Ci deve essere un doppiofondo del dolore. Un posto dove infilarlo perché non ingombri.
Altrimenti sarebbe impossibile, in giorni come questi, ascoltare le notizie e poi continuare, come niente fosse. Mi rendo conto che, per la maggior parte del tempo, non le immagino DAVVERO le cose che succedono (e sì che le foto e i video aiutano). Le vedo piccole, lontane. Creature mute sul fondo del lago. Tolgo l’audio perché non mi tolgano il fiato.
Poi, in certi momenti, esplodono. A volte lo fanno in modo subdolo, senza che io capisca subito che si tratta di loro – quelle facce, quei corpi, quelle voci senza voce compressi lì sotto.
Ma per lo più le tengo a una distanza emotiva che mi permetta di fare tutto come sempre. Così posso leggere un giornale e poi, persino, fare colazione.
Sperando che il doppiofondo tenga, che il dolore non dilaghi e se ne resti il più possibile seduto lì, buono e zitto dove l’ho messo.
Doppiofondo (Istanti rubati ad #aprile2022)
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