
-
Giugno è una lucciola sul palmo della mia mano (istanti rubati a #giugno2025)
Sono i giorni più lunghi dell’anno.Dormo senza tende e la luce dell’alba è una mano gentile che picchia sul vetro.Sei sveglia?La sera quasi sempre scendo all’imbrunire. Dopo un giorno pieno di gente e di parole, intorno a casa torna la quiete. I cavalli muovono lenti la coda, il cielo butta l’ultima luce fino ai miei piedi, come fa una sposa col velo davanti all’altare. Gli insetti estivi riempiono l’aria e ci sono nuovi uccelli che muovono i rami.Giugno è una lucciola sul palmo della mia mano.Il rumore del mondo, intanto, si è fatto frastuono. Un rumore di fondo continuo, assordante.La mente ci protegge. Sappiamo che è vero, che il male accade. Ma lo sappiamo davvero? C’è un campo dell’immaginazione dove non possiamo arrivare. O almeno, dove io non so arrivare. Esiste un confine all’orrore sul quale mi fermo. Vedo fin laggiù, sì, ma sfocato. Sta succedendo, lo so. Ma anche, allo stesso tempo, non sta succedendo davvero.Su quel confine mi siedo. Ascolto il respiro che s’accorcia e lo stomaco che si stringe. Poi mi distrae una mosca, un soffio di vento. Qualcuno mi chiama. Una foglia mi cade vicino. Torno alla vita, nella mia parte sicura del mondo.Ci sono cose piccole che possiamo fare, anche senza il coraggio -benedetto- di chi parte in soccorso. Donazioni, per chi può. Preghiere, per chi crede. (Ma anche per chi non crede: ogni forma di energia buona è preziosa). Possiamo parlarne, restare informati. Cambia poco, dicono, perché sapere non aggiusta le cose. Eppure, pensiamoci: se uccidessero le persone che amiamo, vorremmo che il mondo ignorasse il sopruso?C’è una altra cosa, a mio avviso: benedire quello che abbiamo. Ogni piccola cosa, nel momento in cui è. Niente ci è dovuto. Se abbiamo la fortuna di poterci fermare su quel confine, diciamo grazie. Preghiamo per chi è oltre la linea di demarcazione.Onoriamo la Vita che c’è.Il fuori e il dentro si intrecciano, diventano uno di quei sogni lunghi che si fanno in queste notti brevi e accaldate – manca poco e l’alba bussa, un tocco sul vetro. Mi senti?Giugno è una lucciola sul palmo della mia mano, la guardo brillare ancora un momento.Read More -
Senza spazio non cresce nulla (istanti rubati a #maggio2025)
Maggio: la semina delle zucchine, i primi giri in moto la sera, oppure a cavallo, riprendere in mano vernici e pennelli per rinfrescare i muri di casa. Tinte: bianco, salmone, petrolio. Poi si vedrà.Quello che faccio: spostare oggetti da una parte all’altra.Quello che dovrei fare: dare via, buttare, fare spazio.Senza spazio le nuove piante non mettono radici.Senza spazio non cresce nulla. Non le zucchine, non l’ispirazione, non l’agognata immobilità della mente.Ci provo: preparo scatoloni che poi non riempio. Questo è un ricordo, questo può servire ancora. Questo lo butto domani.Intanto arrivano spaventi che poi, per fortuna, passano.Arrivano piccole delusioni, tristezze che al mattino evaporano.Metto quelle dentro le scatole, mi dico, le mando al macero. Lì forse c’è qualcuno che saprà cosa farne. Forse si possono riciclare in sentimenti più docili – spleen, saudade, nostalgia di luoghi mai visti. (Hai presente quando ti viene in mente la tua infanzia, la tua giovinezza, e sono una stanza, un bosco, un cammino?)Preparo i pennelli, davanti a un muro da riempire di colore la mente di sperde.Seminare, tinteggiare, yoga: le mie piccole cure, in queste settimane.Maggio è agli sgoccioli, tra le mille cose che non so fare, una la so fare bene, la so fare restando presente del tutto, sentendomi viva dall’alluce alla cima del cranio: ringraziare, ogni giorno, ogni ora, per quello che c’è.Read More -
nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi (istanti rubati a #marzo2025)
19 marzo
Qualche notte fa ho sognato di ballare sulle punte.Ero stupita di riuscire ancora, dopo tutti questi anni. Ero stupita anche di non sentire il dolore delle prime volte che le indossavo, le dita scorticate sotto il cotone e il raso rosa.Quante vite sono passate da allora?Chissà se ho mai voluto fare davvero la ballerina: non lo ricordo più. Forse sapevo di non averne le capacità. Abbastanza snodata, quello sì, un buon equilibrio, ma nessun senso del ritmo. Una scarsa memoria per i movimenti del corpo.Se è stato un desiderio che per un po’ mi ha attraversato la mente, calcare i palcoscenici in tutù, deve essere durato poco, svaporato in fretta e dimenticato del tutto quando, alla soglia dei vent’anni, faccende più urgenti e interessanti mi hanno distolta dal balletto.Forse, sul bordo dei cinquanta, posso dire di non aver mai avuto un sogno che mi abbia tenuto sveglia a lungo. Fiamme passeggere, sempre. Alcune senz’altro persistenti, ma mai totalizzanti.Come canta Lucio Corsi: nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi.Ho speso -e spendo- i miei fuochi in relazioni e amori. Quelli sì, inossidabili.Ma non ho mai saputo cosa avrei dovuto essere o diventare. Non ho mai trovato un’etichetta che mi contenesse tutta, che dicesse chi sono.Mi è ricapitato sotto gli occhi, lo splendido discorso agli studenti di Kurt Vonnegut, che a un certo punto dice: “Non sentitevi in colpa se non sapete cosa volete fare della vostra vita. Le persone più interessanti che conosco non sapevano cosa fare della loro vita. E alcuni dei più interessanti quarantenni che oggi io conosco non lo sanno ancora adesso”.Bè, ho pensato, io che i quarantenni li ho superati di una decade, devo essere proprio una persona interessantissima.(Ogni regola ha la sua eccezione e confesso: ho sempre voluto fare la rock star. Nulla è impossibile, dicono. Ma ora come ora, ecco, la vedo un po’ in salita)27 marzoRead MoreCi sono giorni così, mezzi inverno e mezzi primavera.La pioggia, caduta a torrenti, ha formato delle pozze tra la ghiaia in cortile. Poi il maltempo si fiacca, le nuvole si fanno sottili e distanti, s’affaccia il sole e la luce s’amplifica riverberando negli specchi d’acqua e fa chiudere gli occhi.C’è un inverno, là fuori, che non passa. Un inverno immobile che pare aver rovesciato il ciclo delle stagioni con un colpo di stato. Si infila nei miei giorni attraverso le notizie sui giornali, nel malcontento palpabile che si solidifica intorno – si infila nelle notti che si fanno agitate, senza motivo apparente. Si infila nell’impotenza snervata con cui si fa il callo all’altrui malasorte.Si fatica, certi giorni, a guardare le pozze e aspettare di vederci riflessa la luce. Ci vuole grande immaginazione, una discreta dose di egoismo e la capacità di amare senza riserve ogni minuscola cosa lucente. La capacità di tener viva, nel cuore di ogni inverno, almeno un seme di rivoluzionaria, indomita primavera. -
Fai orto della tua attenzione (istanti rubati a #febbraio2025)
13 febbraio
“Scrivere è così” disse: “null’altro che rovinare le cose toccandole.”Lo dice il protagonista del libro che sto leggendo (Illuminazione di Sarah Perry).Quanto è vero, per me. Alle volte sembra tutto perfetto, prima di passare nell’imbuto del linguaggio. Questa Luna di Neve, ad esempio. Non è più bello immaginarla, che raccontarla?Questa luna pallida che culla germogli di cose solo imbastite, inventate, non nate.Che dice il freddo di una terra ancora dura ma già pronta a essere attraversata dalla vita nuova.Quanto sono meglio i ricordi, prima del tritacarne delle parole. Quel pomeriggio a Venezia, la luce di fuliggine tra le lingue mobili della laguna.Perché insistere, allora. Perché ostinarsi, imputarsi, un mulo che non sente ragioni e procede a testa bassa, nella ridda di segni contrari.Chissà. Forse smetterò di farlo quando troverò risposta. Forse allora lascerò le cose intatte, pulite, al sicuro dal mio bisogno di capirle. Lascerò la neve immacolata, salva dall’offesa delle mie impronte.E scoprirò che esistono altri modi di abitarmi, modi che le parole non mi aiutano a capire.19 febbraioA volte la vita ti scartavetra un po’.Sarà per mandar via la ruggine da certi pensieri rimasti là, dimenticati, troppo in fondo, sepolti da strati e strati di pensieri più innocui.A volte bisogna fare un respiro che scende fin dentro la pancia per restare ancorato qui, per non girare la testa e continuare a guardare quello che brucia.La tentazione: accendere la TV, rincoglionirsi di inutili chiacchiere, scrollare il telefonino – imbottirsi per bene di nulla.Ma la vita, o chi per lei, ti richiama all’ordine. Con un pizzico, se ci stai attento, una cosa piccola. Una foto che non sapevi più di avere, una frase casuale al mattino in stazione – una ragazzina bionda, occhi bassi dietro gli occhiali, mani nelle tasche dei jeans bucherellati che dice alle amiche: hanno portato mamma in ospedale.La vita, o chi per lei, è così che fa.Ti dice Ehi, è qui che devi guardare. Penserai mica che il tuo cuore sia una vecchia motoretta da dimenticare in garage dietro agli scatoloni di roba che non serve più…Portatelo in giro, il cuore, fagli sentire le buche e la salsedine in riva al mare e mandalo fuori giri, quando vale la pena. Ma non lasciarlo languire e coprirsi di polvere e riempirsi di umido e frasi fatte e sentimenti spuntati.Portatelo a spasso per il mondo, che veda pure lui quello che c’è in giro. Pazienza se ogni tanto fa un po’ male. Pazienza se ogni tanto lo devi scartavetrare un po’.30 febbraioFai orto della tua attenzione,ristoro dell’ombra.Irriga di luce gli interstizi del cuore,(ogni crepa un sentiero)e lascia sempre aperta e areata benedentro tela stanza degli assenti.28 febbraioVenti anni che non sei qui, mamma.Ho sempre avuto diffidenza verso i numeri, e loro verso di me. Ma questo 20 davvero non vuol dire niente. O forse intende cose diverse da quelle che suggerisce.Ad esempio: due volte niente.Vent’anni andati così, lo spazio di una porta che sbatte, di uno sternuto.Ma anche: il tempo interminabile di due vite tutte intere. Forse di più.Oppure, il due sta per le due te che da quel giorno frequento, la te andata via e la te che è rimasta con me.La cosa più probabile, però, è che il due siamo noi due e zero è il grado di separazione. Tutto il resto -i giorni, le ore, i drammi, le notti, il dolore e la felicità- sono solo quisquilie, inutile rumore di fondo.Quindi: eccoci, ma’. Siamo qui. -
E se fossero senzienti, le nubi? (istanti rubati a #gennaio2025)
1 gennaio
La fiducia nel futuro è una cosa facile, in un mattino di neve e sole in montagna.
L’augurio vero, è che si conservi sempre.
Felice 2025, che sia gentile!3 gennaio
Ho meditato a occhi aperti, ieri mattina, negli attimi in cui nasce il giorno.
Ho guardato il cielo farsi e disfarsi di nuvole.
Le cime dei monti arrossarsi, coprirsi, scoprirsi, imbiondire, coprirsi ancora, venarsi d’azzurro.
E se fossero senzienti, le nubi?
Mi è venuta, da chissàdove, questa domanda.
E se fossero i pensieri degli uomini, o gli sms degli angeli, se fossero il modo in cui le montagne si parlano?
Se fossero i sogni che facciamo la notte, o le poesie degli alberi?
La mia valle è bianca oggi, oltre i vetri della cucina.
I prati sono coperti di neve, marchiata dalle nostre impronte, troneggiano cataste di legna davanti ai muri delle case. Le nostre voci -tutte, tutte le nostre voci- si rincorrono e si fanno eco, e dicono e raccontano tutte le cose che già sappiamo ma che non sappiamo ricordare.
Si fa strada dentro il freddo qualche cenno di stagione nuova: nel ghiaccio che si scioglie alla fontana, in qualche minuto più di luce, al pomeriggio.
Ma io voglio restare ancora qui, nel centro esatto dell’inverno.
Dove brucia il fuoco della mia stufa e le nuvole mi parlano e nel ghiaccio si conservano, uno a uno, gli atomi dei giorni.4 gennaio
In quale misura mi mancasse Venezia l’ho realizzato non appena ci ho rimesso piede, dopo un bel po’ di anni che non mi capitava. Non credo ci sia al mondo città migliore in cui perdersi e ritrovarsi a ogni angolo, a ogni calle, a ogni campo, canale o strettoia.
E questa volta l’ho amata ancora di più, se possibile, grazie ai preziosi suggerimenti di Erika che mi ha suggerito quartieri che non avevo mai visitato, angoli silenziosi dove la calca non arriva.
Anche dormire al Lido è stata un’ottima scelta, a venti minuti di traghetto da piazza San Marco.
E il giro in traghetto all’alba e al tramonto, con la luce rossa che riverbera sulla laguna, è stato un modo sorprendente e magico per cominciare il nuovo anno.16 gennaio
Ieri, quando sono uscita per portare i ragazzi a scuola, la temperatura era a meno otto e c’era la notte, ma poi la notte si è fatta da parte e a quel punto il mondo se ne stava accucciato per bene sotto una lastra bianca, tutto nascosto dal gelo.
Ho guardato il cielo -è uno spettacolo senza eguali, il cielo mattutino di gennaio- e insieme alla luna poco meno che piena, c’era appesa in alto una mongolfiera. Si vedeva in controluce la sfiammata vibrante che la fa volare – il suo cuore pulsante.
Pensavamo che il cuore fosse appannaggio dei viventi?
Mi sono chiesta chi fosse, a ridosso dell’alba, in un gelido mattino d’inverno, a solcare i cieli rosazzurri sopra le colline, a gareggiare con la luna per attirare gli sguardi dei corvi e delle poiane.
Anche gli occhi dei pochi passanti erano intenti lassù: dove va, da dove viene? Forse come me immaginavano giri del mondo, resoconti di altri tempi, cartoline dalla Cappadocia – montagne bianche e aguzze e paesaggi surreali.
Ci ho pensato anche dopo, insieme al primo caffè del giorno.
Bè, niente di speciale, in fondo: solo una mongolfiera.
Ma sono le piccole storie di ordinaria magia, a tenere insieme il mondo.22 gennaio
Mi piace leggere gli sconosciuti come fossero libri.
Trovare le loro storie in un gesto, in un modo di muovere la mano. In un cappello, un lavoro, un orlo scucito dei pantaloni.
Mi piace sbirciare il titolo del libro che leggono e indovinare chi glielo abbia regalato – un amico un amante un figlio un rivale un amore lontano nel tempo.
Trovargli un passato e un futuro, persino, che giocare al narratore onnisciente è un vizio che ti prende la mano.
Mi piace imbastire altre storie, vivere vite non mie, vere e inventate. Mi incrimineranno per furto di identità, contaminazione o per eccesso di immaginazione – ma è il modo migliore per viaggiare da fermi, per essere e non essere, per uscire da me e ritrovarmi al bisogno.29 gennaio
Gennaio è ai titoli di coda.
Intorno a casa si sprofonda nel fango perché le temperature si sono alzate di colpo. Altro che giorni della merla. La neve di stagione me la prendo in queste pagine, nel libro di Stefansson. Quella neve che pulisce il mondo e lo lustra, come la mollica con la migliore argenteria.
Quando esco presto al mattino, ancora imbevuta di sogni, lascio che i confini dei miei pensieri si sciolgano nella nebbia. A sera, asciugo la stanchezza al fuoco del camino.
In mezzo lavoro, cammino, medito, leggo, cerco mediazioni alle richieste dei miei figli, parlo con le amiche, scrivo, scrivo.
Il ragazzo e il postino affrontano le loro silenziose battaglie nella tormenta, con il conforto di una guida enigmatica e misteriosa. Forse più d’una. Recapitano messaggi da un capo all’altro del cammino. Ogni volta che possono bevono caffè. Così lontano, tutto questo?
Nemmeno un po’. Questo intreccio di mondi.
Quanti mondi. Quello che ci scricchiola sotto le scarpe, quello delle storie che incrociamo e quello delle storie che inventiamo, e anche quell’altro, quello a cui crediamo solo ogni tanto – più nella tormenta che altrove.
E alla fine, uno più uno più uno più uno dà come risultato sempre Uno: ma è uno tendente a infinito. È Uno fatto di strati che si distinguono meglio al buio. O nella neve fitta che fonde insieme terra e cielo.
***
“Bjarni: I morti non salgono sulle montagne, e non l’hanno mai fatto,
Hjalti: Ne ho sentite, di cose, nel corso del tempo, e conosco persone che ne hanno viste e vissute. E tutte quelle storie, non c’è da credere a quanto raccontano?
Bjarni: Le storie non sono la realtà.
Hjalti: Be’, e allora che diavolo sarebbero?
Bjarni: Non lo so”.Read More
-
nel cuore dell’inverno c’è un fuoco (istanti rubati a #dicembre2024)
1 dicembre
Dicembre comincia così.
Sveglia presto, galaverna, terra dura come asfalto, cavalli, galline, lavori nella stalla, Eliandro che mi offre i suoi guanti perché ho scordato i miei, una luce rosa e diffusa, lo sbuffo bianco delle bestie, il loro fiato caldo.
Un inizio niente male, a parte le mani ghiacce.
E dopo tutto questo, che buono il caffè e che dolce lo yoga…4 dicembre
Dicembre porta, al mattino, i vetri della macchina ghiacciati. Quando la sera mi scordo di infilarla sotto al portico, devo liberarli con una paletta in plastica da cucina che tengo apposta nel vano della portiera.
Le dita mi si fanno di vetro e bruciano, e l’aria che entra nel naso frizza nelle narici e ogni volta sono certa di sentire odore di neve.
Sicuro, qualcosa è in cammino.
Ho letto che i cani percepiscono il tempo in modo diverso da noi perché il loro senso guida è l’olfatto e sentono l’odore di cose e persone a lungo, dopo che se ne sono andate. In qualche modo, quindi, persone e cose continuano a esserci anche quando non ci sono più.
Io credo che siamo anche noi come loro. Che abbiamo un senso che ancora non ha nome che ci fa stare con quello che non si vede più, o non si vede ancora: con la neve che da qualche parte, con il mattino di aprile che verrà, con chi era qui ed è andato via.11 dicembre
C’è una luce nel cuore del buio,
nel cuore dell’inverno c’è un fuoco.
Mi sono svegliata stanotte con questa frase in mente. O una cosa del genere, perché i sogni venuti dopo l’hanno reimpastata un po’. E dopo c’era New York in un albergo pieno di stanze e dentro un parcheggio alberato e io dicevo Vedi, che pace, New York, è così facile questa città, non è mica Shanghai.
Mi sono alzata con il buio abbarbicato ai vetri e ho ripensato quella frase sputando dentifricio nel lavandino. Il mattino è cominciato dopo, ero in treno, è cominciato di piatto e arancione sui tetti delle case.
Per caso ho alzato gli occhi dal libro e l’ho visto.
Mentre poi cammino per una Torino lenta e con gli occhi acquosi, non ancora presa dalla frenesia prefestiva, ripenso all’oasi di quiete nel cuore di New York e penso a quanto spesso mi porto a zonzo brandelli di sogno, a tenermi compagnia sulle strade del giorno.20 dicembre
Se ci fosse un premio per il miglior girovagare, lo prenderemmo noi.
Chi lo ha detto che serve sempre una meta, un obiettivo, una destinazione? Quella è per i videogiochi e per i navigatori satellitari.
Il più delle volte basta e avanza una direzione.27 dicembre
A te che da 13 anni mi insegni il coraggio, il piacere dell’avventura e la caparbietà.
Auguri, perché duri in te la tenacia e quello sguardo che rende il mondo un posto più luminoso e giusto.
Auguri, mio Cuore grande!31 dicembre
I giorni non lo sanno, che significato avranno. Loro si susseguono senza intenzioni nè presentimenti. Che siano il primo o l’ultimo dell’anno: loro vanno.
Le ultime settimane sono state di quelle che devi comprimere e schiacciare per farci stare dentro tutto.
Giorni pieni di impegni e liste infinite di cose da fare.
Così, quando penso a qualcosa che vorrei adesso, mi viene in mente un tempo vuoto, un’estesa prateria dove cavalli pascolano beati senza altro dovere che non sia muovere la coda.
Però poi penso che i miei giorni sono stati così intensi (anche) perché tante sono state le persone a cui pensare, con cui festeggiare, le amiche da incontrare, gli amici con cui brindare. E allora, sai cosa?, va bene così.
Non c’è davvero niente che sia linfa come le relazioni sane e amorevoli. Non c’è nulla che nutra di più, che riempia, sazi, rimpinzi.
Sono le relazioni il manubrio che aiuta e a volte salva l’equilibrio sul filo sospeso che è la Vita.
Auguri perché nel cuore ci sia lo spazio per accogliere e perché i giorni abbiano il significato profondo dei legami che sapremo stringere e coltivare.
Felice anno nuovo a tutti! -
Per quando ho bisogno di semplificare (istanti rubati a #novembre2024)
6 novembre
(Per quando ho bisogno di semplificare)In questo freddo che viene al mattino mentre le finestre sono bagnate dall’umido e dalla condensa e mi copro con strati di vestiti e le dita picchiano sulla tastiera e una musica lenta aleggia nella stanza, io sono.Mentre mi lavo i denti davanti allo specchio, senza guardarmi, e dall’altra stanza mio figlio mi chiama e il gatto si struscia contro la porta, io sono.Mentre mi spoglio del pigiama e a piedi scalzi attraverso la stanza e la moka gorgoglia sul fuoco in cucina, io sono.Nell’odore del caffè e in quello dell’incenso dentro una chiesa, nell’odore della terra bagnata che dal basso striscia alle mie radici, nell’odore di ruggine e nell’odore del muschio e nelle voci che mi chiamano dal cortile mentre i corvi planano sui prati gialli e una gazza saltella sulla ringhiera del mio balcone, io sono.Mentre parole si formano sotto le mie dita, parole che vengono da lontano, chissàdove, e solo chiedono un tramite di falangi e carne per essere accompagnate sul foglio: io sono.È tutto qui: un soggetto e un verbo all’indicativo presente.Non c’è niente di difficile.11 novembreRead More(Per quando ho bisogno di trasformare)Questo fine settimana sono stata a un seminario.Un seminario in un bosco.Abbiamo parlato di trasformazione.Stamattina, sulla strada verso la stazione c’era uno di quei nebbioni che ti fanno dubitare che esista ancora, un mondo dall’altra parte.Mi sono detta che sarebbe bello, saper trasformare l’invisibile in visibile. I simboli in interpretazioni. I messaggi segreti in dichiarazioni di intenti.Decriptare i codici che non sono destinati ai cinque sensi.Hai presente, qui rumori che senti nel buio, quelle sensazioni che ogni tanto ti scuotono e tu in quei momenti lo sai, che esiste un mondo oltre il muro di fumo ma poi, un istante dopo, non sei più tanto sicura… Sarebbe bello cambiare in certezza questo sentire, mi sono detta, mentre guidavo ai trenta all’ora.Ma la trasformazione, ci hanno spiegato, avviene nel cuore, un respiro alla volta. E la mente deve stare al suo posto, entro i confini che le sono assegnati.Intanto, sul fiume, nasceva oltre il grigio una noce di luce sorprendentemente rosa e arancione.16 novembreOggi, al cinema, questa frase: “A volte i cuori delle persone si parlano a loro insaputa” (Il robot selvaggio).Il mio e il tuo, sono 14 anni che non tacciono un istante.Auguri, vita mia ♡#14anni21 novemre
Osservo la nebbia addossata ai crinali dei colli, i filari appena svestiti giù a valle, un lampo di rosso – e la nevicata gialla che trema sui rami e rinfranca.Vorrei farne immagine, poesia, dipinto, disegno, intuizione.Ma poi nello sguardo raccolgo ogni cosa, e mi basta.29 novembreIl tecnico della lavastoviglie continua a latitare. Lavo i piatti a mano, concentrandomi sul fatto che lavare i piatti concentrandosi sul lavare i piatti è un’azione mindfulness. Mi consola solo più o meno.E vado a correre. Quindici minuti, venti. Fa freddo e non ho mai voglia quando è il momento di infilarmi stivaletti e giaccone ma dopo sto bene, lo so. Anche questo, lì per lì, mi consola più o meno.E scrivo. Ma le parole non si piegano al ruolo che scelgo per loro, si sparpagliano sul foglio come tanti disertori incolpevoli e le frasi si trasformano in rivoli sciolti, affluenti liberi in cerca del mare dove lo vedono loro.E leggo troppi libri insieme (romanzi, saggi, manuali di scrittura, dispense sullo yoga) e cerco compulsivamente idee per i regali di Natale e cerco di incastrare tutti gli impegni che mi portano nel mondo, e quelli che invece mi vogliono qui, a osservare il letargo che si prepara per me. Qui a fare tana nello spirito del bosco, nelle mie stanze di terra e sonnambula quiete.E dicembre è alla porta e bussa e mi chiama con la sua voce di abete e campane, e io rispondo da qualche punto lontano di me – nonostante il lavello pieno di piatti e la testa affollata di imperativi e il foglio denso di appunti che mi portano il mare – io rispondo, e dico E sia, e lascio che sia tutto com’è, tutto precisamente come dev’essere. -
Come si fa mattino (istanti rubati a #ottobre2024)
1 ottobre
Scrivere poesie è rallentare i pensieri e i battiti del cuore -uno a uno- intrecciarli con la pazienza degli uccelli, per farne nido dentro il silenzio.8 ottobre
Mi parlano, le sere d’ottobre.
Sarà la speciale qualità della luce, più densa prima di arrendersi, e finire.
Queste sere che mi metto in balcone e le gazze giocano sulle tegole del tetto di fronte e i cavalli ondeggiano sull’erba come ombre sfocate.
Cerco parole per dire questa specie di pace, questa specie di fatica – e non le trovo. Le avrà rubate la gazza, scambiando per pietra preziosa una carabattola luccicante di nessuna importanza.Mi parlano, loro, le sere di ottobre.Mi dicono: fermati. Togli. Una cosa alla volta. Rastrella l’inutile. Stai ferma.Senti.E mi mostrano il modo: quella luce che si fa riassorbire dal cielo.E quanto coraggio c’è, in quella resa.In ogni resa: tutto il coraggio del mondo.14 ottobreComincia una nuova avventura, la chiameremo Avventura del sentire.Del fermarsi a fare silenzio.Fare silenzio come si fa il pane, come si fanno gli alberi, da dentro. Come si fanno cesti di giunchi intrecciati.Come si fa notte, più fredda e nera prima del mattino.Come si fa mattino.17 ottobre
È notte di luna piena, quella in arrivo. Luna piena in Ariete.La luna più grande e potente dell’anno, dicono.Ma non la vedremo, noi qui, il cielo è coperto in lungo e in largo da nuvole spesse. E piove. Come piove. La immagineremo, la Luna di Sangue, rossa per i sacrifici animali di tutti i tempi. La sentiremo, col sesto senso delle streghe, dei lupi mannari.Proveremo a stare al buio, sapendo che la luce –e a fare quello che conta.E cosa, allora?Questo: spremere e strizzare quello che c’è, estrarre dal buio quel tanto di luce che basta a vederci le mani, e poi i piedi, poi la mattonella su cui i piedi poggiano e poi lui, lei, quegli altri che come noi vagano, annaspano, procedono a tentoni, strizzando e spremendo – o provando.E poi questo: prendere l’ombra con tutte le mani, tenerla, farne ristoro.23 ottobreDicono: il dolore è una vanga che dissoda l’animaperché la vita possa far crescere i suoi frutti migliori.Dico: se il dolore dissoda voglio essere terra arsa, un grumo duro e secco, che sfarina.Se il dolore ammorbidisce e concima io voglio essere pietra, arido sale o granito.Non voglio lacrime e scavare solchi, ad addolcire l’arsura dell’erba.Il sole asciutto brilli a mezzogiorno sulla mia testavuotavuotacome vuota è la mente del tordo quando il cacciatore imbraccia il fucile, come vuota è la mente del tonno quando l’esca gli viene vicina.Dico: se il dolore rende migliori è alla versione peggiore di me che mi aggrappoe chiudo gli occhi, le dita a sigillo e non guardoe non sento lo spavento del mondo che mi preme addosso.25 ottobre
Ci sono momenti che mi sembra di aver capito tutto.Per fortuna durano pochissimo.28 ottobre
Cadono foglie sulla mia testa, quando cammino nel viale. Nei giornali e in tv cadono bombe. Autunno strano. Piove quasi ogni giorno e pure se smette il cielo è un cuscino imbottito di grigio.Leggo Christian Bobin e Ron Rash. Guardo Shameless e Il racconto dell’ancella, cerco oggetti su Vinted e Subito, provo a liberarmi di oggetti che non mi servono più.Il mattino presto medito seduta in mezzo alla stanza.Medito? Forse. Vedo con gli occhi chiusi il profilo molle degli alberi e le tegole oltre i vetri da pulire. Vedo tutte le cose che ho da fare, in fila a reclamare attenzione, si spintonano per saltare un turno, strusciano i piedi, come turisti davanti ai musei.Le caccio con un tic del sopracciglio, ma tornano.Un figlio dal dentista, la riunione a scuola dell’altro, mandare la mail, aspettare quell’altra, mettere i ceci in ammollo, non ho ancora preso il caffè, la spesa, sguardo al terzo occhio, il nuovo tatuaggio, pulire i vetri.Un altro tic del sopracciglio, svaporano.Per poco.La sera, poi, davanti alla tv, prendo l’uncinetto, intreccio.Penso a questi giorni così, dove cadono foglie invece che bombe, dove ho uno spazio per stare ferma e zitta, dove mi appunto di comprare cereali e lane, dove il 27 arriva lo stipendio, dove la stufa accesa brilla nel cuore del buio, il divano come una zattera.Dove piove e piove ma per adesso gli argini tengono.E provo senso di pericolo e di scampato pericolo – e pena – e incapacità di capire – e sollievo e vergogna per provarlo – e gratitudine.Ho finito una coperta, ordinato una lana mohair, cominciato una sciarpa a punto canestro. -
L’orologio fermo dice: stai dove sei (istanti rubati a #settembre2024)
4 settembre
Mi si è fermato l’orologio, nella notte prima di venire al mare. Per me, che tutto è segno, simbolo e sincronocità, il messaggio è piuttosto esplicito e non cambierò la pila almeno fino al rientro.Detto questo, l’occhio cerca il polso ennemila volte al giorno.Lascia stare, mi dico. Non è così importante. Di cosa hai voglia adesso? Bagno, gelato, libro, panino, orizzonte?Il dopo lo vedremo.Ho pensato che devo essere gentile con settembre. Trattarlo con cura, come un delicato da stendere al sole senza stropicciarlo troppo, senza rimpinzarlo di piani e progetti e buone intenzioni come sempre sono tentata di fare.Punto la sveglia prima dell’alba per uscire a camminare e provo a non programmare niente. Mi fermo quando ho voglia di caffè o quando una particolare luce giallastra cattura lo sguardo.Che ore sono? I ragazzi si saranno svegliati? Avranno fatto colazione?Lo sguardo corre al polso. Inutilmente.L’orologio fermo dice: stai dove sei.Ho pensato che devo essere gentile, con me, a settembre. Con lo smalto che metto male e si gratta via con la salsedine, con le doppie punte e la pigrizia. Con i pasti alla come ti salta in mente, l’abbronzatura a strisce e il caffè di troppo.Ho pensato che a settembre devo essere gentile con me e con quello che mi succede intorno – che forse basta spostare lo sguardo e vederlo.6 settembre
I ragazzi sono andati soli a camminare sul lungomare. Mi hanno chiamata dopo un po’ da un numero sconosciuto dicendo che avrebbero tardato: hanno salvato una beccaccia di mare incastrata tra gli scogli e, ascoltando i consigli di un passante, l’hanno portata in una certa spiaggia dove il bagnino avrebbe chiamato un’associazione per la cura degli animali selvatici.Mamma, aveva il cuore a mille, mi hanno detto. Non riusciva più a usare le ali.Le camminate da soli sul lungomare fino al paese vicino è una delle loro conquiste dell’ultimo anno. Altra novità è poter restare a casa da soli mentre noi mamme usciamo a camminare.Usciamo a camminare, quindi, e parliamo per lo più di loro. Della scuola che comincia, delle cose di loro che ci fanno ridere o arrabbiare. A volte con il cuore alleggerito per la nostra nuova libertà, a volte con l’istinto di cercarli con la coda dell’occhio, abituate come siamo ad averli sui nostri passi.Sul quadernino che porto sempre con me annoto le cose che fanno (le lunghe nuotate con la maschera, saltare le onde, la caccia ai granchi lungo gli scogli, le lotte con gli asciugamani arrotolati), per ricordarle quando non le faranno più.Loro, i ragazzi, sembrano non curarsi troppo di questi cambiamenti. Li osservo e mi pare di vederli armeggiare con ali nuove, ancora troppo goffe o ingombranti per saperle spiegare a dovere.Loro sembrano non pensarci affatto.Oggi c’è da tornare alla spiaggia per sapere come sta la beccaccia.23 settembreL’anima è una lucciola in autunno, dicono.Facciamola brillare.Read More -
Nulla in me dubita della tua presenza (istanti rubati a #agosto2024)
1 agosto
Scendere nell’orto prima di cominciare la giornata, in estate, è un rito che mi va comodo.Scendere con la bocca ancora impastata dai sogni, i piedi negli stivali, la maglia a maniche lunghe nonostante il caldo già prepotente, per non farmi rosicchiare dagli insetti.C’è un esercito di insetti, tra i fiori delle zucchine, tra le file di pomodori. Ti fischiano nelle orecchie come fuochi d’artificio.Nel silenzio dell’alba, ogni cosa sembra al suo posto. Forse per questo la natura ci affascina tanto. Anche l’ape che ti punge fa il suo lavoro. L’hai spaventata, hai invaso il suo territorio, lei si difende come sa: niente di personale.Forse per questo la natura, a volte, tranquillizza: a differenza delle faccende tra umani, ogni cosa segue il suo corso. E il modo in cui vanno o non vanno le cose non dipende da niente che non sia la loro essenza – piegarsi al vento, nutrirsi di pioggia. Rigenerarsi con la luce del sole.Non c’è colpa, né senso di colpa, né aspettativa, scopo o frustrazione. Solo lasciarsi vivere e morire e poi rinascere. Ogni cosa al suo tempo, nel presente – una musica esatta.10 agosto
Che poi è facile, se ci pensi.Quello che abbiamo è questo sentiero, persone con cui fare dei tratti, un cielo sulla testa che delle volte dice sole e altre tempesta. Altre volte ancora se ne sta azzurro e distante, fa finta di niente.E abbiamo queste gambe che è meglio far andare e scarpe da scegliere robuste. E abbiamo voci che ci scortano lungo la strada e che il più delle volte ci riportano a casa.14 agosto
Pensare un nuovo tatuaggio.Il bosco.Preparare il tiramisù per un ferragosto in cortile.Famiglia.Il primo caffè del mattino in bottega o sul balcone.Cognetti – Giù nella valle.Appunti di viaggio.Amici. Le birre al laghetto.Camminare.Meditare sul pavimento di legno, di fronte al Pasubio e le sentinelle di pietra.I pasti condivisi.Chandra Livia Candiani e Mariangela Gualtieri.Ricordare.Le serrature del silenzio, la preghiera del ruscello.La notte, un nero mare capovolto punteggiato di stelle.Moquette d’erba sotto i piedi.Nel letto coi bambini, le parole prima di dormire.Mi inchino al Dio dei giorni semplici – con la fronte a terra benedico ogni minuscola sterminata grazia.19 agosto
Tu e io, una notte in rifugio, camminare al tramonto. E poi all’alba. La superluna blu di agosto giallissima e quasi piena e tutte le nostre parole – parole che vengono facili, qui, lontano da tutto. Tu che mescoli storie da bambino e riflessioni da uomo, tu che racconti con la voce quasi da ragazzo.Mangiare come lupi, dormire come sassi – il vocabolario dello stare bene è preso in prestito dal bosco.Come sempre perderci, noi due (anche questa una quasi tradizione), arrabbiarci un po’ nell’erba bagnata, alta che ci arriva ai fianchi, Te lo avevo detto che non era questa la strada. E poi trovare un segno, la rotta, la via – una riga rossa e una bianca su un tronco. Rieccoci sul sentiero che ci riporta a casa.(Perché domani, ovunque tu vada, sappia riconoscere sempre il sentiero che ti riporta a casa).27 agostoSalire al rifugio Fraccaroli è un rito dell’estate – uno dei tanti eppure uno dei più significativi.La sveglia prestissimo, la prima parte della salita nella pancia scura e ancora fresca del bosco e poi venire alla luce sulle pietre chiare, sbiancate dal sole.La merenda -pane e cioccolata- alla prima bocchetta, quando la vista spazia dall’una all’altra valle, al rifugio infilare le ciabatte, i pasti abbondanti, guardare salire la nebbia, la birretta rigenerante, le gambe a pezzi, il belato lontano di un gregge, il tramonto lento, lento, che non arriva mai – il giorno che non vuol finire.Ogni volta le stesse domande su altitudine, chilometri, distanze, la camerata rumorosa, tre piani di letti a castello, al ritorno surfare sul ghiaione.Quell’allegria annebbiata, storie di montagna, la polenta e il vino e sempre dire tra noi che la prossima estate magari si cambia meta, magari si dorme in un altro rifugio, magari… e sempre sapere che intanto la prossima estate è qui che ritorni. Perché i riti celebrano il tempo e gli restituiscono senso.28 agostoQuando un nubeinghiotte i montiroccia cielo terratutto svanisce– ma solo agli occhi.Oltre il visibiletu ci sei.Nulla in me dubita della tua presenza.