
C’era molta gente, anche amici, ma alcuni pezzi li ho fatti sola. Ci sono state salite da accorciare il fiato e scorci da levarlo proprio, per come si vedeva il cielo, traslucido e vagamente surreale.
C’era la luce di inverno, quella che leva veli senza misericordia, e pialla le ombre e ricalca i contorni.
C’è stato un fuoco trasparente sopra la sera -le fiamme a sgambare in alto- e accanto al fuoco vin brulè da bere bollente.
Mentre si camminava verso casa è venuta la notte.
-Hai paura del buio?
-Se non portasse almeno un brivido, finirebbe il mistero.
La penombra ci camminava a fianco mentre accendevamo le pile da minatore sopra la fronte. Era benvenuta: il chiaroscuro rende omaggio alla sfumatura.
Poi è venuta la luna, così rossa e invadente. Così eccentrica da scippare gli sguardi alle luci dei paesi a valle, ai profili morbidi dei colli.
-C’era la luna, sì. Ma quella si guarda e non si racconta.






