Perdere un po’ l’equilibrio, o, diciamo così, la giusta prospettiva. Succede, no?
Succede e nemmeno è sempre un male. Serve a reinventarsi, a rimettere a fuoco i contorni, ridefinire le traiettorie.
È un processo, sbilanciarsi e ritrovare una misura nuova, sempre precaria, sempre perfettibile. Ognuno, per farlo, ha le proprie strategie.
Le mie: leggere.
Leggere mi permette di prendermi per mano e portarmi in giro. Dentro e fuori me stessa, ma dentro e fuori miracolosamente combaciano. Leggere è evasione ma anche riapprodo a quello che siamo, riconquista, scavo. Scavo che, quando va bene, ci porta in una parte di noi che non sapevamo esistesse – eppure era lì. Silenziosa.
Poi: scrivere.
Pescare in fondo, grattare con l’unghia. Fino a creparla, smangiarsela, fino a che la patina di indifferenza cede e lascia vedere: come il ghiaccio che ad alta quota scopra un lago di montagna. Tu hai solo l’unghia e il ghiaccio è spesso. Ma gratti. E gratti. E poi chissà, forse arrivi all’acqua, se il punto è quello buono e la forza che ci metti è quella giusta.
(Ottobre è stato il momento di mettere lo smalto, che mi sembra dia brio ai pensieri, e limare le unghie, che si rinforzino un po’.)
Quindi: organizzare un viaggio.
Va bene una gita, un giro, un’uscita. Da fare domani, tra un anno o dieci.
Basta una mappa per sapere come perdersi e un po’ di immaginazione per sapere dove cercare.
L’altro modo di ri-bilanciarmi è: prendere i miei figli per mano – uno da una parte e uno dall’altra – e andare nel bosco. Sui sentieri ritorti tappezzati di rampicanti o sui solchi profondi che gli attrezzi agricoli lasciano a bordo campo.
Uno per mano, e riecco il mio centro.
Ci voleva tanto?
Urliamo -vieni qui, è pericoloso, guarda là! è stato lui!- a tratti cantiamo, litighiamo, ci pestiamo senza volerlo i piedi, spaventiamo i cavalli quando a sera torniamo a casa, un po’ stanchi, un po’ sudati. Li spaventiamo sbucando all’improvviso mentre quelli – i cavalli- se ne stavano placidi a pascolare nei paddock e sentendoci arrivare corrono via sgroppando e alzando terra con gli zoccoli, come se da qualche parte ci fosse stato uno sparo.
Insomma, in questo ottobre, in questo autunno, ho fatto le cose che faccio, in un modo o nell’altro, da sempre. Leggo, scrivo, mi ormeggio alle mani delle persone che amo.
Mentre pestiamo tappeti croccanti di foglie secche penso che la vita è un elenco disordinato di azioni che ci tengono in piedi, mentre formiamo una catena di mani per stare in equilibrio.