Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

  • L’orologio fermo dice: stai dove sei (istanti rubati a #settembre2024)

    On: 9 Ottobre 2024
    In: istanti rubati, la mia vita e io
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    4 settembre
    Mi si è fermato l’orologio, nella notte prima di venire al mare. Per me, che tutto è segno, simbolo e sincronocità, il messaggio è piuttosto esplicito e non cambierò la pila almeno fino al rientro.
    Detto questo, l’occhio cerca il polso ennemila volte al giorno.
    Lascia stare, mi dico. Non è così importante. Di cosa hai voglia adesso? Bagno, gelato, libro, panino, orizzonte?
    Il dopo lo vedremo.
    Ho pensato che devo essere gentile con settembre. Trattarlo con cura, come un delicato da stendere al sole senza stropicciarlo troppo, senza rimpinzarlo di piani e progetti e buone intenzioni come sempre sono tentata di fare.
    Punto la sveglia prima dell’alba per uscire a camminare e provo a non programmare niente. Mi fermo quando ho voglia di caffè o quando una particolare luce giallastra cattura lo sguardo.
    Che ore sono? I ragazzi si saranno svegliati? Avranno fatto colazione?
    Lo sguardo corre al polso. Inutilmente.
    L’orologio fermo dice: stai dove sei.
    Ho pensato che devo essere gentile, con me, a settembre. Con lo smalto che metto male e si gratta via con la salsedine, con le doppie punte e la pigrizia. Con i pasti alla come ti salta in mente, l’abbronzatura a strisce e il caffè di troppo.
    Ho pensato che a settembre devo essere gentile con me e con quello che mi succede intorno – che forse basta spostare lo sguardo e vederlo.
    6 settembre
    I ragazzi sono andati soli a camminare sul lungomare. Mi hanno chiamata dopo un po’ da un numero sconosciuto dicendo che avrebbero tardato: hanno salvato una beccaccia di mare incastrata tra gli scogli e, ascoltando i consigli di un passante, l’hanno portata in una certa spiaggia dove il bagnino avrebbe chiamato un’associazione per la cura degli animali selvatici.
    Mamma, aveva il cuore a mille, mi hanno detto. Non riusciva più a usare le ali.
    Le camminate da soli sul lungomare fino al paese vicino è una delle loro conquiste dell’ultimo anno. Altra novità è poter restare a casa da soli mentre noi mamme usciamo a camminare.
    Usciamo a camminare, quindi, e parliamo per lo più di loro. Della scuola che comincia, delle cose di loro che ci fanno ridere o arrabbiare. A volte con il cuore alleggerito per la nostra nuova libertà, a volte con l’istinto di cercarli con la coda dell’occhio, abituate come siamo ad averli sui nostri passi.
    Sul quadernino che porto sempre con me annoto le cose che fanno (le lunghe nuotate con la maschera, saltare le onde, la caccia ai granchi lungo gli scogli, le lotte con gli asciugamani arrotolati), per ricordarle quando non le faranno più.
    Loro, i ragazzi, sembrano non curarsi troppo di questi cambiamenti. Li osservo e mi pare di vederli armeggiare con ali nuove, ancora troppo goffe o ingombranti per saperle spiegare a dovere.
    Loro sembrano non pensarci affatto.
    Oggi c’è da tornare alla spiaggia per sapere come sta la beccaccia.
    23 settembre

    L’anima è una lucciola in autunno, dicono.
    Facciamola brillare.
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  • Nulla in me dubita della tua presenza (istanti rubati a #agosto2024)

    On: 9 Ottobre 2024
    In: istanti rubati, la mia vita e io
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    1 agosto
    Scendere nell’orto prima di cominciare la giornata, in estate, è un rito che mi va comodo.
    Scendere con la bocca ancora impastata dai sogni, i piedi negli stivali, la maglia a maniche lunghe nonostante il caldo già prepotente, per non farmi rosicchiare dagli insetti.
    C’è un esercito di insetti, tra i fiori delle zucchine, tra le file di pomodori. Ti fischiano nelle orecchie come fuochi d’artificio.
    Nel silenzio dell’alba, ogni cosa sembra al suo posto. Forse per questo la natura ci affascina tanto. Anche l’ape che ti punge fa il suo lavoro. L’hai spaventata, hai invaso il suo territorio, lei si difende come sa: niente di personale.
    Forse per questo la natura, a volte, tranquillizza: a differenza delle faccende tra umani, ogni cosa segue il suo corso. E il modo in cui vanno o non vanno le cose non dipende da niente che non sia la loro essenza – piegarsi al vento, nutrirsi di pioggia. Rigenerarsi con la luce del sole.
    Non c’è colpa, né senso di colpa, né aspettativa, scopo o frustrazione. Solo lasciarsi vivere e morire e poi rinascere. Ogni cosa al suo tempo, nel presente – una musica esatta.

    10 agosto
    Che poi è facile, se ci pensi.
    Quello che abbiamo è questo sentiero, persone con cui fare dei tratti, un cielo sulla testa che delle volte dice sole e altre tempesta. Altre volte ancora se ne sta azzurro e distante, fa finta di niente.
    E abbiamo queste gambe che è meglio far andare e scarpe da scegliere robuste. E abbiamo voci che ci scortano lungo la strada e che il più delle volte ci riportano a casa.

    14 agosto
    Pensare un nuovo tatuaggio.
    Il bosco.
    Preparare il tiramisù per un ferragosto in cortile.
    Famiglia.
    Il primo caffè del mattino in bottega o sul balcone.
    Cognetti – Giù nella valle.
    Appunti di viaggio.
    Amici. Le birre al laghetto.
    Camminare.
    Meditare sul pavimento di legno, di fronte al Pasubio e le sentinelle di pietra.
    I pasti condivisi.
    Chandra Livia Candiani e Mariangela Gualtieri.
    Ricordare.
    Le serrature del silenzio, la preghiera del ruscello.
    La notte, un nero mare capovolto punteggiato di stelle.
    Moquette d’erba sotto i piedi.
    Nel letto coi bambini, le parole prima di dormire.
    Mi inchino al Dio dei giorni semplici – con la fronte a terra benedico ogni minuscola sterminata grazia.

    19 agosto

    Tu e io, una notte in rifugio, camminare al tramonto. E poi all’alba. La superluna blu di agosto giallissima e quasi piena e tutte le nostre parole – parole che vengono facili, qui, lontano da tutto. Tu che mescoli storie da bambino e riflessioni da uomo, tu che racconti con la voce quasi da ragazzo.
    Mangiare come lupi, dormire come sassi – il vocabolario dello stare bene è preso in prestito dal bosco.
    Come sempre perderci, noi due (anche questa una quasi tradizione), arrabbiarci un po’ nell’erba bagnata, alta che ci arriva ai fianchi, Te lo avevo detto che non era questa la strada. E poi trovare un segno, la rotta, la via – una riga rossa e una bianca su un tronco. Rieccoci sul sentiero che ci riporta a casa.
    (Perché domani, ovunque tu vada, sappia riconoscere sempre il sentiero che ti riporta a casa).
    27 agosto

    Salire al rifugio Fraccaroli è un rito dell’estate – uno dei tanti eppure uno dei più significativi.
    La sveglia prestissimo, la prima parte della salita nella pancia scura e ancora fresca del bosco e poi venire alla luce sulle pietre chiare, sbiancate dal sole.
    La merenda -pane e cioccolata- alla prima bocchetta, quando la vista spazia dall’una all’altra valle, al rifugio infilare le ciabatte, i pasti abbondanti, guardare salire la nebbia, la birretta rigenerante, le gambe a pezzi, il belato lontano di un gregge, il tramonto lento, lento, che non arriva mai – il giorno che non vuol finire.
    Ogni volta le stesse domande su altitudine, chilometri, distanze, la camerata rumorosa, tre piani di letti a castello, al ritorno surfare sul ghiaione.
    Quell’allegria annebbiata, storie di montagna, la polenta e il vino e sempre dire tra noi che la prossima estate magari si cambia meta, magari si dorme in un altro rifugio, magari… e sempre sapere che intanto la prossima estate è qui che ritorni. Perché i riti celebrano il tempo e gli restituiscono senso.
    28 agosto

    Quando un nube
    inghiotte i monti
    roccia cielo terra
    tutto svanisce
    – ma solo agli occhi.
    Oltre il visibile
    tu ci sei.
    Nulla in me dubita della tua presenza.
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  • Scarpe robuste e cuore in ascolto (istanti rubati a #luglio2024)

    On: 12 Agosto 2024
    In: istanti rubati, quando la montagna era nostra
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    3 luglio
    È stato un onore incontrare chi, attraverso le sue parole, ha dato nuova vita veste e linfa a “Quando la montagna era nostra”. È divertente e un po’ straniante pensare che la mia microscopica e selvaggia valle trentina possa essere scoperta tra le polverose strade del Cairo o su una spiaggia assolata di Sharm El Sheikh.
    Il bello delle storie, dei libri: avvicinare luoghi geograficamente distanti. Avvicinare le persone. Fare incontrare.
    È già moltissimo, no?

    4 luglio
    Te la ricordi, la Bambina che c’è in te?
    Quello spirito affamato e libero che ti fa meravigliare, che ti fa emozionare, che crede ai miracoli: qual è l’ultima volta che ti ha parlato?
    Già, perché dopo anni a urlare, sgolarsi, cercare la tua attenzione, lei incrocia le braccia e si mette muta in un angolo. Perché continuare a insistere? Nessuno l’ascolta più.
    Lei dice: Guarda, è là che vuoi andare.
    E tu rispondi: Troppo lontano.
    Dice: È da quella cima che avrai la vista che cerchi.
    E tu: Troppa fatica
    Ancora: È questa la strada da prendere per incontrare quel che ti serve.
    E: Troppi ostacoli.
    Sempre così: Non ho gambe abbastanza forti, non ho abbastanza tempo, non sono abbastanza coraggiosa, non sono abbastanza intelligente.
    Il tempo passa e la Bambina zitta.
    Non li capisce tutti i tuoi limiti, lei che vedeva al buio e inventava universi.
    Le paure le conosce, quelle sì, ma non comprende perché non sei disposta a usare quel briciolo di coraggio.
    Usarlo come uno sgabello, il coraggio: mettertelo sotto i piedi e arrivare a guardare oltre il muro che le paure ti hanno costruito intorno.
    Non le capisce, tutte le rinunce.
    Come se non fossimo al mondo per trovare un equilibrio a forza di inciampi.
    Come se non fossimo chiamati qui per spalancare gli occhi e abbracciarlo tutto, questo vasto folle spaventoso mondo.


    5 luglio
    Dopo una settimana in città, tra strade trafficate e mezzi strabordanti, questo era quello che mi serviva: una mattinata di silenzio e solitudine.
    Sarà l’età, certo, ma che privilegio vivere in un posto che mi somiglia – semplice, disordinato, verdazzurro, selvatico e imperfetto.


    18 luglio
    13, 14 anni.
    Estate.
    Fiume torrente pozza.
    Schizzi.
    Amici.
    Costume o mutande, piedi scalzi, fango nei capelli.
    Afa, zanzare a mazzi, graffi e lividi, ma chissene.
    Mamma, non ci facciamo male, restiamo ancora un altro po’.
    Il sole che si impiglia tra i rami e indietreggia, la sera un solletico a passo di formica.
    Domani niente scuola, si tira tardi.
    Abbiamo tutto il tempo del mondo.
    (C’è qualcuno di noi che non abbia un pezzo di sè ancora impigliato in quei giorni là?)


    22 luglio
    Due giorni tra monti e mare con Eliandro e non si può dire che ci siamo annoiati. Se raccontassi tutto quello che ci è successo probabilmente non ci credereste (e fra l’altro non ne uscirei nel migliore dei modi).
    Fra il resto: una notte in una baita nel bosco, chilometri e chilometri a piedi tra monti e mare, l’attacco di un ghiro, oggetti persi e ritrovati, viaggi in treno fuoriprogramma, una corsa in farmacia, altri oggetti persi e ritrovati, colpi di scena, strade chiuse e rallentamenti vari… praticamente una gita sceneggiata da Quentin Tarantino.
    Abbiamo imparato un po’ di cose, tipo: non avvicinare gli animali nel bosco, per quanto apparentemente docili e indifesi. Ma anche che c’è in giro un sacco di gente solidale e pronta a darti una mano e che figo quando te ne accorgi!
    Abbiamo imparato che vale la pena vivere qualche inconveniente per incontrare nuove storie e per spalancare gli occhi su un’alba che filtra tra il fogliame e fa luccicare il blu del mare laggiù, da qualche parte al fondo dello sguardo.
    Insomma, se vuoi incontrare il Mondo: scarpe robuste, cuore in ascolto e camminagli incontro.
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  • Tutta questa fatica quando bastava nascere gazza? (istanti rubati a #giugno2024)

    On: 30 Luglio 2024
    In: istanti rubati
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    5 giugno
    Giugno è una cupola azzurra, un coperchio di vetro: se ci guardi attraverso intuisci i misteri del cielo.
    La sera, quando scendo a chiudere il pollaio, le gazze sono tutte a becchettare nel prato, prima di rintanarsi nel loro nido-fortezza di fronte alla finestra della mia camera da letto. Le loro piume nereblu brillano sul verde.
    Sta per chiudersi il cancello delle scuole e spalancarsi il portone dell’estate – un altro ciclo si chiude, e il mio cuore è in bilico tra peso e leggerezza, basta un sussulto per farlo scivolare dalla parte sbagliata.
    Per non parlare delle altre cose, le cose che succedono nel mondo e io mi sento così lontana, perché se solo mi soffermassi a pensare di esserci così vicina, invece, tutto quello che sta là si rovescerebbe dentro e intorno, e non ci sarebbe più argine che tiene, e finirei sott’acqua con i pesci.
    Non è sempre un buon momento, per tenersi vicini al mondo. Certi giorni bisogna stersene vigliacchi e distanti.
    Quando lo sento, il cuore, che barcolla e tentenna, scendo nel prato e osservo. I cavalli, Ophelia la puledrina, le minilepri curiose, le formiche sui tronchi, le galline e i corvi che planano bassi.
    Li osservo e mi chiedo: tutta la vita a meditare, cercare la pace interiore, fermare le oscillazioni della mente… Tutta questa fatica quando bastava nascere gazza?
    Forse sbaglia chi parla di reincarnazione: forse la prossima vita, se in questa ci saremo evoluti abbastanza, rinasceremo elefante o scoiattolo.
    Giugno è una cupola azzurra, mi sdraio nel prato e mi perdo. Oltre il coperchio di vetro sono uccello nuvola mosca – un istante soltanto.
     
     
    12 giugno
    Del mio esame di terza media, ricordo con esattezza di aver copiato durante lo scritto di matematica.
    Un esercizio proprio non veniva – non abbiamo mai avuto un rapporto idilliaco, i numeri e io.
    Loro chiedono precisione, io mi appello alla levità della vaghezza.
    Oggi, lo scritto di matematica tocca a Lemuele. Proprio adesso, in queste ore.
    Lo immagino seduto al banco, mentre rosicchia una biro e pensa un po’ all’esercizio e un po’ guarda l’orologio. So che la sua mente scalpita, è già via, all’estate che lo aspetta, ai giorni senza libri e senza sveglia.
    Lo immagino e immagino io com’ero alla sua età e lui com’era il primo giorno di asilo, il sacchettino a quadretti e le pantofoline, e il primo giorno della prima elementare, lo zaino troppo grande e lo spazio tra i denti, la tabellina del 3 e quella del 7 e le figurine all’edicola dopo la scuola, e mi sembra chiaro, lapalissiano, che si tratta di un inghippo spazio-temporale: un errore di calcolo di proporzioni bibliche.
    Che forse pure Dio, c’ha problemi con la matematica.
    Socchiudo gli occhi e sono di nuovo su quel banco in formica – la biro rosicchiata, i prof alla cattedra, il protocollo da riempire, quelle cifre che mi sfuggono.
    Come si trova l’area del cerchio?
    Ho il cuore che frulla come il bastone nella mani di una majorette e le mani sul foglio sono quelle di mio figlio.
    Tranquillo, amore mio, anche se un pigreco ti sfugge, scoverai il modo di far quadrare il cerchio e troverai che la vita non risponde a nessuna formula esatta, ma a un continuo ricalcolo – sfibrante e bellissimo.
    Io resto ferma a guardarti da qui, dal centro esatto e inscalfibile del Sempre, in barba al correre del tempo e alle leggi della fisica.
     
     
    13 giugno
    Orale dell’esame di terza media
    femmine vs maschi
    (trova le differenze)
    La ragazzina in attesa del suo turno agli orali:
    ripete la tesina alle amiche fidate, in ordine cronologico, alfabetico, crescente, decrescente e trasversale, per disciplina e per prossimità geografica, su un piede solo e con le mani legate dietro la schiena, la traduce in altre lingue, ripete date e nomi allo sfinimento e immagina collegamenti tra le materie ripescando dai ricordi scolastici dalla prima elementare in poi.
    Il ragazzino in attesa del suo turno agli orali:
    “Vabbè, intanto che aspetto mi rilasso con un videogioco”
    (si scherza, naturalmente. Fanno così tanta tenerezza, questi non più bambini e non ancora ragazzi che, a guardarli in un momento di vulnerabilità come gli istanti prima del primo esame della loro vita, si allarga il cuore).
     
     
    18 giugno
    “Le porte dell’estate dell’inverno son bagnate”
    – è proprio il caso di dirlo (o cantarlo).
    Sono giorni di pioggia e sole, tra un esame, un concerto, un ritiro di meditazione. Giorni di panni stesi in balcone e ritirati in fretta, di Demon Copperhead, di giri in moto, di corse con gli stivaletti cercando l’ombra intorno a casa, di pratiche di yoga gentili, sotto gli alberi, coriandoli di luce e insetti.
    Sono i giorni del primo telefonino di mio figlio, del suo primo motorino – sbucciarsi per bene le ginocchia in cortile, prima di affrontare la strada, sbucciarmi per bene il cuore prima che lui affronti il mondo.
    Sono giorni di notiziacce che viene voglia di bruciare i giornali, e di sere lunghe, dolci, una coperta soffice di luce sui prati, un’onda verde e viva.
    Tra tre giorni è estate, il Maestrone ha appena compiuto gli anni e non smetto di cercare il mondo negli angoli di casa, e non smetto di cercarmi nei libri e nei poeti, nelle parole delle sue canzoni – e non smetto di cercare.
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  • a sentire la Vita che va celebrata (istanti rubati a #aprile2024)

    On: 9 Maggio 2024
    In: istanti rubati
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    18 aprile
    mi regalo perline e del filo per fare orecchini
    mi regalo di chiamare i miei figli bambini
    anche se il tempo tesse il suo arazzo
    e toccherà chiamare il bambino
    ragazzo

    mi regalo del tempo vicino a chi amo
    che l’amore è la madre di quello che siamo
    ma è pure il padre il nonno e il fratello
    l’amore è la cura e allevia il fardello

    mi regalo un siero che pialla e rimpolpa
    le rughe son belle però a mia discolpa
    io dico non serve volerle più in fretta
    le aspetto tranquilla con una birretta

    mi regalo un incontro con la cartomante
    anche se forse non servirà a niente:
    il futuro lo posso senz’altro aspettare
    quel che vorrei è capire il presente

    mi regalo dei vuoti da riempire al momento
    col cuore ben desto e il telefono spento
    e giorni animati come i cartoni
    che la sera sei stanco ma vincono i buoni

    non festeggio quest’anno
    mi son ripetuta
    ma festeggiare è anche solo
    restare seduta
    magari in un prato a fine giornata
    a sentire la Vita
    che va celebrata.

    25 aprile
    Sarebbe già tanto potersi liberare
    delle corazze inutili
    degli inestetismi
    delle cattive abitudini
    di tutti i fascismi

    delle malelingue e della malasorte
    della paura delle linee che vengono storte
    di quel che va stretto
    di tutto il non detto.

    Sarebbe già molto dire addio
    a chi non dà ascolto
    alle vuote pretese dell’io
    ai dettami insensati della rabbia
    a chi sale in barca e non vuol remare
    ai sogni atrofizzati dentro una gabbia:
    apri la porta, lasciali andare!

    Sarebbe già abbastanza
    spremere la sostanza
    dei giorni e conservare la polpa:
    disperdere al vento
    le acrobazie dell’ego
    e tutti i sensi di colpa.

    28 aprile
    Ci sono giorni che per intensità valgono mesi.
    Ci sono legami che per intensità diventano Famiglia.
    Abbiamo battuto bicchieri e ballato nella neve, abbiamo riso e cantato e mischiato lacrime alla birra, ci siamo scambiati aneddoti come figurine, ci siamo incontrati, ritrovati e riconosciuti e ci siamo abbracciati forte da tenerci in piedi. Abbiamo mescolato incazzatura e gratitudine in parti quasi uguali.
    Sono usciti Ti ricordi? a fiume, e pure rabbia – rabbia che ribolliva come lava dietro le parole e poi anche incredulità e quel po’ di pace che nasce dai cuori che si toccano.
    Se ne sono andati i nostri giorni giovani, ci è sembrato di capirlo adesso – ma non sono passati invano e quello che hanno lasciato sta fuori dalla giurisdizione del tempo. E quello che hanno lasciato certamente basta per tenere il nostro fuoco acceso.
    Le nostre divinità di pietra non hanno smesso di sorvegliarci i passi.
    E noi c’eravamo tutti. Ma proprio TUTTI.



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  • Chissà se ci sono gazze e mamme, sulla luna (istanti rubati a #febbraio2024)

    On: 30 Aprile 2024
    In: istanti rubati
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    15 febbraio
    Intorno alle alle cinque, in casa nostra, Alexa fa un annuncio: Promemoria, andare dai polli.
    I bambini scendono con le giacche peggiori e gli stivaletti e armati di pazienza e una carriola portano i polli dal prato, dove si sono sollazzati durante il giorno, al pollaio. Sono galline giovani, non hanno capito ancora come andarci da sole e non sopravviverebbero, la notte, agli agguati delle volpi, delle faine. Forse dei lupi.
    Spesso li guardo dal balcone. I frulli di ali e le zampate che si prendono in faccia. Le rincorse. Gli agguati giocosi del cane. Come ridono. Le tattiche messe a punto per non farli scappare.
    Amano fare questo più che studiare, e io li rimprovero, ma penso che anche questo è un bel compito: mettere al sicuro chi da solo non può, portare a casa le uova per farci una frittata per cena.
    Sono giorni di caldo oltre misura, per essere febbraio. Tutto è fango intorno a casa. Si va a camminare con gli stivali perché pare di muoversi tra le sabbie mobili. E nelle sabbie mobili ci siamo davvero: per averne contezza basta aprire un giornale, sbirciare una polemica sui social. C’è un’energia pesante, mi sembra. Qualcosa che impasta i pensieri, li intride, li tira in basso.
    È solo una sensazione mia?
    Ieri notte ho sognato un fiume scuro che si inabissa e tanti che davanti a me ci si buttano, veloci, tenendo il fiato per non sentire il freddo. Io resto a riva, non sapendo dove mettere le mie cose: dove lasciare i vestiti, il telefono, gli anelli?
    Chiamavo, chiedevo: dove le lascio le cose? Dove sono le cose di tutti?
    Eppure sembrava salvifico andare, buttarsi: un rito necessario.
    A che mi servivano tutte quelle COSE?
    Che cosa ci serve DAVVERO?
    Ci preoccupiamo di tanto, di continuo. Eppure -mi dico- come vivremmo bene se bastassero quelle poche, minime certezze: qualcuno che al mattino ci accompagna al sole a lucidarci le piume e che la notte ci tiene al sicuro.

    21 febbraio
    “Per Biofobia si intende qualsiasi atteggiamento negativo nei confronti della natura”. Un recente articolo su Internazionale dice che è sempre più diffusa e che aumenta con la lontananza dell’uomo dalle aree naturali. Dice che è pericolosa per la tutela dell’ambiente. Io dico che è pericolosissima anche per chi la prova, che vive cento volte peggio di come potrebbe.
    Per curarla si fa così:
    bagni di neve (se ancora si trova)
    notti nel bosco
    sguazzare negli stagni
    docce di pioggia
    piedi nudi nell’erba
    giocare a palle di fango
    impacchi di muschio
    lampade di luna piena
    scorpacciate di mirtilli selvatici
    avvistamento di pipistrelli
    intrattenersi coi ragni
    arrampicarsi sugli alberi
    seguire i gatti all’imbrunire.
    E ripetere almeno venti volte al giorno, mattino e sera, che siamo fatti di terra. Questo siamo: ambiziose graziose estrose marionette di terra.

    22 febbraio
    Se vuoi che i ricordi non svaporino devi visitarli ogni tanto. Devi visitarli come si fa con le vecchie case abbandonate. Armata di una torcia frontale cercarli di notte, in quella terra di frontiera tra la memoria e il sogno.
    Io lo faccio spesso. Cammino sui pavimenti logori e aspetto le voci che mi vengono a stanare. Apro il forno in cucina, sento i profumi. Accendo lo stereo e riascolto quella musica. Ogni volta trovo qualcosa che non sapevo ci fosse. Qualcosa che un tempo era lì, invece, è andato perso per sempre. Nel chiaroscuro dell’alba esco in balcone. Mentre la prima luce dirada il buio, accendo una sigaretta – dentro i ricordi lo faccio spesso. Tra i cerchi di fumo cerco con gli occhi quello che c’era.
    Sono organismi viventi, i ricordi. Alcuni ti aspettano come cani fedeli accucciati davanti al portone. Altri sono solo uno sguardo giallo nella penombra – un sorso di fumo e son persi.

    (Febbraio e io)
    Osservatorio astrologico
    Ci ero già stata, ma per la prima volta ho osservato la luna. La superficie lunare. I crateri da impatto, le ombre che proiettano i monti. Gli avvallamenti.
    Era come starci sopra, camminare le strade del cielo. Ogni tanto mi chiedevo: ma sarà vero? Non sarà mica un cartonato messo lì tanto per illuderci che ci sia altro e irraggiungibile, come in un planetario Truman Show? Naturalmente poi ho pensato a tutte quelle cose dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande e di come è difficile, lì in mezzo, trovare la misura. Mettere in scala quello che siamo e, soprattutto, quello che non siamo.
    E se davvero l’universo si spegne? Ho chiesto al povero ragazzo che ci spiegava le stelle e i pianeti, vessato dalle mie mille domande.
    Non ci saremo per vederlo, mi ha risposto.
    E anche quella mi è sembrata, lì per lì, una certezza fuori scala.
    Con febbraio ho un rapporto faticoso da 19 anni ormai, dall’ultimo febbraio che la mia mamma ha visto da qui.  È un mese che sento arrivare da lontano, che comincia già in gennaio a raschiarmi in gola, a solleticare quella mia sempiterna propensione a parlare con l’invisibile, a chiamare a raccolta le voci che non passano dall’udito. Febbraio mi rende esperta traduttrice di silenzi.
    Intanto, i minuti di luce sono cresciuti come monete nel salvadanaio, è caduta pioggia e pioggia (finalmente), le gallinelle hanno preso a fare molte buone uova. Le gazze che vivono in cortile si son messe a ingrandire il nido di fronte alla finestra della mia camera da letto. Quando sono alla scrivania le guardo lavorare instancabili. Vanno e vengono di continuo. Chissà quando riposano. Chissà come la vedono, da lassù, la luna.
    Chissà se ci sono gazze e mamme, sulla luna. Le leggi della fisica dicono che no – ma anche questa mi sembra una certezza fuori scala.


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  • Baia di Kotor, luci intermittenti e una musica fortunata (istanti rubati a #dicembre2023)

    On: 13 Febbraio 2024
    In: istanti rubati, la mia vita e io, viaggi
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    13 dicembre
    Federico ha messo le lucine sull’abete in cortile. Sono gialle e intermittenti e quando le guardo di notte -le vedo anche dal letto- mi sembra che la notte sia più larga, spaziosa. Ci stanno dentro più cose.
    Quest’anno il freddo lo sento più forte. Non so se è solo una questione di temperatura o di me che invecchio. Non credo. Mi copro, strati su strati. Eppure. C’è un’umidità che passa attraverso i tessuti, la pelle, le ossa. A volte vorrei qualcosa che mi rendesse impermeabile.
    È che certi bocconi -anche se non sono destinati precisamente a te- hanno un gusto talmente cattivo che viene da pensare che siano medicine. Ma se poi non lo sono? A che servono, se non curano?
    C’è nebbia e starla a guardare dai vetri mi piace. Leggo Baricco, James Still e Thich Nhat Hanh.
    Leggere alza la mia temperatura interiore. Come aprire una mappa, disegnare una strada. Come chiamare un’amica. Come stravaccarmi sul divano coi bambini e dire: Scegliete un bel film in tv. Come dicembre, quando si fa tana in cui rannicchiarsi. Come piangere quando fa bene. Come guardare le luci sull’abete – accese spente accese spente – il buio che dura un battito di ciglia.
    (Felice Santa Lucia a tutti)

    24 dicembre
    Per un paio di giorni ho guardato il mio albero dalla stanza da letto: influenza. Me ne sono stata sotto le coperte in uno stato di dormiveglia. Avevo bisogno di questo. Riposo. Letargo. Ne ho bisogno ancora, a guardare bene.
    Quando mi sento meglio, leggo. Assaporo con lentezza quella meraviglia che sono i racconti di Rick Bass (La vita delle rocce). Scrivo biglietti di Natale. Scrivo messaggi di auguri.
    Luce!, dico. Luce!, scrivo.
    Ma lo so, lo sento, che alle volte quello che serve è fare tana nel buio.
    Raccogliere le gambe al petto, stringerle con le braccia. Sentirsi il cuore.E allora anche gli auguri sono per piccole cose piene di significato.
    Una bella storia – qualcosa di rassicurante a cui pensare la sera.
    Un letto da cui vedere le luci sull’albero o uno scorcio amico oltre i vetri.
    Una stanza calda – meglio una stufa, qualcosa che brucia, sulla stufa una buccia di mandarino.
    Qualcuno che passa a chiederti: ti porto una spremuta d’arancia?
    Una caramella, un frutto, un cioccolatino – qualcosa di dolce per mandare via l’amaro.
    Una persona a cui vuoi bene che ti scrive: sto meglio.
    Qualcuno che va in farmacia al posto tuo.
    Avere un piano b e metterlo in pratica senza troppi rimpianti, quando certi progetti vanno in fumo.
    Una lettera. Il bosco. Caffè.
    E per chi ha la grazia di avere a portata di mano o pensieri le quattro cose che contano: gli occhi giusti per vederle. Anche per chi, ora come ora, questo lusso non sa proprio cosa sia.
    Davvero, solo questo. Che sia sotto il sole o nel buio a piombo di una lunga notte boreale: avere gli occhi giusti per vederle.
    Auguri a voi.

    27 dicembre
    A te che sei coraggio e vulcanica immaginazione. A te – tutto cuore e capriole tra le nuvole – che da dodici anni ci riempi la vita di Magia…Grazie per essere esattamente quel che sei. Auguri amor mio!#12

    30 dicembre
    Quello che devo imparare, soprattutto quando viaggio: stare con la testa sui miei passi, in asse con il corpo. Non, come son solita, oltre la prossima tappa, a sbirciare tra le immagini della prossima meta. Stai qui, adesso, mi dice la Vita: non è per questo che mediti? Mezzore seduta a gambe incrociate o abbandonata in shavasana e poi? La tua mente resta la solita scimmia che senza vergogna nè saggezza dondola di ramo in ramo.
    Me lo dice in modi diversi, la Vita. Ad esempio: programmavo l’Ammerica e sono sui Balcani. Croazia, Montenegro. Baia di Kotor. Mangiamo arance mele mandarini fichi secchi rotoli di pizza e involtini di formaggio, ascoltiamo Goran Bregovic, beviamo tisane di Rooibos caramel, leggo Lana Bastasic (meraviglia!).
    Costeggiamo la baia di Kotor che è un pezzo di vetro costellato da una strada stretta. Ci perdiamo per i vicoli di tufo seminati di luci e saliamo centinaia di scalini fino ai resti della fortezza di San Giovanni.
    Prenoto una notte alla volta, leggo una pagina della guida alla volta, per la maggior parte del tempo mi scollego da Internet ed evito di cercare info commenti foto suggestioni.  Ogni scalino mi dico: sto qui.
    Respiro. Non penso a ieri, l’ultimo tratto in salita. Non programmo domani, provando a prevedere, premunirmi, prevenire. Mi concedo di immaginare la veduta oltre la curva, tuttalpiù. Il prossimo centimetro sulla mappa.
    E sto qui. Che a ben vedere c’è tutto quello che serve – e molto di più.

    31 dicembre
    Ieri abbiamo camminato sul lungomare di Budva (che a esser sinceri non mi ha colpito granché). Un locale lungo la passeggiata mandava musiche balcaniche e a un certo punto ho visto in lontananza una ragazza orientale -giovane, i capelli scurissimi e lisci tagliati sotto le orecchie – che ballava sulla spiaggia. L’ho vista sorridente, si sarebbe detto felice di quel suo ballo solitario, improvvisato, a pochi metri dal bagnasciuga, a due passi dell’onda. Brava, ho pensato, così si fa. Indifferente al viavai di passanti nel pieno del giorno. Ci sei tu, una buona musica, il mare. Che ti importa se qualcuno ti guarda o nessuno.
    Pensavo questo, mano a mano che mi avvicinavo alla ragazza, quando ho scoperto l’inganno: un uomo la stava riprendendo, o fotografando.
    Rideva e ballava a favore di obiettivo.
    Peccato, ho pensato. E ho pensato quello che vorrei per l’anno nuovo: passi di danza per me. L’entusiasmo e il coraggio di essere quello che sono senza il dubbio di piacere o spiacere a qualcuno.
    Una buona musica, chiedo. Una musica fortunata, potendo. E piedi e pensieri liberi di seguire il ritmo, improvvisando la coreografia.
    Auguri a voi! Che sia un nuovo anno felice.





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  • mare, Tangeri, un orecchino a forma di piuma e una collanina di semi marroni (istanti rubati a #novembre2023)

    On: 13 Dicembre 2023
    In: istanti rubati, viaggi
    Views: 1110
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    10 novembre
    Lusso è un tempo senza meta
    nè orologi

    14 novembre
    Giorni così, che qualcosa ti sfugge e non sai cos’è.
    Allora butta le mappe e prova: macchina, radio, strada, caffè.
    Quando la terra finisce parcheggia, scegli un sentiero che carezza il mare.
    Camminagli al fianco, fedele, vicino, onda a onda, cuore a cuore.
    Cammina, non importa per dove.
    Speravi il sole, ma guarda come sono più belli, come sono più intense le cose quando è tutto grigio e quasi piove.
    Cammina, chiedi al mare: ci capisci qualcosa, tu?
    Chiedi al mare: là, dove tocchi il cielo, in quel punto preciso, vedi qualcosa di più?
    Lui fa finta di niente, ma insisti.
    Cammina, domanda. Resisti.
    Quello che l’onda prende poi te lo riporta.
    Quello che il cuore nasconde è solo dietro un’altra porta.

    16 novembre
    Nella prima foto, che ha qualche anno, c’è lo sguardo innamorato con cui ti tieni vicino le cose che ti stanno a cuore – gli animali, la natura, le persone che ami.
    (Nella seconda foto c’è l’impazienza con cui aspetti di mangiare il sushi).
    Amore mio, che quello sguardo sul mondo pieno di accogliente e generosa tenerezza ti accompagni sempre e renda il tuo futuro un luogo che vale la pena esplorare, giorno dopo giorno.
    Felicità!#13anni

    24 novembre
    Sono stata la prima volta a Tangeri più di venti anni fa. Anche venticinque. Avevo gli anni di quando parti in scarpe da ginnastica e t-shirt e una sacca sulle spalle (proprio come adesso, ma son cambiati gli anni). Comunque: il mio primo boccone d’Africa, era stato Tangeri. Ci ero arrivata in traghetto da Ceuta con un’ansia da scoperta da esploratore del Nuovo Mondo. E si è marmorizzata nella mia memoria come un’oasi bianca di luce lattigginosa e verde di palmeti e ulivi. E tutto quel blu che riempiva il cielo e colava dappertutto.
    Ci torno oggi. A cercare uno sfiato ai giorni. A perdermi per la Medina, respirare gli odori acri e speziati dei Souq. Ci torno sulle orme dei grandi della Beat Generation (Kerouack, Borrowghs, Bowles…), sulle orme della loro fuga dal mondo. E sui passi della me ventenne, i sandali pieni di sabbia, i capelli impastati di salsedine, e tutta la fame nello sguardo. Sono venuta a riprendermi tutto quel blu.

    25 novembre
    Ad Asilah – mezza Marocco, mezza Andalusia – siamo arrivati in treno. Un treno con le cuccette che costeggia pezzi d’Oceano e pezzi di campagna di pecore e pastori. Abbiamo camminato per la Medina tappezzata di murales e tappeti, comprato regali di Natale, guardato bambini in infradito giocare in piazza con un pallone sgonfio; qualcuno urlava Leo Messi, qualcuno si interrompeva di tanto in tanto per piazzare souvenir ai turisti di passaggio. Abbiamo ascoltato il Muezzin chiamare alla preghiera, uomini scalzi davanti alla moschea, abbiamo incontrato giovani che vendevano fumo e tè alla menta, biscotti al cocco e hashish.
    Abbiamo mangiato zucchero filato rosa sotto nuvole di zucchero filato bianco. Abbiamo ripassato inglese e geometria nei tempi morti. Abbiamo guardato i cavalli galoppare in spiaggia, le donne con il velo e le mani decorate con l’hennè.
    Alla sera, di fronte a una luna-lampione appesa sul mare, ho pensato come fa bene, ogni tanto, sentirsi solo uno degli infiniti possibili punti di vista.

    26 novembre
    Oggi abbiamo imparato che l’esploratore tangerino D’Ibn Battouta nella prima metà del 1300 ha percorso un viaggio di 100mila chilometri lungo 29 anni tra Africa Europa e Asia. 29 anni in viaggio: ma ci pensi?
    Quando si dice che Casa è il mondo…Abbiamo camminato parecchio anche noi (qualcosina meno di lui) e ho capito che potrei passare giorni così, osservando i berberi vendere barbabietole e cipolle negli anfratti della kashba e i turisti leggere Erich Fromm di fronte a un tè verde tra gli alberi di arance. Giorni a starsene così, spettatori delle vite altrui.
    Mi sono regalata un orecchino a forma di piuma e una collanina di semi marroni. Li ho scelti su una bancarella per avere un ricordo, senza pensare, e ho capito dopo che è quel che mi serve adesso: un po’ di leggerezza e qualcosa che mi ricordi che è nel buio che si germoglia.

    28 novembre
    Quando si torna da un viaggio, sempre si porta a casa qualcosa.Nei giorni trascorsi in Tangeri, Lemuele e Eliandro si sono presi cura di un gattino che viveva per strada, nei vicoli intorno al nostro albergo. Di ogni pasto mettevano da parte bocconi, avvolgendoli nei tovagliolini di carta e mettendoseli in tasca. Andavano a cercarlo e gli spezzattavano il cibo davanti, perché il gattino aveva un problema evidente alla mandibola. Restavano con lui per un po’ e ci tornavano ogni volta che potevano.Il gattino ci ha messo niente ad abituarsi a loro, alle loro cure, a camminargli incontro quando li vedeva arrivare per strusciarglisi contro i polpacci.
    Al momento di partire, lo hanno abbandonato con il cuore pesante, dopo averlo affidato a uno dei ragazzi che lavora in albergo. Si sono studiati una frase di inglese per chiedergli di prendersi cura di lui.
    Mi porto a casa anche la loro faccia triste mentre ci allontanavamo dalla Medina, la sera già alle calcagna, i loro sguardi lucidi fuori dal finestrino.
    Gli avete regalato tre giorni più belli di quelli che avrebbe avuto senza di voi, ho detto loro, cercando di consolarli.
    Ma la ragione a volte non basta. Non basta quasi mai. Bisogna tenersi cucito addosso un po’ di dolore, qualche volta, prima che il tempo e la vita lo trasformino in qualcosa d’altro.
    Qualcosa che dica di quello che siamo.








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  • Ringraziamo sempre, quando torniamo a una casa con un fuoco acceso (istanti rubati a #ottobre2023)

    On: 13 Dicembre 2023
    In: istanti rubati
    Views: 400
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    2 ottobre
    Ogni tanto vorrei uscire da me.
    Fare due passi in giro,
    portarmi a spasso.
    Sentire il mondo
    senza il filtro della mia voce.
    Guardarmi vivere – nè più nè meno
    di come vedo il tasso,
    la foglia del faggio sospesa in ottobre,
    l’orlo sfilacciato della sera che sfiora l’erba azzurra.
    La favolosa vertigine
    del cielo
    frullato di stelle
    sulle cime dei montia
    ppuntiti come spilli.

    4 ottobre
    Un autunno travestito da estate.
    Mi alzo prima dell’alba controvoglia, aggrovigliata nei sogni da cui riemergo a fatica, cercando a tentoni il filo d’arianna che mi riporti nel mondo.
    Lonesome Dove con il primo caffè. Sono alle ultime tappe del viaggio, un viaggio di quasi mille pagine e già mi chiedo come farò senza tempeste di sabbia al tramonto, senza mandrie da spostare al Nord, risse, bordelli, senza whisky da bere a sera intorno al fuoco.
    Come farò senza Gus?
    Salgo sul treno verso l’ufficio ma sono in una prateria senza orizzonte tra Texas e Montana, in un autunno che pare estate e niente è proprio come sembra, come sempre. Ma ogni tappa del viaggio ti insegna un modo di andare, anche quando hai gli occhi pieni di sabbia e cammini verso qualcosa che non sai mettere a fuoco. Ti insegna dove è sicuro fermarsi a rifiatare e quali sono le persone che ti vedono davvero, anche in una notte brumosa e senza stelle in Tennessee.
    “-Dove sei stato negli ultimi quindici anni?
    -Quasi sempre a Lonesome Dove. Ti ho scritto tre lettere.
    -Mi sono arrivate. E cosa hai concluso in tutto questo tempo?
    -Ho bevuto molto whisky.”

    19 ottobre
    È arrivato il freddo, per fortuna.
    L’altra sera abbiamo acceso il camino, bentornato Autunno.
    È finita l’invasione di cimici, le ultime non sono più baldanzose e scattanti ma barcollano sulle zampe in cerca di tepore. L’edera arrossa e ingiallisce l’acero giapponese. Le tartarughe sono scese nelle loro stanze invernali.
    Tremo all’idea di aprire un giornale. Di trovare sui social slogan, frasi fatte, la solita gara a chi picchia più duro. Come allo stadio, come se il risultato definisse un premio, una qualificazione. E non tutto quello spavento, tutto quell’orrore.
    Cosa si può fare?
    E chi lo sa. Poco. Niente. Forse solo il silenzio. Vedere (ma davvero) quello che c’è. Ascoltare.
    Cerco come posso di tenere dritta la barra, come tutti, come posso. Cammino. Scrivo. Yoga. Leggo. Tennessee Williams, Tatiana Tibueleac, Chandra Livia Candiani. Preparo viaggi con il terrore di questo mondo sempre più piccolo, ostico, sempre più inaccessibile. Confini che si stringono come cappi, frontiere impenetrabili. E tutte queste bandiere, tutte queste bandiere che abbaiano al vento. Non era mica così che l’avevamo pensato.
    Stasera torno a casa, ringraziando il cielo trovo il fuoco acceso. Ringraziamo sempre, quando torniamo a una casa con un fuoco acceso.

    29 ottobre
    Ho letto da qualche parte che quella di stanotte era la luna del lasciar andare.
    Del fare pace con i cambiamenti, con le trasformazioni. Con questa pasta di cui siamo fatti che tiene la sua forma poco più a lungo di un’onda sulla battigia. E poi si fa altro, altrove.
    Mi avrà guardata piena di compassione: io, la meno adatta delle sue creature, la meno preparata ad assolvere il compito. Mi avrà guardata con lo stupore dell’entomologo davanti al tarlo, che nasce e vive in un cassetto.
    Lasciar andare, ripetuto come un mantra, mentre parlottava il gufo come tra sè e una luce implacabile affilava uno a uno i fili d’erba ai lati della strada.
    Prima o dopo, aprirò il cassetto.

    31 ottobre
    Questa notte chiedo consiglio alle ombre,
    allo scompiglio,
    ai silenzi sulla soglia,
    all’oscuro groviglio che
    al buio germoglia.
    Chiedo perdono al dolore
    per non saperlo ascoltare,
    chiedo perdono al tempo
    per non lasciarlo andare.
    Sulla credenza
    vicino a una candela accesa
    appoggio il cuore,
    in attesa
    delle Voci che vengono
    senza rumore.
    (Felice Halloween)

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  • il vento di tramontana porta al largo e non restituisce (istanti rubati a #settembre2023)

    On: 11 Dicembre 2023
    In: istanti rubati
    Views: 416
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    5 settembre
    Esco a camminare presto. Quando il sole comincia la sua scalata all’orizzonte le persone si fermano sul lungo mare. Immobili, come per un sortilegio. Fanno Oh. Fanno una foto.
    Mi piace, quell’Oh di piccola meraviglia.È un periodo dell’anno in cui è difficile restare nel qui e ora. I pensieri vanno ai progetti dell’autunno, la mente è il batacchio di una campana suonata a festa.
    Mi sforzo di tornare a questo momento. Ai due ragazzi vestiti uguali accovacciati sugli scogli, all’uomo che si tormenta le mani con lo sguardo a qualcosa che vede lui solo, al gusto del primo caffè bevuto al tavolino di un bar con le tovaglie azzurre, all’odore di vegetazione mediterranea che è lo stesso della Spagna dei miei vent’anni. A quell’Oh di piccola meraviglia di cui dovrebbero esser pieni i giorni.

    6 settembre
    Non lasciate palloni o materassini sul bagnasciuga, ha raccomandato ieri il bagnino. Il vento di tramontana porta al largo e non restituisce, ci ha spiegato.
    Stanotte, dal nostro appartamento al sesto piano, il vento era una enorme mano aperta capace di sbriciolare palazzi e montagne, scogli e colline. Era un mantice pronto a gonfiare i sogni di profezie e presentimenti.
    Al mattino, però, nessun Armageddon. Il mondo era al suo posto, il cielo di un azzurro che stranisce gli occhi.
    Un uomo molto avanti con gli anni faceva il saluto al sole, inchinandosi al mare.
    Per cosa ringrazi?, avrei voluto chiedergli.
    Cosa lasci andare?
    Ancora giorni di tramontana, ha detto la radio, mentre bevevo il caffè nel bar con le tende svolazzanti.
    Mi è tornato alla mente il bagnino, il suo monito: Niente cose leggere a riva, che questo vento porta via. Io ho deciso che qui, sul confine tra terra e mare, sotto il cassetto dell’onda, ci metto in fila le mie cose pesanti.
    Forza allora, Tramontana. Qui c’è cibo per i tuoi denti. Vediamo che sai fare…

    7 settembre
    Settembre al mare è stare sul bordo assolato di una piscina: molleggiare sul trampolino, talloni su, braccia stese in avanti.
    Sotto, tutto si agita, ti confonde, ti attira e ti respinge; tu prendi tempo. Questa mattina, caffè al bar Sport, davanti alla vecchia insegna Strada per Carri Barocci. Sono seduta fuori. Il proprietario esce a servire i clienti e a ogni giro borbotta scocciato che da domani metterà il carrello che non si serve fuori prima delle otto e mezzo. Nessuno ci fa caso.
    Due donne dietro di me parlano di emorroidi, i due che se ne sono appena andati litigavano per il giornale, ma per finta. Io sto qui, ascolto. C’è ancora bel tempo.
    Molleggio sulle ginocchia, distrattamente. Inspiro, espiro. Prendo le misure. Non ho nessunissima fretta di andare.

    25 settembre
    Quando parti pensando di andare a presentare un libro in Calabria e trovi ad aspettarti un mondo. Mare, chilometri di spiagge, di notte le lampare, borghi di pescatori, montagne, i boschi accoglienti e odorosi della Sila. Gente orgogliosa che crea reti, inventa, collabora, si dà da fare. E se non bastasse, quell’ospitalità che scioglie le resistenze. Quell’apririti le porte, cucinarti qualcosa di buono, invitarti a una tavola semplice in un posto dove si conoscono tutti e nessuno resta fuori da una pacca sulle spalle, uno scherzo, due risate.
    La grandezza delle piccole cose: uno scorcio che si apre, un panino caciocavallo e ‘nduja, il vento caldo che viene dal mare, una crostata fatta in casa regalata col caffè, un attimo sottile (quasi non si vede) di commozione, sul confine fragile tra estate e autunno. Quel Benvenuto che ti accoglie e che, lo senti: non è mica solo una parola. Grazie.

    “e a sera, quando ai balconi c’è un sonno di garofani,
    due stelle bizantine
    s’affittano una stanza
    nel cielo della piazza”
    Franco Costabile





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