti fin sulle sopracciglia fioccose e le mani inguantate ben piantate in tasca. Ce le facciamo eccome, mi dicevano, caparbi come certi eroi che trovano nei libri e in televisione.È durata poco la bufera, e quando si è calmata un po’ i bambini hanno guardato in su e uno ha detto ridendo, La nonna ha capito che facevamo fatica, e ha abbassato un po’ il volume, facendo un segno con l’indice e il pollice tenuti vicini, per indicare un po’.
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Ho riso anche io, pensando alla forma di quello che non si vede, travestito di bianco, o di niente. Non si vede e non per questo smette di esserci. C’è eccome, e c’è più forte, per farsi sentire, alza o abbassa il volume per spingerci avanti o lasciarci rifiatare. -
Istanti rubati a marzo2017 (Impronte sulla neve e le distanze dell’amore)
A marzo siamo stati in Trentino. Eravamo in una baita in mezzo alla neve e c’è stato sole, e nuvole solo ogni tanto. Tanto sole da accendere distese bianche intorno, come un mare di minuscoli specchi riflettenti.
Abbiamo sciato, e un pomeriggio abbiamo deciso di fare una camminata con le racchette. Lì intorno ci sono pinete bellissime, e poi quella luce. Una passeggiata nel bosco era quel che ci voleva. Peccato che le racchette per i bambini al noleggio non ci fossero – forse non esistono, non so.
Pazienza, abbiamo detto, ci si va tutti senza. Siamo partiti e proprio di fianco alla baita c’è una scuola per guidare le slitte coi cani. C’erano degli husky bellissimi, ci siamo fermati a guardali, a interrogare i padroni. E poi ci siamo avventurati. Prima la strada era piuttosto battuta e la neve soda, poi via via più soffice e si sprofondava sempre più facilmente.
Ma c’era quel gran sole, l’ho detto, quella luce che s’infilava dappertutto – sotto la giacca, tra i rami bassi dei pini, nei pensieri. Siamo andanti avanti.Mi è tornato alla mente una foto che abbiamo fatto Federico e io qualche anno fa. L’abbiamo fatta col telefonino, una notte di febbraio che sulle nostre colline scendeva una neve leggera, inattesa. Avevamo deciso di uscire, lui e io. La foto è in bianco e nero, come i ricordi di quella notte: bianco della neve, nero del cielo. Abbiamo cenato in un ristorante dalle nostre parti, abbiamo bevuto vino. E poi siamo usciti a camminare perché ci sono poche cose che amo come la neve che cade di notte, come l’idea del mondo che si ferma mentre dormo (e vorrei stare sveglia) e che il mattino dopo è un’altra cosa. Non proprio: la stessa cosa, ma diversa.
Non ricordo cosa ci siamo detti, ma ricordo le impronte che lasciavamo indietro. Se riguardassi il percorso vedrei orme vicine -quando ci siamo tenuti per mano- e segni di impronte più distanti, ma parallele – devo essermi fermata con gli occhi chiusi a sentire i fiocchi sciogliersi sulla faccia, o lui si è allontanato a frugare il buio, ad accendersi una sigaretta.
Ho pensato che così è l’amore: camminare tenendosi a portata di braccio. Lasciare orme appaiate.Camminando coi bambini, quel pomeriggio di marzo, non siamo arrivati al bosco. Eravamo tutti e quattro esausti un bel pezzo prima, così siamo tornati indietro. Per fare l’ultimo tratto ci siamo divisi: i bambini hanno fatto la strada più breve e noi quella dove la neve era più compatta, per evitare di sprofondare fino all’inguine, spezzando a maleparole l’incanto di quel silenzio.
Hanno fatto tutto il tratto tenendosi per mano, mentre noi li tenevamo d’occhio.Ho corretto la mia idea di amore, perlomeno quello di madre e padre: guardarli camminare a distanza, tenendosi a portata di sguardo.
Senza lasciare impronte evidenti.In una notte di neve, noi due a lasciare impronte. Il caldo le saccheggerà alla terra, ma non potrà con la memoria.
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Istanti rubati a #febbraio2015
Febbraio è stato un mese per certi versi perfino simpatico. Per esempio, una sera, ci siamo inventati il carnevale. Per recuperare le feste che i bambini hanno saltato causa influenza, ci siamo travestiti, noi quattro e alcuni amici, e ce ne siamo andati in giro così.Read More
Orgogliosi della nostra sfilata handmade improvvisata. -
I regali che ho avuto (e quelli che vorrei)
In paesino montanaro di cento anime non è detto che a Natale la Messa di mezzanotte sia proprio a mezzanotte. Poiché il parroco è uno solo per tutta la valle, deve girare di chiesa in chiesa, sperando che la neve non gli complichi ulteriormente la Vigilia.Read More
Quell’anno, la Messa nel mio paese era stata celebrata alle nove, nove e mezza o giù di lì.
Quando è finita, lasciati alle spalle i cori di Tu scendi dalle stelle e il bagliore di tante candele, mamma mi ha fatto la proposta: perché nell’attesa di Babbo Natale non facciamo un giro con lo slittino?
Non so quanti anni avessi, probabilmente tra cinque e otto, e non ricordo quanta incondizionata fede avessi ancora nella venuta dell’uomo vestito di rosso.
Quello che ricordo perfettamente è il sapore di quella nottata. -
Il gioco della neve e dei tre pulcini
Due giorni di neve, Torino si stropiccia il muso guardando all’insù, contro questi fiocchi larghi come mani aperte.
Tutto sembra più lento: il vecchio attento a non scivolare, donne impicciate sui tacchi, i bambini guance scarlatte che ascoltano come crocchia sotto gli stivaletti quel cielo di granita caduto in strada. -
Quando la neve
Uno dei miei desideri /propositi per il nuovo anno è quello di vedere il mondo dal più gran numero di finestre possibili. La prima del progetto è stata quella spalancata sul Cervino.
Tre giorni intensi, di fortunato sole in un inverno che fino a ora è quasi solo sul calendario. Un’aria mite, bella da sentire sulla pelle quando ti metti con il muso all’insù, stravaccato su una distesa bianca di neve. -
Cose che passano, cose che no
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Heidi, la neve, il mal di testa
Tutto è cominciato domenica scorsa con un’emicrania che non ricordavo dall’epoca delle ciucche stellari durante le vacanzae in Spagna. Quelle che capitano dentro una sera di sangria e te le smaltisci in una tre giorni di acqua naturale.
A dire il vero è cominciato un poco prima, con un’influenza trascurata (in perfetto Fioly-style, direbbe mio padre). Comunque ho pensato di impazzire, domenica, nel lasso di tempo in cui l’antidolorifico ha fatto effetto, io che mi vanto da sempre di non sapere nemmeno cosa siano, gli antidolorifici. Ecco qui la punizione. (altro…) -
Un’ora di inverno