Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

  • Giugno è una lucciola sul palmo della mia mano (istanti rubati a #giugno2025)

    On: 1 Luglio 2025
    In: istanti rubati, la mia vita e io
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    Sono i giorni più lunghi dell’anno.
    Dormo senza tende e la luce dell’alba è una mano gentile che picchia sul vetro.
    Sei sveglia?
    La sera quasi sempre scendo all’imbrunire. Dopo un giorno pieno di gente e di parole, intorno a casa torna la quiete. I cavalli muovono lenti la coda, il cielo butta l’ultima luce fino ai miei piedi, come fa una sposa col velo davanti all’altare. Gli insetti estivi riempiono l’aria e ci sono nuovi uccelli che muovono i rami.
    Giugno è una lucciola sul palmo della mia mano.
    Il rumore del mondo, intanto, si è fatto frastuono. Un rumore di fondo continuo, assordante.
    La mente ci protegge. Sappiamo che è vero, che il male accade. Ma lo sappiamo davvero? C’è un campo dell’immaginazione dove non possiamo arrivare. O almeno, dove io non so arrivare. Esiste un confine all’orrore sul quale mi fermo. Vedo fin laggiù, sì, ma sfocato. Sta succedendo, lo so. Ma anche, allo stesso tempo, non sta succedendo davvero.
    Su quel confine mi siedo. Ascolto il respiro che s’accorcia e lo stomaco che si stringe. Poi mi distrae una mosca, un soffio di vento. Qualcuno mi chiama. Una foglia mi cade vicino. Torno alla vita, nella mia parte sicura del mondo.
    Ci sono cose piccole che possiamo fare, anche senza il coraggio -benedetto- di chi parte in soccorso. Donazioni, per chi può. Preghiere, per chi crede. (Ma anche per chi non crede: ogni forma di energia buona è preziosa). Possiamo parlarne, restare informati. Cambia poco, dicono, perché sapere non aggiusta le cose. Eppure, pensiamoci: se uccidessero le persone che amiamo, vorremmo che il mondo ignorasse il sopruso?
    C’è una altra cosa, a mio avviso: benedire quello che abbiamo. Ogni piccola cosa, nel momento in cui è. Niente ci è dovuto. Se abbiamo la fortuna di poterci fermare su quel confine, diciamo grazie. Preghiamo per chi è oltre la linea di demarcazione.
    Onoriamo la Vita che c’è.
    Il fuori e il dentro si intrecciano, diventano uno di quei sogni lunghi che si fanno in queste notti brevi e accaldate – manca poco e l’alba bussa, un tocco sul vetro. Mi senti?
    Giugno è una lucciola sul palmo della mia mano, la guardo brillare ancora un momento.
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  • Senza spazio non cresce nulla (istanti rubati a #maggio2025)

    On: 1 Luglio 2025
    In: istanti rubati, la mia vita e io
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    Maggio: la semina delle zucchine, i primi giri in moto la sera, oppure a cavallo, riprendere in mano vernici e pennelli per rinfrescare i muri di casa. Tinte: bianco, salmone, petrolio. Poi si vedrà.
    Quello che faccio: spostare oggetti da una parte all’altra.
    Quello che dovrei fare: dare via, buttare, fare spazio.
    Senza spazio le nuove piante non mettono radici.
    Senza spazio non cresce nulla. Non le zucchine, non l’ispirazione, non l’agognata immobilità della mente.
    Ci provo: preparo scatoloni che poi non riempio. Questo è un ricordo, questo può servire ancora. Questo lo butto domani.
    Intanto arrivano spaventi che poi, per fortuna, passano.
    Arrivano piccole delusioni, tristezze che al mattino evaporano.
    Metto quelle dentro le scatole, mi dico, le mando al macero. Lì forse c’è qualcuno che saprà cosa farne. Forse si possono riciclare in sentimenti più docili – spleen, saudade, nostalgia di luoghi mai visti. (Hai presente quando ti viene in mente la tua infanzia, la tua giovinezza, e sono una stanza, un bosco, un cammino?)
    Preparo i pennelli, davanti a un muro da riempire di colore la mente di sperde.
    Seminare, tinteggiare, yoga: le mie piccole cure, in queste settimane.
    Maggio è agli sgoccioli, tra le mille cose che non so fare, una la so fare bene, la so fare restando presente del tutto, sentendomi viva dall’alluce alla cima del cranio: ringraziare, ogni giorno, ogni ora, per quello che c’è.
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  • nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi (istanti rubati a #marzo2025)

    On: 30 Giugno 2025
    In: istanti rubati, la mia vita e io
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    19 marzo

    Qualche notte fa ho sognato di ballare sulle punte.
    Ero stupita di riuscire ancora, dopo tutti questi anni. Ero stupita anche di non sentire il dolore delle prime volte che le indossavo, le dita scorticate sotto il cotone e il raso rosa.
    Quante vite sono passate da allora?
    Chissà se ho mai voluto fare davvero la ballerina: non lo ricordo più. Forse sapevo di non averne le capacità. Abbastanza snodata, quello sì, un buon equilibrio, ma nessun senso del ritmo. Una scarsa memoria per i movimenti del corpo.
    Se è stato un desiderio che per un po’ mi ha attraversato la mente, calcare i palcoscenici in tutù, deve essere durato poco, svaporato in fretta e dimenticato del tutto quando, alla soglia dei vent’anni, faccende più urgenti e interessanti mi hanno distolta dal balletto.
    Forse, sul bordo dei cinquanta, posso dire di non aver mai avuto un sogno che mi abbia tenuto sveglia a lungo. Fiamme passeggere, sempre. Alcune senz’altro persistenti, ma mai totalizzanti.
    Come canta Lucio Corsi: nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi.
    Ho speso -e spendo- i miei fuochi in relazioni e amori. Quelli sì, inossidabili.
    Ma non ho mai saputo cosa avrei dovuto essere o diventare. Non ho mai trovato un’etichetta che mi contenesse tutta, che dicesse chi sono.
    Mi è ricapitato sotto gli occhi, lo splendido discorso agli studenti di Kurt Vonnegut, che a un certo punto dice: “Non sentitevi in colpa se non sapete cosa volete fare della vostra vita. Le persone più interessanti che conosco non sapevano cosa fare della loro vita. E alcuni dei più interessanti quarantenni che oggi io conosco non lo sanno ancora adesso”.
    Bè, ho pensato, io che i quarantenni li ho superati di una decade, devo essere proprio una persona interessantissima.
    (Ogni regola ha la sua eccezione e confesso: ho sempre voluto fare la rock star. Nulla è impossibile, dicono. Ma ora come ora, ecco, la vedo un po’ in salita)
    27 marzo

    Ci sono giorni così, mezzi inverno e mezzi primavera.
    La pioggia, caduta a torrenti, ha formato delle pozze tra la ghiaia in cortile. Poi il maltempo si fiacca, le nuvole si fanno sottili e distanti, s’affaccia il sole e la luce s’amplifica riverberando negli specchi d’acqua e fa chiudere gli occhi.
    C’è un inverno, là fuori, che non passa. Un inverno immobile che pare aver rovesciato il ciclo delle stagioni con un colpo di stato. Si infila nei miei giorni attraverso le notizie sui giornali, nel malcontento palpabile che si solidifica intorno – si infila nelle notti che si fanno agitate, senza motivo apparente. Si infila nell’impotenza snervata con cui si fa il callo all’altrui malasorte.
    Si fatica, certi giorni, a guardare le pozze e aspettare di vederci riflessa la luce. Ci vuole grande immaginazione, una discreta dose di egoismo e la capacità di amare senza riserve ogni minuscola cosa lucente. La capacità di tener viva, nel cuore di ogni inverno, almeno un seme di rivoluzionaria, indomita primavera.
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  • Fai orto della tua attenzione (istanti rubati a #febbraio2025)

    On: 30 Giugno 2025
    In: istanti rubati, la mia vita e io
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    13 febbraio
    “Scrivere è così” disse: “null’altro che rovinare le cose toccandole.”

    Lo dice il protagonista del libro che sto leggendo (Illuminazione di Sarah Perry).
    Quanto è vero, per me. Alle volte sembra tutto perfetto, prima di passare nell’imbuto del linguaggio. Questa Luna di Neve, ad esempio. Non è più bello immaginarla, che raccontarla?
    Questa luna pallida che culla germogli di cose solo imbastite, inventate, non nate.
    Che dice il freddo di una terra ancora dura ma già pronta a essere attraversata dalla vita nuova.
    Quanto sono meglio i ricordi, prima del tritacarne delle parole. Quel pomeriggio a Venezia, la luce di fuliggine tra le lingue mobili della laguna.
    Perché insistere, allora. Perché ostinarsi, imputarsi, un mulo che non sente ragioni e procede a testa bassa, nella ridda di segni contrari.
    Chissà. Forse smetterò di farlo quando troverò risposta. Forse allora lascerò le cose intatte, pulite, al sicuro dal mio bisogno di capirle. Lascerò la neve immacolata, salva dall’offesa delle mie impronte.
    E scoprirò che esistono altri modi di abitarmi, modi che le parole non mi aiutano a capire.
    19 febbraio

    A volte la vita ti scartavetra un po’.
    Sarà per mandar via la ruggine da certi pensieri rimasti là, dimenticati, troppo in fondo, sepolti da strati e strati di pensieri più innocui.
    A volte bisogna fare un respiro che scende fin dentro la pancia per restare ancorato qui, per non girare la testa e continuare a guardare quello che brucia.
    La tentazione: accendere la TV,  rincoglionirsi di inutili chiacchiere, scrollare il telefonino – imbottirsi per bene di nulla.
    Ma la vita, o chi per lei, ti richiama all’ordine. Con un pizzico, se ci stai attento, una cosa piccola. Una foto che non sapevi più di avere, una frase casuale al mattino in stazione – una ragazzina bionda, occhi bassi dietro gli occhiali, mani nelle tasche dei jeans bucherellati che dice alle amiche: hanno portato mamma in ospedale.
    La vita, o chi per lei, è così che fa.
    Ti dice Ehi, è qui che devi guardare. Penserai mica che il tuo cuore sia una vecchia motoretta da dimenticare in garage dietro agli scatoloni di roba che non serve più…
    Portatelo in giro, il cuore, fagli sentire le buche e la salsedine in riva al mare e mandalo fuori giri, quando vale la pena. Ma non lasciarlo languire e coprirsi di polvere e riempirsi di umido e frasi fatte e sentimenti spuntati.
    Portatelo a spasso per il mondo, che veda pure lui quello che c’è in giro. Pazienza se ogni tanto fa un po’ male. Pazienza se ogni tanto lo devi scartavetrare un po’.
    30 febbraio

    Fai orto della tua attenzione,
    ristoro dell’ombra.
    Irriga di luce gli interstizi del cuore,
    (ogni crepa un sentiero)
    e lascia sempre aperta e areata bene
    dentro te
    la stanza degli assenti.
    28 febbraio

    Venti anni che non sei qui, mamma.
    Ho sempre avuto diffidenza verso i numeri, e loro verso di me. Ma questo 20 davvero non vuol dire niente. O forse intende cose diverse da quelle che suggerisce.
    Ad esempio: due volte niente.
    Vent’anni andati così, lo spazio di una porta che sbatte, di uno sternuto.
    Ma anche: il tempo interminabile di due vite tutte intere. Forse di più.
    Oppure, il due sta per le due te che da quel giorno frequento, la te andata via e la te che è rimasta con me.
    La cosa più probabile, però, è che il due siamo noi due e zero è il grado di separazione. Tutto il resto -i giorni, le ore, i drammi, le notti, il dolore e la felicità- sono solo quisquilie, inutile rumore di fondo.
    Quindi: eccoci, ma’. Siamo qui.
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  • li stringo bene tra le ciglia (istanti rubati a #luglio2023)

    On: 2 Agosto 2023
    In: istanti rubati
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     1

    12 luglio
    Ci sono tanti modi di stare insieme. Uno è scendere la sera dopo cena, l’aria rinfrescata, la notte a qualche passo da noi.In cucina i piatti sono ancora sul tavolo, a volte la TV è accesa, a volte un libro è aperto sul divano.
    Scendiamo a chiudere i polli, a difenderli dall’agguato della volpe. Ci aspettano sui trespoli, vicini, mansueti.
    Galletto Garibaldi, Gallina Gabriella, buonanotte.
    A volte facciamo qualche passo intorno a casa, stupendoci di tutto il silenzio che fa da sfondo al nostro confusionario vociare, a volte ci sdraiamo sul tappeto elastico a guardare il cielo, le foglie del salice che lo ricamano. Tra poco risaliamo a casa, forse un film, un dolcetto, forse qualche pagina alla luce della abat jours.
    Le emozioni della giornata svaporano, prenderemo sonno sapendo che abbiamo messo al sicuro quel che abbiamo potuto.

    24 luglio
    Ho dimenticato la borraccia in macchina e mi hai offerto la tua acqua.
    Mi hai messo la crema solare sulla schiena e sei riuscito a ripiegare il sacco lenzuolo e a infilarlo nell’apposito sacchetto – cosa per me più complessa della risoluzione di un rebus.
    Quando ha cominciato a piovere sulla strada per il rifugio, mentre io già ci vedevo correre a zig zag a perdifiato in un film apocalittico, scansando fulmini come bombe a mano lanciate in territorio di guerra, tu senza battere ciglio ti sei infilato il k way e hai continuato a camminare sereno e divertito.
    Suona strano dirlo, perché hai 11 anni e un pezzo, ma stare insieme a te mi dà un senso di sicurezza e tranquillità che di rado ho provato persino con persone adulte. E questo mi fa sentire decisamente fortunata.
    (Poi, vabbè, del fatto che mi dovevi aspettare in salita e che mi hai praticamente stracciata a tutti i giochi di strategia che abbiamo scovato al rifugio, per adesso non facciamo parola con nessuno ;))

    28 luglio
    L’estate è al colmo della fioritura e i giorni sono quelli densi che precedono le partenze.
    Ci sono state notizie apocalittiche di ghiaccio e di fuoco – sembrava un mondo rubato a un fantasy ma succedeva ai nostri vicini di casa.
    Ci sono stati spaventi grandi e piccoli, ancora piu vicini, di quelli che provi a non pensarci ma che lasciano strascichi nelle pieghe del sonno, negli interstizi tra i sogni.
    C’è stato un caldo impossibile e poi giorni nitidi e freschi, buttati a caso nel cuore dell’estate, presi in prestito a un settembre mite. E questa luce lunga, lunga al tramonto che fa brillare i campi di girasole e si intrufola nei filari come ospite atteso e non smette di dire – io la sento: Guardami, non sarei niente se non ci fosse la sera.
    Io ne rubo bocconi, li stringo bene tra le ciglia e me li porto di notte a sciacquare le increspature dei sogni.



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  • il cuore s’allaga di cieli altissimi (istanti rubati a #giugno2023)

    On: 2 Agosto 2023
    In: istanti rubati
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    4 giugno
    Le nostre uscite serali sono così: niente traffico, nessun rumore molesto, pavimento soffice.
    Un gatto ci precede, si stira, si fa le unghie sui tronchi; un cavallo viene a grattarsi il muso contro la tua spalla.
    Io parlo, domando, faccio le foto al tremulo e alle sue foglie argento, alla cresta del gallo e alle formiche sul salice. I bambini chiamano dal balcone, arriva il cane a spaventare un piccione.
    Tu qualche volta fischietti un ritornello, mi metti una mano intorno alla vita, facciamo finta di ballare e siamo bellissimi e scemi e ridiamo e ci pestiamo i piedi.
    (Io, te e la luna delle fragole).

    12 giugno
    (La leva calcistica della classe…)
    Quasi estate, pioggia a singhiozzo – la tropicalizzazione del clima, dicono. Un week end di fine scuola, afa, festa del paese, torneo di calcio. Sabato a fare il tifo a squarciagola succhiando ghiaccioli alla menta sotto il sole, come alle partite di fine anno di un milione di anni fa, ma c’è tuo figlio in campo – maglia numero 6, spettinato come te. Nella testa canti De Gregori (il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette), pensi a tutti i rigori che hai avuto paura di tirare, urli tanto forte che la voce se ne va.
    Domenica sera, dopo un pomeriggio che ti ha ricordato a schiaffi gli sgambetti della vita, ti regali uno spritz in cortile con gli amici. I piedi tra l’erba, poche zanzare, ghiaccio nel bicchiere, frescura. Niente male davvero: c’è ancora luce e il temporale fa il giro largo – oggi forse non ci prende.
    Il torneo, poi, non lo hanno mica vinto, ma quel che vinci e perdi oggi non conta alla fine granché. Perché si sa che un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.
    E da come si porta in giro quel suo ingombrante cuore, che a cento anni, come a dodici, è ancora sempre pieno di paura.

    14 giugno
    A volte, nelle sere di quasi estate, sulle strade sterrate sbianacate da una luna diafana e nei prati animati da timide minilepri, mi sembra che la mia vita sia uscita da un romanzo di Kent Haruf. La mia personalissima Holt è adesso silenziosa e docile -si è fermato il movimento del giorno, il buio plana dall’alto e dalla terra sale un tepore umido.
    Cammino sulla terra grumosa dopo tutte le piogge e i pensieri si staccano da me senza sforzo.
    Chiudo il pollaio che le galline son tutte sui trespoli, il becco a frugare le piume e poi mi siedo sul dondolo, le gambe distese davanti, e mi sembra di vederli i vecchi McPheron che chiudono i recinti dopo un giorno di duro lavoro con le giumente. Me li immagino rientrare in casa, lanciare i cappelli sull’appendiabiti con un gesto preciso, accendere i fornelli per scaldare la cena.
    È tardi, tra poco la notte sarà matura, le lucciole fanno capolino tra l’erba, il cuore s’allaga di cieli altissimi.


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  • sei lettere, una preghiera (istanti rubati a #aprile2023)

    On: 3 Maggio 2023
    In: istanti rubati
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    11 aprile
    Bevo caffè e mangio un pezzo di tortiera napoletana. Insieme a tonnellate di cioccolato e sorpresine sparse è quel che resta di questi giorni di festa. Giorni di sole timido, caccia alle uova nascoste intorno a casa, le persone che amo intorno a un tavolo (intorno a più tavoli, per essere precisi).
    Ieri, pranzo in cortile. I cavalli brucavano alle nostre spalle, ombre silenziose, e il bianco galletto Garibaldi, nuovo ospite del pollaio (grazie Silvana!) prendeva confidenza con il territorio. All’imbrunire, il bicchiere della staffa. Le gambe allungate davanti, le giacche infilate sulle t-shirt, la stanchezza buona dei giorni lunghi. Il clima è stato benevolo e sotto il portico, mi pare, le rondini sono tornate ad abitare i loro nidi. Il nido delle gazze sul pioppo, invece, è seminascosto dalle foglie nuove.
    A sera, rimasta sola, invasa dalla nostalgia che mi viene alla fine della festa, ho spento la musica per ascoltare un po’ di silenzio, dopo tutto il vociare. Per tenermi vicino quella specie di vuoto, questa mia antica fragilità, fedelissima e indivisibile compagna di viaggio.
    Succhiavo in bocca una parola breve -gusto di cioccolato fondente, sei lettere, una preghiera: grazie.

    13 aprile
    Ci sono giorni plumbei e angusti come i corridoi di certe vecchie case. Senza finestre, non arriva il sole che splende fuori, nè l’odore buono che sale dalla terra dopo la pioggia. Solo polvere, pensieri stantiii accatastati come vestiti sporchi abbandonati su una sedia.
    Capitano giorni così. Giorni stretti. Tu prova ad allargarli. Un passo alla volta.

    18 aprile
    non è che poi ci sia granché da dire, quando si invecchia…
    grazie a chi c’è, a chi mi pensa, a chi mi ha fatto gli auguri, a chi in ritardo dirà Me ne son scordato!
    a chi ha fatto tutta questa strada con me, a chi solo qualche pezzo, a chi ho perso per la via, a chi non perderò mai, a chi incontrerò a un certo punto, a chi è sparito per un tratto, e poi eccolo, là, dietro alla curva. a chi mai mi ha lasciata un istante, da questa vita o da quell’altra. a chi mi ha preceduta, a chi mi segue – le nostre impronte mescolate sul sentiero, incorruttibili, indifferenti al prima e al dopo.
    grazie alla strada, al panorama quando sorride, alle salite che spezzano il fiato, ma poi guardi intorno ti dici Accidenti, che roba incredibile, il mondo, visto da qua.
    un grazie speciale a chi, quando mi incontra in giro, non mi dà del lei e non mi chiama signora.
    grazie a me, qualche volta, quando mi lascio in pace, quando sono in pace con me, quando ci metto entusiasmo, quando ci metto il coraggio che serve.
    e grazie al tempo – quanto fatico a dirlo, quanto ci bisticcio ogni giorno, ogni volta che lo prego: Rallenta! – però grazie, alla fine, nonostante tutto, perché in fondo, (in fondo-in fondo) senza lui, non sarei io.
    (E a ognuno di voi, come sempre: grazie!)

    30 aprile
    Saluta con una preghiera ogni cosa che incontri.
    Il vecchio ciliegio spaccato in due che continua a fiorire a primavera, il sasso che hai pestato mille volte, l’ultima neve sulle cime, l’ombra tremante del capriolo nel bosco, l’erba nuova, l’acqua che brilla giù dai torrenti.
    Saluta con una preghiera
    la te che aspetta
    nei luoghi che lascio
    gni volta
    senza lasciarli davvero.

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  • Qualcosa che luccica (istanti rubati a #marzo2023)

    On: 3 Maggio 2023
    In: istanti rubati
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    9 marzo
    Eliandro è stato a casa da scuola qualche giorno – influenza
    L’ultimo giorno prima di tornare in classe, quasi del tutto rimesso, si è messo a studiare, mentre io lavoravo al computer. Roba noiosissima. I fiumi più lunghi d’Europa. I laghi più grandi d’Europa. I mari. Come sono fatte le coste: alte e rocciose o basse e sabbiose? Nomi e nomi da mandare a memoria.
    Mamma lo sai che io la odio la geografia.
    Ogni tanto, una pausa insieme. Vieni a vedere, gli dicevo. La finestra di fronte alla mia postazione di lavoro si affaccia sulla campagna. C’è un pioppo smilzo, proprio qui davanti, su cui due gazze stanno costruendo un nido. Ci fermavamo a spiarle. Tra i rami spogli il nido è ben visibile, grosso come un cesto, disordinato come la nostra cucina. Le due bestiole sono instancabili: scovano rametti, li inseriscono nella matassa, ripartono. Lampi nerazzurri dappertutto.
    Continueranno per giorni, abbiamo letto. Poi verranno i piccoli e le prove di volo.
    Lo sai perché le gazze si chiamano ladre, gli ho chiesto.
    Perché se trovano qualcosa che luccica, se lo prendono, mi ha risposto.
    Così, tra un Danubio, una Mar Caspio e una foce a estuario, ci siamo goduti lo spettacolo in prima fila.
    Uno sguardo alle cartine: qui ci siamo stati, ti ricordi i fiordi? qui pure, in questo mare abbiamo fatto il bagno. Ci torniamo?
    Uno sguardo al cielo: guarda, uno è dentro il nido, vedi la testolina? starà arredando?
    Passato il giorno, venuta sera, momento di andare a dormire. Sai mamma -mi ha detto mio figlio- è stata proprio una bella mattina, oggi. Anche se dovevo studiare geografia.
    Mi ha fatto sorridere. Oggi anche noi abbiamo trovato qualcosa che luccica, e ce lo siamo preso.

    23 marzo
    Ogni giorno il giorno anticipa di qualche minuto. Arriva con la sua valigia di ore di luce, batte i vetri della finestra, eccomi, si comincia.
    Questo fine settimana cambia l’ora, mi han detto. So già che quell’ora in meno mi peserà sugli occhi come piombo. Eppure tutto chiede di uscire dal letargo, uscire di casa, uscire nel mondo. Sto leggendo quattro libri contemporaneamente (un record), aro pagine ad inchiostro, nemmeno mi pagassero un tanto a riga. Penso che a breve metteremo giù le zucchine e lo scalogno, manca poco. Bisogna aspettare che passino le gelate di inizio aprile, mi han detto.
    Eppure è tempo di semina sempre, ogni giorno. Semi nelle parole che dici, che scrivi, nei pensieri che concepisci, negli incontri, nelle canzoni che ascolti.
    C’è un seme in quel cielo verso cui alzi gli occhi, nella forma di quella nuvola.
    Semi casuali, fortuiti, o covati a lungo. Semi da scegliere con cura, necessari, sorprendenti. Pensavi non crescesse niente, lì, in quella terra arida e ingenerosa… e invece, cos’è quello strano, imprevisto, bellissimo fiore? È sempre tempo di semina, ogni giorno della nostra vita: non è questo che rende interessante il mondo?

    30 marzo
    Lo yoga è un cammino.
    Così, dopo un numero indefinito di anni che lo pratico, mi sono decisa a mettere una piccola pietra miliare sulla mia strada e, al termine di un percorso nel percorso, nei giorni scorsi ho superato l’esame per diventare insegnante.
    Un piccolissimo traguardo, ma soprattutto, per come la vedo io, un nuovo inizio stimolante.
    Un punto da cui riprendere, quindi. O meglio, continuare.
    La destinazione è ignota, ma la direzione è certa: attraverso la pratica, conoscere me stessa. Attraverso me stessa, conoscere quel che c’è, e, più di tutto, quel che sfugge ai sensi.
    Lo yoga è una strada possibile. Come lo è la scrittura, la meditazione, camminare. Tutte cose che fanno parte del mio modo di stare nel mondo.
    Così avanti, senza fretta. Passo a passo, senza meta, ma con precisa fede nella direzione.
    Grazie a chi mi ha accompagnata fin qui.

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  • Son buoni tutti a viaggiare mentre si viaggia (istanti rubati a #gennaio2023)

    On: 6 Marzo 2023
    In: istanti rubati
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    16 gennaio
    Sveglia alle 5.50 (incredibile, il mondo esiste a quell’ora!), uno strato di nebbia semisolida, due ore per arrivare a destinazione, tra tratti in auto, coi treni (due) e a piedi o in tram. Dopo anni di lavoro quasi sempre da casa, dovrò tornare con più regolarità in ufficio. L’entusiasmo non è alle stelle, diciamocelo.
    Però, durante l’avventura al Nord ho preso appunti. Dicevo (scrivevo) che la vera sfida è portare l’atteggiamento del viaggio nelle piccole imprese quotidiane. Son buoni tutti a viaggiare mentre si viaggia… Per cui me lo ripeto qui, per ricordarmelo. Che certo un atteggiamento di stupore e scoperta porta a nuove scoperte.
    Ci provo?
    (Nel frattempo: al bar della stazione non c’è connessione per fare l’abbonamento e il treno è in ritardo. Convoco all’istante i miei aiutanti magici: libri e caffè, salvatemi voi!)

    19 gennaio
    La luce del Nord è una creatura mutevole. Una lentissima volpe artica che esce dalla tana, si muove quasi camaleontica sul manto bianco.Si muove di continuo, anche quando non te ne accorgi, anche dentro l’apparente buio.E una creatura senziente, la luce del Nord. Vede i tuoi pensieri, il modo in cui sei, e qualche volta te lo mostra.Sul treno leggo Jon Kalman Stefansson, quel suo libro incredibile che è “La tua assenza è tenebra”.
    Arrivo a Torino ancora nella notte del mattino ma dentro gli occhi ho i fiordi d’Islanda, Gudridur che sulla sua giumenta cammina incontro allo spavento e alla meraviglia. Incontro alla passione e al tradimento. Cammina dentro la luce già d’autunno che non è molta, che immagino fievole e docile, che la accompagna e parla con lei di quel che l’aspetta.
    (Eh sì, la luce del Nord e i libri di Stefansson rendono il mondo un posto migliore)

    28 gennaio
    Questa mattina, poco prima dell’alba, hanno visto un lupo nel prato vicino a casa nostra. Proprio accanto al confine del nostro prato. Un bel bestione, ci hanno detto. Giovane, arzillo, una testa grossa così. Non spelacchiato e magro come certi altri che si sono visti in giro. Ha attraversato la strada, il campo, per infilarsi nel bosco.
    Mi fa un certo effetto. Vado spesso in giro da sola, anche al buio. Non attaccano l’uomo, dicono. Eppure ci penso. Cosa farei se me lo trovassi di fronte? Mi viene in mente il periodo in cui scrivevo “Quando la montagna era nostra”. Quanto li ho immaginati gli orsi, quelle creature possenti e solitarie, aggirarsi nel fitto del bosco.Fanno così le paure. Ci aspettano acquattate dietro una curva, nella penombra umida della sera. Al risveglio da certi sonni brevi e tormentati.
    Non sono le paure -soprattutto, loro- a dare forma al mondo? Non sono loro a scriverne i confini? A delimitare lo spazio che ci diamo il permesso di esplorare?
    Le mie paure somigliano a queste bestie selvatiche, uscite da un libro di fiabe o da un racconto dell’orrore. Sanno di luoghi spopolati, notti di luna piena, domande che vanno indietro, indietro, fino all’alba del mondo.Un po’ gli rassomiglio, un po’ mi si infilano nei sogni, mi tolgono voce.
    Qualche volta, mi fanno compagnia.




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  • è che la luce (istanti rubati a #novembre2022)

    On: 12 Dicembre 2022
    In: la mia vita e io
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    3 novembre
    Misteriosa è la vita del capriolo. Ombra che s’addensa ai margini del campo visivo, rumore di foglie e sterpaglie, due salti:sparito. Ma è ancora qui, dietro un dirupo, una curva, un tronco ingobbito: è vicino. Camminare nel bosco è allenarsi a guardare.
    Ma, più di tutto: allenarsi a vedere anche quel che scompare.

    4 novembre
    A volte sembra proprio difficile far succedere le cose come le vorresti. Ti ingegni, ti arrovelli, insisti, riprovi, riparti, ancora e ancora. Ci sbatti la testa, il muso, l’ego. Niente da fare. Quello che stai cercando non arriva. Poi, basta alzare gli occhi, guardare dove stai andando. Camminando a testa bassa ci si dimentica di farlo.
    Davvero la volevi, quella cosa?
    Davvero ti serviva?
    O era forse quello che gli altri si aspettavano che tu volessi?
    Quasi sempre, la risposta chiarisce il risultato. Guardati dall’alto, guarda dove sei, un puntino che si muove sul sentiero.
    Abbi fiducia nella saggezza del sentiero.

    10 novembre
    Persone chiamano altre persone carico residuale.
    Eppure le parole hanno un loro peso – hanno suono, anima, intenzione.
    Non dicevano che è di tutti il cielo la terra il mare il temporale il solleone?
    Io dico che qui si è perso il senso, in mezzo a tante cose futili.
    Lo cerco dove posso, con riti semplici, probabilmente inutili.
    Trovo solo risposte ingenue, che non interessano a nessuno.
    La più facile è: Sì, terra, mare, cielo sono di tutti, e non solo di qualcuno.

    15 novembre
    Sotto cieli altissimi
    mossi dal canto muto delle sirene
    sparpagliamo i giorni.
    Un filo invisibile li inanella come grani – vedremo, domani, la forma che li tiene insieme.

    16 novembre
    In un libro che mi sta piacendo moltissimo, l’analista dice alla protagonista che le madri non dovrebbero avere bisogno dei figli.
    Ci ho pensato su parecchio, e probabilmente ha ragione. Eppure sono 12 anni – e i nove mesi prima, e tutto il tempo passato a maturarli e desiderarli, quei nove mesi e quel che ne è conseguito…
    Insomma, dicevo, a me sembra che sia da tutta la vita -la mia- che ho bisogno di te.
    Auguri amore mio grande, che senza te non sarei più io.

    17 novembre
    (Pulizie d’autunno)
    Dentro giorni di attese e incastri acrobatici quello che mi serve è rimettere ordine.
    Ricollocare una speranza, spolverare un sogno che è lì da un po’, per vedere se mi somiglia ancora. Riordinare lo scaffale dei vecchi rimpianti, buttare quelli che non servono più. Di quelli che restano, prendere solo quanto serve e riciclare le intenzioni, ricalibrare i Vorrei.
    Sverniciare certe antiche convinzioni per vedere cosa c’è sotto. Areare.
    Riappaiare domande e risposte senza che debbano per forza combaciare.
    I vecchi errori: trattarli con cura e seminarli qui e là per vedere se cresce qualcosa di buono.
    Mettendoli insieme, magari, giocando di innesti, potrei capire che non erano poi solo errori.Concimare con autoindulgenza e immaginazione.
    Reimpostare il navigatore emotivo, dopo essere stata almeno un giorno sotto un albero a respirare: è davvero là che mi interessa arrivare?
    Nutrire l’intuito con silenzi e vuoto e stanze per me, e luce lunare. Lasciare che esca dalla scatola dove lo ho relegato, si stiracchi per bene e si metta a marciare. Che scelga il sentiero.
    Adesso, gli dico: Vai tu, per favore. Fai strada.

    18 novembre
    È che la luce si infila tutto dove può. Tu falle spazio.




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