Una mamma comincia quando si immagina mamma. Dal primo pensiero che le si incastra tra gli altri. Sembra innocuo, ma spesso è un ragno che tesse e tesse e, prima di capire, sei mani e piedi appesa a quel desiderio. Ci sono donne, come me, che sono state colonizzate dall’idea di un figlio molto prima che questo fosse biologicamente possibile. Sono stata una bambina che si immaginava madre, che cosa strana, a dirlo adesso. Facevo delle cose fantasticando che le avrei insegnate ai miei figli. Per esempio, l’arte felina dell’arrampicata libera sui ciliegi dietro casa. O la bellezza di imparare le lettere e metterle insieme per vedere nascere una storia.
Una mamma è abitata dall’idea di un figlio, molto prima che dal figlio. Ed è l’idea di un modo di stare nel mondo.
Dopo, viene la pancia. Ce la portiamo in giro con la mente scorticata dai dubbi e con il passo che incespica per la consapevolezza dell’uomo che ci portiamo addosso, un uomo tutto intero dentro il corpo minuscolo di bambino. E quel peso, ancora piccolo, sposta da solo l’asse del bene e del male, l’inclinazione del piano delle possibilità.
Essere madre è portare il peso più grande del mondo sentendone tutta l’inebriate, spossante lievità.
Madre contiene il significato sanscrito misurare: nell’etimologia del nome è iscritta la sua sorte di segnare la distanza che metta la vita tra il cuore suo e quello del figlio, che al principio di tutto hanno pulsato in sincrono, lo stesso fiore di atrii e ventricoli, la stessa rosa gonfia sangue che mette un bocciolo.
La maternità è un viaggio, e mai come in questo, non conta l’arrivo, ma il modo di andare. Che sarà comunque un andare allacciati, annodati, invischiati fino al dna, affini per eredità genetica, vicini quasi a combaciare, pure quando sembrerà di stare distanti.
Madre contiene nel nome la pluralità, per questo dire madre è dire il contrario di uno. Una donna che diventa mamma perde la possibilità di pensarsi al singolare, ma guadagna il privilegio controverso e inarrivabile di non essere più sola.
Una mamma comincia in un pensiero e non finisce: continuerà nel pensiero di un figlio.
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Come comincia una mamma
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Quando apri le ali e poi voli
Se ti scrivessi oggi per domani ti direi che non ti serviranno le foto che scatto. Tutte le foto che ti scatto sono solo un tentativo di rintracciare il tuo volto bambino, quando domani sarai grande e i lineamenti piccoli e morbidi si saranno distesi e fermati negli spigoli del tuo volto di uomo.Ti direi che mi strizzi il cuore con quelle dita minuscole, quando mi vieni vicino e mi prendi la faccia tra le mani e sussurri Ti dico un segleto. Ti arrampichi fino al mio orecchio e ci sbricioli dentro qualcosa, parole allo zucchero che a volte finiscono con Ti voglio bene, mammina.Read More
E quando al telefono, come se fossi grande, mi chiedi E tu, come ttai? -
Vojo te
Voglio te.
L’ho sentito in mille canzoni, ritornelli tritaneuroni che ti si insinuano in uno spazio imprecisato tra lobo frontale e lobo parietale, e non si lasciano ignorare. Naturalmente declinati in tutte le lingue/dialetti/idiomi del mondo.Voglio te.
Me lo ha detto un compagno di classe alle elementari, senza troppa convinzione, al momento di costituire la squadra di pallavolo nell’ora di ginnastica.