Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

  • Amore di padre

    On: 19 Marzo 2018
    In: lettera
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    mare

    L’amore di padre è un abbraccio travestito da solletico.

    È una bicicletta smontata nel bagagliaio della macchina, per portarla in ferie.
    Amore di padre è un viaggio di chilometri nel caldo d’agosto, con l’auto stracarica. E poi tornare solo, poche ore dopo – l’auto vuota, la musica alta e il finestrino giù.
    Amore di padre sono le macchinine fatte correre, le pile per far funzionare i giochi, i palloni gonfiati a fiato, i cerotti sulle sbucciature, i graffi da disinfettare. Tutti i giocattoli da aggiustare, le sorpresine kinder da montare, castelli di sabbia da costruire, le partite a dama, l’altalena da spingere, la bicicletta senza rotelle. Le gite della domenica con la radiolina per ascoltare le partite.
    Amore di padre è chiamare i bambini quando sono al mare e rimproverarli per la tristezza della sera -non fare così che ci vediamo presto. Poi chiudere la telefonata con il cuore un po’ più stretto.

    Amore di padre sono le occhiate che non hanno bisogno di parole, i dispetti fatti per tenersi i figli addosso.
    Una madre stringe, un padre stropiccia. E in quello stropicciare ci sono le carezze e le parole che si sanno senza dirle.

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  • Istanti rubati a marzo2017 (Impronte sulla neve e le distanze dell’amore)

    On: 6 Aprile 2017
    In: istanti rubati, la mia vita e io, viaggi
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    millegrobbe, trentino

    A marzo siamo stati in Trentino. Eravamo in una baita in mezzo alla neve e c’è stato sole, e nuvole solo ogni tanto. Tanto sole da accendere distese bianche intorno, come un mare di minuscoli specchi riflettenti.
    Abbiamo sciato, e un pomeriggio abbiamo deciso di fare una camminata con le racchette. Lì intorno ci sono pinete bellissime, e poi quella luce. Una passeggiata nel bosco era quel che ci voleva. Peccato che le racchette per i bambini al noleggio non ci fossero – forse non esistono, non so.
    Pazienza, abbiamo detto, ci si va tutti senza. Siamo partiti e proprio di fianco alla baita c’è una scuola per guidare le slitte coi cani. C’erano degli husky bellissimi, ci siamo fermati a guardali, a interrogare i padroni. E poi ci siamo avventurati. Prima la strada era piuttosto battuta e la neve soda, poi via via più soffice e si sprofondava sempre più facilmente.
    Ma c’era quel gran sole, l’ho detto, quella luce che s’infilava dappertutto – sotto la giacca, tra i rami bassi dei pini, nei pensieri. Siamo andanti avanti.

    Mi è tornato alla mente una foto che abbiamo fatto Federico e io qualche anno fa. L’abbiamo fatta col telefonino, una notte di febbraio che sulle nostre colline scendeva una neve leggera, inattesa. Avevamo deciso di uscire, lui e io. La foto è in bianco e nero, come i ricordi di quella notte: bianco della neve, nero del cielo. Abbiamo cenato in un ristorante dalle nostre parti, abbiamo bevuto vino. E poi siamo usciti a camminare perché ci sono poche cose che amo come la neve che cade di notte, come l’idea del mondo che si ferma mentre dormo (e vorrei stare sveglia) e che il mattino dopo è un’altra cosa. Non proprio: la stessa cosa, ma diversa.
    Non ricordo cosa ci siamo detti, ma ricordo le impronte che lasciavamo indietro. Se riguardassi il percorso vedrei orme vicine -quando ci siamo tenuti per mano- e segni di impronte più distanti, ma parallele – devo essermi fermata con gli occhi chiusi a sentire i fiocchi sciogliersi sulla faccia, o lui si è allontanato a frugare il buio, ad accendersi una sigaretta.
    Ho pensato che così è l’amore: camminare tenendosi a portata di braccio. Lasciare orme appaiate.

    Camminando coi bambini, quel pomeriggio di marzo, non siamo arrivati al bosco. Eravamo tutti e quattro esausti un bel pezzo prima, così siamo tornati indietro. Per fare l’ultimo tratto ci siamo divisi: i bambini hanno fatto la strada più breve e noi quella dove la neve era più compatta, per evitare di sprofondare fino all’inguine, spezzando a maleparole l’incanto di quel silenzio.
    Hanno fatto tutto il tratto tenendosi per mano, mentre noi li tenevamo d’occhio.

    Ho corretto la mia idea di amore, perlomeno quello di madre e padre: guardarli camminare a distanza, tenendosi a portata di sguardo.
    Senza lasciare impronte evidenti.

    neve in Monferrato

    In una notte di neve, noi due a lasciare impronte. Il caldo le saccheggerà alla terra, ma non potrà con la memoria.

    millegrobbe, trentino
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  • Eliandro, il compleanno, il pensiero magico e Gulo

    On: 27 Dicembre 2016
    In: la mia vita e io, lettera
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    EliandroPer il suo compleanno, Eliandro non ha chiesto nulla. O, per dire meglio, ha chiesto mille regali, che equivale a non chiedere nulla. La verità è che a lui piacciono le sorprese e qualsiasi cosa -o quasi, ma è un quasi molto sottile- lo fa contento.
    Ha avuto una bicicletta. Naturalmente senza rotelle perché ci sa andare da un pezzo. Il segreto per imparare è uno: Bisogna provare tante volte, velo? E non bisogna aver paura di cadere perché se si cade si impara.

    È la sua filosofia di vita, già abbastanza rodata all’alba dei 5 anni.
    Lui è quello che si programma i sogni prima di dormire: Nel mio celvello ci sono tanti videi: quando mi addolmento scelgo quello che voglio vedere: questo no, questo no… questo! e così faccio il sogno che voglio.
    Io pagherei ogni notte il biglietto, per godermi lo spettacolo dell’intera compilation di videi nel celvello di mio figlio.

    Eliandro ha amici veri, quelli dell’asilo, e amici immaginari. Il più fidato è un drago volante che si chiama Gulo. Un giorno è venuto da me un po’ piccato e mi ha detto: Mamma, papà e Meme hanno riso perché dicono che Gulo sembra culo, ma io che colpa ne ho se si chiama così!

    Giusto. (Certo, ora che sta imparando a scrivere e vuole annotare il nome del drago sotto i disegni che fa all’asilo, qualcuno potrebbe fraintendere… Come quando siamo andati al cinema a vedere Eliot, che lui ha immediatamente ribattezzato, e nelle pause di silenzio sentivi urlare: Vai Gulo!)
    Gulo viene con noi dappertutto, soprattutto in piscina. Perché Eliandro aveva molta paura dell’acqua, al punto da non volersi mai lavare la testa. Ma quando gli ho proposto il corso di nuoto come suo fratello ci ha pensato su. Eravamo in macchina, è stato zitto un bel pezzo.
    A che stai pensando, gli ho chiesto a un certo punto.
    Lui, guardando fuori dal finestrino: Che ci voglio provare, mamma.

    Le prime volte non è stato facile comunque, ma poi ha avuto l’idea che ha cambiato le sorti del nostro corso di nuoto: Sai cosa faccio? In piscina mi porto Gulo e i suoi cuccioli, così loro mi tengono le mani e i piedi e non mi fanno affogare. Bè, difficile da credere, ma da allora non ha avuto più paura e andare in piscina è una festa.

    Lo guardo andare con la bici nuova, impantanarsi, perdere l’equilibrio e rialzarsi. Arriva a stento ai pedali, ha il naso rosso per il freddo, i guanti infangati a furia di cadute. Se la ride sotto il caschetto.
    Se potessi esprimere un desiderio per il suo compleanno, vorrei che restasse così: senza paura degli inciampi, capace di programmare i sogni, e mai, mai arreso. Perché per pedalare bene bisogna cadere tante volte, prima.
    Vorrei imparare da lui, dal suo pensiero magico.
    Soprattutto, vorrei che Gulo ci tenesse compagnia per tanto tempo ancora. E dopo averci aiutati a nuotare, potrebbe continuare a farci volare.

    Il jolly è: auguri, amore mio.

    in bici
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  • I bambini, l’amore, le passeggiate la sera

    On: 1 Giugno 2015
    In: la mia vita e io
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    bambini in un pratoMamma, ci siamo innamorati“. Me lo ha detto Eliandro in macchina, un mattino, andando all’asilo. Parlava di una sua compagnetta, piccola quanto lui – che adesso ha poco più di tre anni, ma le affermazioni decise di uno che ha visto già un bel pezzo di mondo.
    Perché così sono i bambini: fanno dichiarazioni semplici, rifinite bene. Il loro ragionare non sembra il nostro arzigogolato speculare e quando non sanno una cosa non si arrampicano sui vetri: semplicemente inventano. E chissà se nella loro testolina credono vere le cose che immaginano.

    “Io sono molto felice oggi” mi ha detto qualche sera fa “perché ho parlato con i fagioli magici”.
    Amo il loro improvvisare, raccontare mondi fantastici, e li alimento. Domando, interrogo, suppongo. E alla fine non si sa più chi sia il bambino. A volte Lemuele, quattro anni e un pezzetto, interviene, come l’altra sera: “Mamma, i fagioli non parlano, vero? Io non li ho mai sentiti”. Me lo ha detto in un bisbiglio, sotto voce, per non smentire le certezze del fratello.

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  • Da cosa ho capito l’amore

    On: 16 Marzo 2015
    In: lettera, sproloqui
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    sussurri

     

    Ho cercato ragione dell’amore nella mappa dei tuoi nei. Ti ho scoperto mentre dormivi e li ho uniti come fossero stelle di Cassiopea, a spasso per i cieli boreali. Li ho sommati ai miei e ho guardato in controluce se ne veniva un miraggio convincente.

     

    Per capire se è amore ho guardato dentro i tuoi occhi. Più a fondo, sono arrivata all’iride. Più a fondo, alle pagliuzze di luce che danno movimento al volto. Le ho contate per capire se bastano a salvarmi dal buio.
    Poi ho messo la mano sopra la tua, aperta, come in preghiera, per trovare se combaciano le strade del destino che avremo.

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  • Cuore di pane

    On: 11 Agosto 2014
    In: lettera, sproloqui
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    cuore di pane
    Ho cucinato per te.
    Non capita spesso, ma quando lo faccio, lo faccio con cura.
    Doso gli ingredienti con pazienza, come se ogni grammo di troppo dovesse pesarti sul cuore.
    Come se ogni grammo di meno ti togliesse energia per arrivare al tuo sogno migliore.

     

    Ho cucinato con cura.
    Con mani di grano e pensieri di farina.
    Ho usato il burro per sciogliere i passi che ti condurranno a me,
    il sale per portarti al mare.
    Lievito per farti grande nei miei pensieri,
    uova per evocare la perfezione curva della rinascita.

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  • Mio e della vita (il primo parto non si scorda mai)

    On: 14 Aprile 2014
    In: lettera
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    #partodaqui

     

    La fatica.
    Quanta fatica.
    Lo avresti detto?
    No, non lo pensavo. Sono partita così, come per un pic nic. Con una fiducia un po’ arrogante mi sono detta è soltanto un parto, quante lo hanno fatto prima.

    Poi il ricovero: una stanza dove sono arrivata di notte, fuori pioveva che sembrava novembre e infatti lo era, sono arrivata come una ladra, per non disturbare.
    Poi, il dolore. Veniva e andava come un’onda: quasi mi addormentavo quando si ritirava la marea, mi svegliavo sentendola venire di lontano, in un presagio di inondazione.
    Onda, riposo.
    Onda.
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  • L’amore per un figlio

    On: 14 Febbraio 2014
    In: sproloqui
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    mamma e bambinoAmore è accoglienza. Quando prima di tutto lo senti nella pancia. Ma ancor prima stava in un punto imprecisato. Quel posto che per la scienza è il cervello, per la letteratura è il cuore.
    Amore è spavento. Quando per qualche ora non lo senti muovere e le provi tutte. Ti muovi un po’, ti metti su un fianco – qual era il preferito da un feto? – ti muovi più forte, ondeggi, balli la macarena mangiando qualcosa di dolce, poi qualcosa di piccante. Nel dubbio ti siedi a tavola un’altra volta e ricominci la cena. Ballando sul posto. Finché lui, dall’interno, ti smolla un calcio che lèvati, piantala un po’ di agitarti, là fuori, è il messaggio sotteso, nemmeno tanto in codice.
    Amore è spavento quando batte una capocciata più secca, entrando di tempia nel buffet Stornas Ikea.
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  • Lasciamoci ispirare #2 – Falso d’autore

    On: 6 Ottobre 2013
    In: ospiti, sproloqui
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    uomo nella nebbiaCosì eri tu.
    Mi facevi sedere scomoda per terra contro il muro e mi disegnavi con la pelle bianca e il viso ovale –  tu Amedeo Modigliani, io Beatrice Hastings.

     

    Così facevi.
    Mi portavi due giorni a Paris col treno di notte a mangiare dolcetti e bere Pastis. Mi franavi sul collo per navigarmi i nei sulle spalle, noi due accovacciati e segreti sul palmo della Rive Gauche.
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