“Sono quasi disoccupata”.
“Benvenuta nel clan”.
Non è un allegro siparietto, ma la temuta e verosimile piega che a breve potrebbe prendere il mio destino. Il mio insieme a quello di tanti altri. Come spietatamente comprovano stralci di discorsi a caso in un luogo a caso in un giorno a caso.
Sul tram: “…da noi hanno tagliato consulenti e colleghi a tempo indeterminato…”
Per strada: “…domani manifestazione di protesta dei lavoratori contro la cassa integrazione…”
Dalla pettinatrice:”…hai sentito di Giovannino dell’angolo che ha chiuso?…”
E ciò che accade nella mia azienda, che fino pochissimi anni fa sembrava l’inespugnabile roccaforte del Posto Sicuro, ultimo baluardo dell’Assunzione a Tempo Indeterminato, non fa eccezione a questo agghiacciante panorama.
Nei corridoi non si parla d’altro, nuove voci si susseguono a smentite, a ricerche di conferme, alla richiesta di più rassicuranti informazioni. Al disperato aggrapparsi a un tragicomico e sempre meno fondato ottimismo.
“Probabilmente non si arriva all’anno nuovo”
“Bello, non lesiniamo sui festeggiamenti di capodanno, allora”
“Forse ne mettono 300 in cassa, anziché 80 come dicevano ieri”
“Chissenefrega, io tanto sono tra i primi 10”
“Dice che questo mese non ci pagano lo stipendio”
“Buono a sapersi, aspetta che avviso la banca che aspettino un attimo per la rata del mutuo”.
Un bel nutrito numero di lavoratori che non sa più a che santo votarsi, alla ricerca di qualche risposta sui giornali, nei comunicati sindacali o nei più attendibili fondi di caffè (già provato coi tarocchi?).
C’è chi giura che un rinomato medium di comprovata fama abbia assicurato un altro semestre di attività diversamente remunerata.
Nulla di nuovo sotto il sole, nulla che non somigli a ciò che quotidianamente sta capitando in mille altre aziende italiane. Con la stessa mancanza di trasparenza, la stessa volontaria trascuratezza per le sorti di centinaia di lavoratori che avrebbero, guarda un po’, il diritto di capire che sarà di loro da un mese all’altro.
Non ho scoperto l’acqua calda, lo so. Ma il fatto che stia capitando a molti (ssimi) non significa che non ci si debba indignare, quantomeno, che si debba rimanere per sempre in questo torpore un po’ fatalista in cui siamo sprofondati in tanti (io compresa), vittime compiacenti del tanto-non-cambia-mai-niente.
Perché hanno un bel da dirmi che una crisi è un’ottima occasione per reinventarsi. Sì sì, ma visto che non posso decidere quando, vorrei almeno scegliere io quale campo andare a zappare.
Il Jolly è: non perdere la capacità di scandalizzarsi per come vanno le cose. Servirà a poco, ma se non altro ci renderà meno simili agli automi e a chi molto prima di noi costruiva piramidi a capo chino.
Tags: diritti, disoccupazione, giuseppe ungaretti, jolly, lavoro, sciopero
Siamo tutti nella stessa barca, ma non abbiamo ancora la capacità di remare tutt’insieme, siam lì ad aspettare, vedere se un colpo di vento può sospingerla a riva! Purtroppo, a differenza dei nostri nonni o nonnibis, non abbiamo la capacità di far fronte alle cose stando uniti, ma uniti veramente ed aiutarci. La nostra società ha puntato tutto sull’individualismo, sulla capacità di emergere del singolo, e questo ha rovinato la capacità di aggregazione che invece, nei momenti di crisi è l’unica cosa che ti rende veramente forte! Questo significa probabilmente, che non sono ancora stati intaccati i bisogni primari dell’uomo.
The Real Person!
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penso tu abbia ragione, soprattutto riguardo alla deriva verso l’individualismo. nutro una preoccupazione: se mai venissero intaccati i bisogni primari, non vorrei che -al posto di fare fronte comune- ci troveremmo a diventare ancora più egoriferiti. spero di non doverlo scoprire!
Mi dispiace che stia capitando anche da te (ma forse non è ancora detto, no?)
Pensa che ho lavorato le ultime tre settimane a metà giornata, ripetendo come un mantra che non potevamo farcela, se nei mesi scorsi otto ore al giorno non bastavano, ma niente. Finalmente venerdì si sono resi conto che siamo in megaritardo e allora via a lavorare questi tre giorni a tempo pieno. Altroché se c’è da indignarsi. Ed è vero, oltre alla crisi economica c’è una grande crisi di valori. Sembra che lo stipendio sia regalato e non che sia il corrispettivo per un mese di lavoro.
Un grande in bocca al lupo Fioly.
The Real Person!
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Sì purtroppo è una situazione diffusa come la peste al tempo degli untori. vedremo cosa si inventerranno/ci inventeremo. anche a te un in bocca al lupo gigante e un abbraccio!
teniamo duro;)
…e poi ci sono quelli come me, finta partita iva, l’essere professionisti ma in realtà dipendenti di uno studio, c’è di bello che non mi possono licenziare (non ho un contratto!)….non esiste cassa integrazione…..ma esiste il fatto che possono aspettare a pagarti….e aspettare….e aspettare
di sicuro questa società non può funzionare!meno male che anch’io ho l’orto!:-)
The Real Person!
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sì, il guaio è che non c’è più una forma di “contratto sociale” che funzioni, o comunque non per lungo tempo, salvo rare eccezioni. o non ti pagano, o le tasse ti devastano, o non ti danno lo stipendio… potrei continuare con questa inutile carrellata di sfighe, peraltro inutile. il punto è che si fa davvero fatica a cambiare ottica e imparare a vivere “alla giornata”. almeno per quello che mi riguarda. ora vado a studiare il manuale della semina, mi sa;)
Purtroppo siamo dei numeri, dei meccanismi ben oliati di una macchina per produrre soldi. Il problema è che qualche pannello di comando si è guastato e ha fatto andare in tilt tutto il meccanismo e chi subisce le conseguenze sono gli ultimi ingranaggi. Il problema qui è il cervello di chi comanda e di chi si fa comandare. La nostra società ha un sistema che, oltre che profondamente immorale, non è più sostenibile. A noi non cambia nulla se il sistema collassa definitivamente, mentre a chi i soldi li ha cambia e molto: ecco perché qualsiasi azione è lacita pur di salvare il barcone che affonda. Se, ipoteticamente, non ci fossero più soldi nella mani di nessuno se non di pochissimi ricchi, quei soldi sarebbero carta straccia perché non potrebbero più comprare nemmeno il cibo per mangiare. Per distruggere questo sistema, e forse sarebbe il caso di farci un pensierino, bisogna ritornare al baratto e ad un’economia che si basi sull’agricoltura, perché il 90% di ciò che produciamo non serve a nulla: sono solo inutili orpelli di cui si può fare a meno. Mentre al cibo non si può rinunciare. Una società in cui l’agricoltore è letteralmente l’ultima ruota del carro è una società destinata a morire di fame, magari piena di soldi, ma pur sempre affamata, perchè cammina con la testa e ragiona coi piedi
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Federico la pensa esattamente come te… sarà perché è agricoltore!? a parte gli scehrzi, condivido in pieno la tua analisi. il nostro stile di vita non è più sostenibile, la fase di crescita sembra inesorabilmente in arresto. e il tentativo di rianimare la situazione utilizzando vecchi strumenti pare sempre più disperata. stiamo a vedere cosa capiterà. sperando che l’orto, almeno, non ce lo prenda nessuno
Si’ ma come evolve una societa’ in cui tutti sono agricoltori e fanno la stessa cosa???? O se non vuoi farla evolvere, cos’e’, pura sussistenza personale e niente piu’?
A parte questo, si’, tira una brutta aria.
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bella domanda, difficile la risposta. io credo soltanto (ed è il punto di vista di una formica) che per qualunque cambiamento si dovrà ripartire dal basso. naturalmente non ci si può augurare il passaggio a un’economia autarchica di mera sussitenza. ma forse, per “evolvere”, toccherà fare un passo indietro. in che modi e tempi e con quali prospettive non saprei proprio dire. la mia sola minuscola certezza è che la strada che stiamo percorrendo ora non è “infinita”. bisogna correggere il tiro, in qualche modo
… che ti dire se non “come ti capisco”? Io da fine 2011 a casa in cassa con qualche rientro in azienda per levare le ultime castagne dal fuoco (il loro fuoco, le loro castagne) e ora in mobilità con l’INPS che in 4 mesi non mi ha ancora versato un euro. Io personalmente, l’anno scorso ho deciso di prendermi un periodo fuori dai giochi e mi sono assunta il rischio di starmene a casa a fare quello che mi piaceva. qualche viaggetto, scrivere molto, e la testa orientata verso la famosa idea che mi poteva cambiare la vita. Al momento, un anno dopo, la famosa idea non è arrivata e adesso mi costringo a rientrare nel mondo del lavoro ma con grande difficoltà perchè a Genova è tutto fermo. Nei momenti di crisi come il nostro credo che le persone si dividano in due tipi: chi – se fortunato – rientra subito nel mondo del lavoro e chi, come me, è saturo dopo anni di discorsi da corridoio e non della serie “ci chiudono, è finita” e si chiama fuori. Le aziende, queste entità astratte che poi nascondono solo manager indifferenti del nostro futuro, dei nostri problemi, fanno molti danni, primo tra tutti ricordarti ogni giorno che di te si può fare a meno, che sei un costo che va abbattuto e per questo credo che oltre che economica ci sia una enorme, dilagante crisi di valori. Tu non vali niente, il tuo lavoro vale ancora meno. Spero che ti vada tutto bene e, nel caso tu ti debba trovare a casa, che ti possa venire l’idea del secolo che ti permetta di lavorare con serenità senza subire le decisioni devastatrici di altri. Un abbraccio
The Real Person!
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prima cosa: ma ti rendi conto che abbiamo commentato i blog una dell’altra in contemporanea? se non è telepatia questa!
seconda cosa: grazie per l’augurio, io in questo momento cerco semplicemente di vedere cosa succedere e sospendere il giudizio. per quanto possibile. mi piacerebbe molto prendermi un anno sabbatico da spendere in viaggi, per vedere un po’ come vanno le cose da altre parti del mondo, o semplicemente per vedere un po’ di mondo. ma con due bambini non posso. e comunque, anche non li avessi, non è detto che troverei il coraggio.
tu hai fatto benissimo, e io ti auguro di cuore che l’Idea Che Ti Cambia La Vita sia lì dietro l’angolo. Perché lo sai, vero, che è solo questione di tempo?
Grazie e un abbraccio
carissima questo racconto mi si addice……io sono 1a di quelle che sono a casa in cassa integrazione…..non si sà x quanto tempo!!e sicuramente sarò 1a delle prime che lincenzeranno… ciao
The Real Person!
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siamo veramente tutti nella stessa barca, mi sa. quello che proprio mi irrita è che tutti noi veniamo trattati come numeri e con poco rispetto per le esigente di ognuno, quantomeno, di conoscere la situazione. l’informazione dovrebbe essere garantita, almeno quello.
in bocca al lupo perchè tutto si risolva al meglio. un abbraccio!