La vita in Marocco è sulle terrazze. Anche a Essaouira. Salgo su quella del Riad dove alloggiamo, il mattino presto quando il sole ancora vacilla dietro la liena frastagliata dell’orizzonte, a ridosso dell’Oceano.
Mi siedo e lascio fare al mondo.
Case bianche e finestre blu fin dove arrivo a vedere, minareti contornati in mattone, spiaggia lunga distesa dove s’accavallano onde basse, regolari come sentinelle. Palme che imprimono le prime ombre precise nei muri chiari della medina.
Scrivo in piedi, appoggiata a un muretto basso sul quaderno di viaggio. (Ci vuole sempre, un quaderno di viaggio). La strada intorno si anima lenta, come un animale pigro che non sa se è arrivato il tempo di uscire dal letargo.
Odore di salmastro, dei ricordi di Tarifa e di Spagna.
Odore di salmastro, dei ricordi di Tarifa e di Spagna.
Mi si intreccia sulla testa un volo di gabbiani ad ali spiegate, e stare in silenzio a guardarli è un regalo di questi momenti sgombri, solo per me. Disegnano arabeschi nel vuoto, timonieri navigati delle scie di vento, gridano voci roche che fanno gli acuti nella cantilena del mare.
Li vedi imboccare correnti ascensionali, sfidare l’aria a colpi d’ali come se fosse per gioco, e non per dover andare. Per questo mi piacciono i gabbiani: nei loro voli ci vedo il divertimento e sui loro becchi finte tracce di rossetto.
Li vedi imboccare correnti ascensionali, sfidare l’aria a colpi d’ali come se fosse per gioco, e non per dover andare. Per questo mi piacciono i gabbiani: nei loro voli ci vedo il divertimento e sui loro becchi finte tracce di rossetto.
Vengono vicino, si puliscono con il becco le piume. Abituati all’uomo, conoscono che loro sono i padroni del cielo e si contendono con l’uomo, a passi goffi, queste terrazze, terra di confine.
È un privilegio stare qui e osservarli mentre accolgono il giorno, in quel muscolo di cielo che sotto è terra e sopra, fose, paradiso.
Il jolly è: perdersi nel loro volo.