Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

Indonesia Express – Java e Bali con Hati

On: 1 Luglio 2025
In: viaggi
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18 aprile

Si sa che ogni compleanno è occasione di bilanci. Viene naturale tirare le somme, sentire i pesi e i vuoti di quel che si è fatto-dato-avuto-immaginato.
Figuriamoci poi se questo compleanno è quello che segna il mezzo secolo… Per una nostalgica come me, la condanna a 24 ore di ripensamenti e struggenti retrospettive.
Ecco perché, quando il destino ha intrecciato le date di un viaggio con il giorno della mia nascita, ci ho visto un segno del cielo; la voce dell’Universo che perentoria mi intima di guardare non indietro, ma altrove.
Sto trassando, perchè qualche domanda me la faccio lo stesso, tra un aeroporto, un fuso e una passeggiata sopra le nuvole.
Mi chiedo: esiste una scala per misurare una vita di successo? Se guardo la mia strada fin qui, posso dire che il mio conto in banca non pullula di zeri. Che non ho aggiunto la mia firma sul muro della fama. Che non ho ottenuto grandi premi, menzioni speciali né ho fatto qualcosa per cui verrò ricordata dalle generazioni future (per ora 😃)
Posso però dire che la mia vita somiglia in percentuale incredibilmente alta a quella che immaginavo e speravo per me. E posso dire anche che, se la fortuna si misura in amore che ci circonda, beh, decisamente ho sbancato il banco!
E poi “successo” è una parola che non mi piace: fa pensare a qualcosa di già accaduto. Il bello, invece, è quello che c’è da vivere, adesso.
Quello che mi auguro, allora: che la nuova metà del secolo, che ha inizio nei cieli d’Oriente, sia all’insegna di questo gusto buono di scoperta, e che mi si conservi intatta questa benedetta voracità di mondo.
19 aprile

Un uomo a due passi dal binario, in piedi sul bordo della giungla, fuma guardando il treno passare.
Intere famiglie lavorano nei campi.
Bambini con la divisa marciano verso la scuola.
Donne con i cappelli larghi si piegano nelle risaie.
Sul treno da Jakarta e Yogyakarta -più du sei ore di viaggio- cerco di mettere in tasca il maggior numero di dettagli possibile.
Una vegetazione lussureggiante, ipnotica, persino invadente ci accompagna ovunque.
Stiamo poco a poco smaltendo il fuso, anche se non ha aiutato, nel cuore della notte, il canto del Muezzin che ci ha ricordato di avere la stanza proprio sopra la moschea. Non importa. Sono risprofondata nei sogni cullata dalla litania ipnotica.
Nel terzo giorno di viaggio ci siamo svegliati con il trillo degli uccellini nelle gabbiette dell’hotel, abbiamo sperimentato Grab, il servizio taxi indonesiano e cominciato la giornata con un caffè alla stazione dei treni, reso più saporito da post-it motivazionali.
Indonesia, ci conosciamo appena e già mi piaci!

20 aprile

Ogni viaggio, si sa, ha i suoi momenti magici.
Uno di quelli che ricorderemo: ieri pomeriggio, girovagando per un kampung (villaggio) in Yogyakarta, ci siamo imbattuti per puro caso nel tappeto rosso di Asia Esxpress, la versione ungherese di Pechino Express, ovvero la sola trasmissione che seguiamo con entusiasmo da sempre.
Un’emozione incredibile, seguire l’arrivo di tre coppie e farci raccontare da un concocorrente (un famoso giocatore di pallanuoto) e da uno della sicurezza tutti i retroscena del format. Mi è sembrato di essere tra quelli che con un balzo calpestano il logo della vittoria.
Un fuoriprogramma adrenalinico, prima di riprendere il nostro personalissimo Indonesia Express!
20 aprile

Quando stamattina abbiamo incontrato il nostro driver, ci siamo chiesti da quanto avesse superato l’età minima per avere la patente. Mezz’ora dopo, conversando, ci ha raccontato che la sua prima figlia si è sposata il mese scorso.
Con lui abbiamo ripreso la nostra traversata di Java, quest’isola punteggiata di templi e colorate moschee che non smette di tenermi con gli occhi incollati al finestrino.
Questa mattina la cosa più complicata è stata trovare un caffè. Lo abbiamo rimpiazzato, dopo qualche ricerca, con il kopi, una specie di caffè turco non filtrato. Il viaggio è lunghissimo, arriveremo col buio e abbiamo comprato cibo take away nell’ultimo paese prima della giungla, con i soldi che ci ha prestato il driver perché tutti i cambi sono chiusi e l’atm non funziona.
Ma non fa niente. Il viaggio ti insegna che le cose non vengono come le pensavi ma come devono venire. Ti insegna che quello che pare storto si aggiusta. E alla fine di una giornata lunga, il nasi goreng è ancora più saporito.
Così maciniamo chilometri su strade pazzesche e collezionismo paesaggi in questa terra verde, giurassica, dove ogni seme gettato sembra destinato a dar frutto. Mi è sembrato di buon auspicio essere qui, oggi, in questa Pasqua.
Buona Rinascita a tutti.
Che sia florida e feconda.
21 aprile

Ammetto che quando all’una di notte è suonata la sveglia, dopo un paio di ore di sonno e un viaggio lungo dodici, mi sono chiesta chi diavolo me lo abbia fatto fare.
Ho continuato a chiedermelo durante la prima ora di salita al vulcano Djen, dove la scia della mia torcia incrociava quella dei tanti altri che, insieme alle loro guide, arrancavano verso la vetta, in una specie di anarchica e babelica fiaccolata.
La nostra guida, Endi, per farci sopportare la fatica, ci raccontava che lui a ogni risveglio, prima del caffè di mezzanotte che segna l’inizio della sua giornta di lavoro, studia qualche parola di una lingua straniera. Poi parte sullo scooter a incontrare le persone che accompagnerà quassù e sogna di diventare imprenditore agricolo in una risaia.
Arrivata sul cratere, avevo già scordato fiatone e gambe molli. E quando si è alzato il sole, dal mare che divide Java da Bali, mi sono trovata immersa in un mondo preistorico: non mi sarei stupita di sentire la terra tremare improvvisamente sotto le zampe di un tirannosauro.
Sotto di noi luccicava il lago blu e il Vulcano esalava il suo fiato di zolfo, respiro fumoso di bestia mansueta.
Pareva di stare al principio del mondo.
Tornati alla nostra capanna di bamboo nella giungla, il padrone di casa e la moglie ci hanno preparato una colazione a base di noodles e biscotti alle arachidi. Lui ha raccontato di aver vissuto nel Borneo a fare legna e poi lavorato per anni come minatore nelle miniere di zolfo. Ora lo sentivamo scherzare divertito insieme alla moglie in cucina.
E pensavo a quella terra di minatori, lavoranti nelle piantagioni di caffè, guide notturne su sentieri scivolosi e impervi che pure, prima di partire per la giornata di fatica, si impegnano a imparare qualche parola di una lingua nuova, per la bellezza di apprendere, di aggiungere un pezzo, anche inutile, a quello che c’è. Magari solo per insegnare a una famiglia italiana in gita, in una notte umida di aprile, a dire “bello”. In cinese.
22 aprile

Prima lavare le impurità
Poi immergersi per rinascere
Infine cercare connessione interiore e offrire gratitudine.
Per me che non amo i getti d’acqua sulla testa (oltretutto “fresca”) il rito di purificazione al Tirta Empul Temple è stato intenso. Il mio corpo tremava senza che sentissi freddo e ho sentito stanchezza e vigore nello stesso tempo.
Suggestione? Io ho offerto le mie preghiere, salite verso l’alto insieme agli incensi.
Abbiamo visitato le risaie di Tegalalang (ovvero il posto più instagrammabile della storia) e le cascate di Tegenungan e una piantagione di caffè dove abbiamo assaggiato uno dei caffè più costosi al mondo, ovvero quello fatto coi semi digeriti dalla civetta delle palme asiatica (simile a un furetto), il luwak copi.
Oggi è la vigilia del Galungan, un’importante festa balinese che simboleggia la vittoria del Bene sul Male.
Lasceremo le nostre offerte davanti alla porta, in segno di gratitudine profonda per il tanto che abbiamo e per questa terra dove è così facile sentire il proprio cuore battere, qualche volta vibrare, in accordo con il Mondo.
23 aprile

Questa mattina, davanti a un tempio che si preparava per le celebrazioni, mi sono avvicinata all’entrata per sbirciare, dal momento che l’ingresso è vietato ai turisti.
Un ragazzo indonesiano che stava aiutando nei preparativi si è accorto di me e, anziché trattarmi da straniera ficcanaso, con un mezzo inchino si è spostato per lasciarmi guardare.
Un gesto piccolo, che in quel momento mi ha quasi commossa.
Oggi si festeggia Galungan, la vittoria di Dharma, principio cosmico di ordine, verità e giustizia su Adharma, ovvero caos, inganno, egoismo e ignoranza.
Le strade sono decorate di penjor, canne di bambù alte e arcuate, agghindate con foglie di palma, riso, frutti, dolci, fiori, e altri materiali naturali. Davanti a ogni abitazione ci sono piccoli altarini con le offerte.
Da oggi e per dieci giorni si apre un portale: gli antenati tornano nel mondo materiale e vengono omaggiati di cibo, fiori e qualche volta persino sigarette.
Il momento più bello è stato all’alba, con le strade inondate di incenso, quando ogni induista si preparava per la visita al tempio con la famiglia. Le donne erano eleganti e bellissime e portavano grandi cesti sulla testa.
È incredibile la fortuna che abbiamo a essere qui in questi giorni. Ed è impossibile non accorgersi di come sia tutto armonico ed essenziale.
Anche l’invisibile.
24 aprile

Cose a caso di questa giornata di viaggio:
– lo spettacolo di teatro-danza balinese “Il Barong e la danza del Kris” (trama in sintesi: il bene combatte il male, un po’ perde e un po’ vince, si gira in baraonda e finisce con il sacrificio di una gallina e un’offerta al Tempio)
– sulla spiaggia di Padang Padang a scottarsi nonostante gli strati di crema protezione 50, fare liste di buoni propositi, bere acqua di cocco e sgranocchiare pannocchie
– Uluwatu Temple [nelle ore più calde: sbagliato]: la scimmia che ruba gli occhiali da vista a una signora e se li porta su un albero. Altra scimmia che ruba gli occhiali da sole a una signora che si dispera e spedisce il marito a sfidare l’agguerrito mammifero; l’intrepido riesce a riaverli barattandoli con qualche biscotto
– un matrimonio sulla spiaggia (circa due ore di foto agli sposi nel tempo che siamo rimasti lì, ma erano già cominciate quando siamo arrivati e non davano cenno di volgere al termine quando ce ne siamo andati – se il matrimonio sopravvive al servizio fotografico è amore eterno garantito)
– l’adorabile driver che ci ha portati a spasso ci ha raccontato del suo secondo lavoro: di notte va nella giungla di Bali o Sulawesi con un generatore per attirare insetti da spedire a un ricercatore finlandese che li distribuisce tra le università europee -> morale: i tesori più interessanti sono sempre nelle storie delle persone.
25 aprile

Il villaggio di Penglipuran è un villaggio tradizionale dove è possibile visitare dall’interno la struttura delle case familiari. Ognuna è circondata da mura e tiene insieme diverse stanze, aperte e chiuse. Ci sono case che ospitano anche 20 o 30 persone. Sono in comune la cucina e la zona in cui si mangia e lavora, che pare una specie di lunga capanna sospesa.
Da notare che ogni casa ha un proprio tempio e che ci sono passaggi che mettono in comunicazione le case tra loro perché i vicini vivono in rapporti di reciproco aiuto e collaborazione.
(Diciamo che abbiamo molto da imparare).
Ci sono luoghi in cui le parole sono di troppo. Basta la loro energia a farti sentire nel posto giusto al momento giusto. Il tempio Gunung Kawi è uno di quelli. Nascosto nella giungla nella gola del fiume Pakerisa, si dice sia stato creato da un’unghiata di un gigante e canta i suoi atavici misteri a chiunque abbia orecchie e cuore per sentirlo.
Altre cose sperimentate oggi: il durian. Un frutto che ho amato al primo assaggio e che in famiglia mi ha fatto odiare, perché puzza un bel po’.
Il massaggio balinese: praticamente un’ora in paradiso. Non so come potrò farne a meno.
(Così liberaci dagli inquinatori di silenzi, dai vicini di casa invadenti o troppo diffidenti. Liberaci dai posti di cartone per turisti. E da tutti gli spaventi.
Buona festa della Liberazione!)
26 aprile

La meditazione con il suono curativo nelle Piaramidi del Chi di Ubud.
La giungla e gli elefanti.
Una cerimonia in un villaggio di periferia: uomini, bambini, donne con le offerte trasportate sopra la testa e la figura mitologica del Barong che si spostano da un Tempio all’altro.
Sono così ricche queste ore che mi ci vorranno dei giorni per riordinare le emozioni che sto provando.
Vale la pena dormire meno di quello che farei abitualmente per incontrare l’alba, respirare il profumo del frangipane e dell’incenso, incantarsi a guardare le scimmie trastullarsi sui tetti e sui cavi tra le case, nel chiaroscuro del giorno.
E la sera, dopo che il buio scende in un amen, restare sul terrazzino ad ascoltare gli sconosciuti suoni della giungla e i rumori di tamburi e gong lungo le strade.
C’è così tanto da vivere, qui, che le parole per raccontarlo faticano, come se si accalcassero e spintonassero sull’orlo di un imbuto. C’è quello che sento, in una zona di confine tra quel che so a stento esprimere e quello che invece è sfumatura, ora troppo vicina agli occhi per decifrare il disegno.
Me ne sto qui in silenzio, vicino alla statua di Ganesh, incredula al pensiero che domattina, come ogni giorno, qualcuno avrà tanta cura da adornarlo di nuovi e freschi fiori tropicali.
27 aprile

Puntare la sveglia alle 5.45, uscire col buio per fare la prima pratica di yoga e meditazione al The Yoga Barn, uno di quei centri che ogni amante del genere farebbe carte false per poter frequentare (in sintesi: sala bellissima e arieggiata con vegetazione tropicale lussureggiante. Qui mentre pratichi con insegnanti e allievi da ogni parte del mondo puoi osservare gli scoiattoli saltare di ramo in ramo e sentire la musica del fiume).
Poi, vincere la diffidenza nei confronti dell’acqua (si fa per dire: avevo il salvagente) per immergersi nel profondo blu dello snorkeling, tra le onde dell’Oceano Indiano e la barriera corallina. Risalire sulla barca facendo rotta sulla piccola e semideserta isola, tra cervi in libertà, tartarughe marine e varani.
Cerchiamo ogni modo per trovare nuovi punti di vista, altri codici per decifrare la mappa del mondo. Per trovare un altrove che alla fine ci conduca a una vista trasversale o amplificata o che ci avvicini davvero a quello che siamo.
E il viaggio è Maestro di questa ricerca.
Perché è bella è vera quella cosa che la scoperta “non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”, ma è anche vero che i nuovi occhi li costruisci tu.
Passo dopo passo.
28 aprile

Sulla spiaggia dietro il nostro bungalow, questa mattina, la sabbia era nera e soffice e luccicante. Tiepida, tra le dita.
Era bello guardarsi intorno, da una parte il primo alone del sole e dall’altra un arcobaleno.
Ho trovato una piccola pietra bianca a forma di cuore e l’ho raccolta.
Arrivata al bungalow, la statua di Ganesh era già ornata di fiori nuovi e incenso e qualcosa da mangiare e da bere (un biscotto, del latte). Ho lasciato la mia pietra bianca – dalla mia mano alla sua, di pietra. Benevolo Ganesh distruttore di ostacoli.
Mi sono fermata a lungo davanti al Tempio. Ho chiesto una cosa. Non la chiedevo da tanto. Ho chiesto che mi venga aperta una strada che vorrei percorrere. Non una meta. Una strada.
Allora c’era questo: un certo tipo di silenzio bagnato dal canto degli uccelli e dal rumore della saggina mossa a spazzare le foglie, poco lontano, da una donna anziana. La risacca, un rumore piccolo di fondo.
C’erano nuvole e una luce d’ovatta e fiori di frangipane e melograni. C’erano due gatti e quella preghiera che dal cuore è scesa attraverso i miei piedi alla pietra e alla terra – ed è salita su, oltre il pensiero.
Dove è nata, dove è andata?
Ho avuto in risposta un momento di vuoto che dice: si può.
Che dice: perché non metti forza in quel che chiedi?
Sono ripartita con una più certa fede in questo Tutto che si tiene con sekala e niskala, visibile e invisibile.
Sapevo. Certo. Intuivo.
Ma questa terra sì, me lo ha messo tra le mani. Ecco, mi ha detto. Lo vedi? Proprio lì, sul palmo, dove c’era la pietra bianca a forma di cuore.
Ecco: senti.
È stato il più bel dono.
29 aprile

Nel sito indonesiano di Prambanan, nella zona di Yogyakarta, c’è anche Candi Sewu, un bellissimo tempio buddhista.
Durante la visita a Borobudur, il tempio buddhista più grande del mondo, c’è stato in sottofondo per quasi tutto il tempo il canto del Muezzin.
Io credo che questo basti a spiegare come si dovrebbe stare seduti sul mondo, dividendosi uno spicchio da buoni fratelli, siediti qui, guarda: c’è posto.
Del resto, Borobudur è un gigantesco mandala scolpito nella montagna. E tu, pellegrino, sei parte di quel mandala in movimento. Vieni, passi, te ne vai. Ma allo stesso tempo, anche, resti. Come tutto.
È rasserenante: la sensazione di essere sui passi della Storia e su quelli dello Spirito nello stesso tempo. Su una via per cercarsi.
Che poi capita di sentire le stesse cose, ad esempio, in un bosco. O sulla riva di un fiume in una sera di giugno. Coi piedi nell’acqua gelida, sulle pietre lisce. O in quei momenti, forse al tramonto, seduto su un marciapiede o in un giardinetto, che aspetti qualcuno e quell’attesa dilaga e diventa un seme per qualcos’altro di cui ancora non hai contezza; o resta appeso alla tua memoria con un filo che pare bava di ragno ma che invece resiste. E resiste. E si fa porta, passaggio.
Per cosa? Questo, poi, si vedrà.
Che tutto, alla fin fine, è un modo di cercarsi. Alcune vie sono più pittoresche, o tortuose.
Altre, solo più solitarie.
30 aprile

Stavamo camminando per i vicoli, ieri sera, cercando un posto dove fermarci a mangiare. Abbiamo sentito musica provenire da un cortile e mi sono fermata a curiosare. Quattro donne ballavano e ridevano. Quando si sono accorte che le stavo guardano, mi hanno aperto il cancello e invitata a entrare e ballare insieme a loro.
Questa mattina, in giro per i villaggi di Yogyakarta, strade strette quanto le spalle di un pallanuotista. Pensavamo una strada fosse chiusa. Una signora che faceva la spesa a una bancarella si è interrotta per venire a mostrarci un passaggio.
Una ragazza con lo scooter si è accorta di un gattino sul marciapiede piuttosto malconcio. Si è fermata e se lo è caricato suo sedile. Ha fatto qualche metro fino a una casa, forse la sua, dove ha offerto al gattino del cibo.
Ogni mattina, i proprietari del bungalow dove dormiamo ci fanno trovare in giardino cose buonissime cucinate da loro: mini pancake e dolcetti di riso e cocco avvolti nelle foglie di banano.
Ecco due o tre cose capitate in poche ore. Ed è impossibile camminare per strada senza incrociare sorrisi e saluti gentili.
Ora ditemi: come si fa a non innamorarsi di un posto così? 🙂
1 maggio

Java attraversata in treno è una lunga poesia tropicale con palme e banani per punteggiatura.
Una strofa canta le risaie, i suoi aironi a chiazze, un’altra le gonfie nuvole basse e il fumo che sale verticale.
Bambù e canne da zucchero con i pennacchi bianchi ritmano i versi – la giungla irrompe e scompiglia le rime.
Gli uomini -sacchi sulla schiena e sigaretta in bocca- e le donne chine con i cappelli larghi intonano il canto che tiene insieme terra e cielo.
Ogni parola è loro, gli spazi tra le righe sono i gesti.
Il punto a capo? Un’ora di riposo all’ombra, strappata ad un capanno.
Il foglio, prima bianco, sono i tuoi occhi al finestrino.
8 maggio

In indonesiano Hati vuol dire cuore.
Hati-hati significa invece: sii prudente. Lo trovi anche per strada, lungo tratti particolarmente pericolosi.
Hati-hati (cuore due volte) significa: Abbi cura di te.
Mi sembra un augurio così bello, così dolce, da essere una sintesi perfetta di quello che è stato per me il viaggio in questa Terra.
Sono tornata in Italia con queste parole che mi giravano in mente. Forse me le stava suggerendo la me che è rimasta là, a piedi nudi, seduta su una pietra e nell’odore d’incenso, immersa nella musica del gamelan e coi capelli seminati di fiori bianchi e fiori arancioni.
Hati-hati (cuore al quadrato) vuol dire Ti prendi un pezzo del mio cuore e lo porti con te: abbine cura.
E io avrò cura del tanto che questi giorni ci hanno lasciato, delle scintille che mi porto a casa, da far riverberare e crescere quando a occhi chiusi indago il sentiero che mi conduce a me. Terima kasih.
(Un grazie speciale ad Ari @arisujana che, con la gentilezza e la premura tipica della sua gente, mi ha aiutata a organizzare al meglio questo viaggio)
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