Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

Diario tra i monti (istanti rubati ad #agosto2022)

On: 6 Ottobre 2022
In: la mia vita e io
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4 agosto
Curare le piante curare le paroleammirare di ognuna la bellezza, prima di metterle a servizio di qualcosa – la tavola apparecchiata per cena, una storia.
Prima della produttività apprezzare il dono – è sempre un dono, anche quando viene dalla cura. La terra potrebbe non restituire niente (basta vedere adesso, questa siccità), la traccia di parole potrebbe non portare in nessun posto.
SuccedeMa alle volte succede che il pomodoro ingrossi e arrossi, che lo zucchino ispessisca, coronato dal suo bel fiore giallo.Ma alle volte succede che sulla pagina compaia qualcosa che prima non c’era, una mappa, un disegno – non sarà compiuto come la cicogna di Karen Blixen, ma, forse, sarà qualcosa
Mi sembra che “cura” sia la chiave di questo tempoe che, per aprire qualche serratura, debba camminare mano nella mano con “speranza”. o, se preferite, con “preghiera”perché il solo modo di abitare questi giorni è con gesti oculati, passi brevi, brevissimi – gocce dispensate con parsimonia e generosa gentilezza.

8 agosto
Prima di cominciare a lavorare sono uscita a camminare un po’, nonostante il sonno che mi incollava le palpebre. Ho dovuto buttarmi giù dal letto con un atto di fede, nel bel mezzo di un sogno sanguinario e illogico, uscire di casa ancora prima di aver ingurgitato la dose di caffè capace di traghettarmi fuori dal regno di Morfeo.
Ma la buona volontà è stata premiata: dopo venti minuti di cammino ho incontrato cinque cervi. Due si rincorrevano su per un crinale, mentre sassi e ghiaia rotolavano a valle. Facevano un rumore di cavalli al galoppo e una sorta di soffio, di sbuffo. Ci sarebbe da aver paura, se non fossero loro a temere l’uomo. Sono rimasta a guardarli incantata finchè non sono spariti su su, in alto, nel folto bosco. Oltre al recinto della pigrizia e delle abitudini, a un passo da noi, c’è tanta di quella vita – vita selvatica e segreta da far impallidire i sogni.Fuori dal perimetro di noi stessi, alle volte, com’è tutto più limpido e interessante!

10 agosto
sei amici, una partenza a piedi nel tardo pomeriggio, c’è chi c’è e c’è pure chi non c’è, un rifugio da raggiungere, birrette fresche, polenta, grappe varie, una notte che scende planando dall’alto, si scolla dai monti e ci circonda poco a poco, una luna all’ingrasso, il cielo d’agosto, le vette nere che così nere non le avete mai viste e poi il bosco da attraversare con le torce – provare a spegnerle dove il fitto dirada, allenare la vista dei feliniuna luce che compare nella macchia di fronte, a mezza costa, una luce che si accende e si spegne, si muove restando ferma, trema, si spegne, s’accende. noi che urliamo, nessuna risposta – qualcuno conosce il codice morse? la luce forse manda segnali, forse nemmeno s’accorge di noi, compatti sulla strada grigia di sotto (sto leggendo La lucina di Moresco, è un caso? chi c’è lassù: un bambino con la testa rasata, un alieno in pantaloncini?) di nuovo camminare, di nuovo i nostri scherzi, nella valle ci sono i lupi, uno di noi s’acquatta non visto tra il fogliame, salta fuori al passaggio degli altri, dal buio: Bu! scemo, dice qualcuno, sono gli stessi scherzi che si facevano 30 anni fa, dico io, eppure funzionano come allora, sento la pelle d’oca che dal tallone mi sale ai capellii lupi, se c’erano, sono stati alla larga, abbiamo riportato a casa la pelle e piccole storie di paura, risate di sollievo, cazzate miste a voli pindarici, il vento insolitamente caldo tra gli abeti, e passi dietro ai nostri di tutti i noi giovani incontrati per strada, trovati fermi lì, ad aspettarci per accompagnarci un pezzo, confusi con le ombre, confusi di grappa, ridanciani e pensosi come eravamo e siamoe la lucina chissà, chissà se si è accorta di noise ci ha visti passaree chissà se stanotte s’accende.

18 agosto
Ultimo giorno di lavoro.Questa mattina la pioggia ha cominciato gentile, quasi chiedendo: Posso?Pian piano s’è fatta spazio, ha preso coraggio e baldanza, ha gonfiato il petto, batteva sui vetri di stravento, e tutto intorno si rincorrevano tuoni come cani tenuti al guinzaglio.
Lavoro in una stanza piccola, un tavolo di legno davanti alla finestra col davanzale di legno, pavimento di legno sotto i piedi. Lavorare da qui, dalla mia stanza piccola che guarda Cima Pasubio e il suo occhio sempre desto, lo considero un dono incommensurabile. In pausa pranzo leggo Irene Solà (Io canto e la montagna balla), guardo documentari sulle migrazioni delle cicogne e i fulmini crepano il cielo, strisce bianche, uno schiaffo di luce. Progetto le escursioni dei prossimi giorni, devo cercare una mappa, i sentieri da fare. Io che mi perderei persino nel mio paese, non ci fosse una strada sola.Sto per cominciare le ferie in un’estate che non è più estate, in un principio d’autunno brumoso, o forse in un altro Paese, lontano, dove i Monsoni sono di casa. Le previsioni dicono: dopodomani sole. Dopodomani posso mettere gli scarponcini, infilare lo zaino, salire. Oggi mi godo questa sacca di nulla, la valle cancellata dalla nebbia, le voci nella stanza di fianco, il caffè appena salito nella moka, dita e dita che battono i vetri.
Intanto le cicogne sorvolano i tetti bianchi di Tangeri e i cani hanno strappato il guinzaglio, e corrono latrando tra le montagne e il cielo.

22 agosto
Due giorni in giro per rifugi.Sole, poi nuvole. Crema solare, poi pioggia. Maniche corte poi maglioni, cioccolata calda, libri. Avventura e rifugio.
La notte che scende al rallentatore, che schiaccia tra due dita la luce in una striscia rossastra. Ancora due passi al buio, la tua mano nella mia tasca – spavalderia mista a timore, la curiosità di quel che non si vede, bestie sanguinarie acquattate al bordo del sentiero. Eppure andiamo, mamma? Fino là, fino alla curva.Le luci del rifugio lontane, una nave sperduta in un nero lago immobile.
Una partita a carte, piccole confessioni, cose da grandi e cose da bambini.Il mattino perdersi a un bivio, salire alla cieca, bussare a una baita sperduta nel bosco, sulla schiena di un monte, per chiedere: siamo giusti, di qui? Salire e scendere creste, dente austriaco, dente italiano, cima Palon.
Orgogliosa delle mie gambe che resistono ma soprattutto orgogliosa di te, del tuo andare mani in tasca e sguardo in giro, della tua ironia tagliente, dell’impareggiabile compagno di viaggio che si nasconde sotto la scorza di preadolescente.
(E sì, anche del tuo senso dell’orientamento, perché se ti avessi dato retta a quel bivio, non ci saremmo persi).

27 agosto

Non c’è una pentola d’oro ai piedi del mio arcobaleno. Ma una pentola piena d’ore, semmai, da passare così. Stufa accesa, buona compagnia, gambe stanche per la camminata da allungare davanti. L’odore della pioggia, dell’erba bagnata e del caffè. Il tempo che rallenta, e rallenta, fino a quando non ci si ricorda più di lui.

2 settembre
Quasi tutte le mie fantasie di bambina avevano come costante la casa sull’albero. Miei coinquilini fissi erano elfi e folletti.Quest’anno, uno zio molto abile e generoso e tre ragazzini intraprendenti hanno dato forma ai miei sogni di allora. Una pineta al limitare di un grande prato, la luce che filtra tra i rami, un tappeto di aghi e pigne, odore di resina e la più bella palafitta tra gli alberi di sempre.
Ci hanno lavorato un pezzetto al giorno e alla fine abbiamo chiamato gli amici e abbiamo festeggiato. C’è stata una piccola processione nel bosco con i cesti da pic nic pieni di roba da bere e da mangiare, Prosecco, coca cola. Patatine, pizza. Un pugno di colore tra gli alberi fitti in una sera di fine estate, le nostre voci allegre, a tre a tre (così hanno prescritto i responsabili della sicurezza) salire la scaletta a pioli e brindare da lassù. I miei monti, il bosco, strizzano l’occhio e alzano il calice insieme a noi.La me bambina ubriaca di felicità fa salti altissimi. Elfi e folletti, fate buona guardia mentre siamo via.

3 settembre
Sono stati giorni di continui arrivi e ripartenze.Saluti di benvenuto e abbracci di arrivederci. Fanno male, fanno bene.Un po’ stropicciano il cuore, un po’ lo gonfiano di gratitudine,Giorni di cose facili: la fame dopo la salita, la gioia di un’ora di lettura dopo una lunga camminata, l’odore del bosco, il riposo ristoratore del corpo esausto, della mente sgombra.
La bellezza di raccontarsi gli ultimi mesi (qualche volta anni), di dividere un piatto di polenta, la sera un bicchiere di grappa, due canzoni stonate persino, mentre la notte regala cieli sfarinati di stelle.
Poche cose mi fanno stare così bene: il corpo che lavora, la mente che si svuota, il cuore che si riempie.
Grazie a questo tempo generoso e a chi ne ha fatto parte.

34Laura Chiarello, Irene Brusa e altri 32Commenti: 9Mi piaceCommentaCondividi

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