Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi (istanti rubati a #marzo2025)

On: 30 Giugno 2025
In: istanti rubati, la mia vita e io
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19 marzo

Qualche notte fa ho sognato di ballare sulle punte.
Ero stupita di riuscire ancora, dopo tutti questi anni. Ero stupita anche di non sentire il dolore delle prime volte che le indossavo, le dita scorticate sotto il cotone e il raso rosa.
Quante vite sono passate da allora?
Chissà se ho mai voluto fare davvero la ballerina: non lo ricordo più. Forse sapevo di non averne le capacità. Abbastanza snodata, quello sì, un buon equilibrio, ma nessun senso del ritmo. Una scarsa memoria per i movimenti del corpo.
Se è stato un desiderio che per un po’ mi ha attraversato la mente, calcare i palcoscenici in tutù, deve essere durato poco, svaporato in fretta e dimenticato del tutto quando, alla soglia dei vent’anni, faccende più urgenti e interessanti mi hanno distolta dal balletto.
Forse, sul bordo dei cinquanta, posso dire di non aver mai avuto un sogno che mi abbia tenuto sveglia a lungo. Fiamme passeggere, sempre. Alcune senz’altro persistenti, ma mai totalizzanti.
Come canta Lucio Corsi: nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi.
Ho speso -e spendo- i miei fuochi in relazioni e amori. Quelli sì, inossidabili.
Ma non ho mai saputo cosa avrei dovuto essere o diventare. Non ho mai trovato un’etichetta che mi contenesse tutta, che dicesse chi sono.
Mi è ricapitato sotto gli occhi, lo splendido discorso agli studenti di Kurt Vonnegut, che a un certo punto dice: “Non sentitevi in colpa se non sapete cosa volete fare della vostra vita. Le persone più interessanti che conosco non sapevano cosa fare della loro vita. E alcuni dei più interessanti quarantenni che oggi io conosco non lo sanno ancora adesso”.
Bè, ho pensato, io che i quarantenni li ho superati di una decade, devo essere proprio una persona interessantissima.
(Ogni regola ha la sua eccezione e confesso: ho sempre voluto fare la rock star. Nulla è impossibile, dicono. Ma ora come ora, ecco, la vedo un po’ in salita)
27 marzo

Ci sono giorni così, mezzi inverno e mezzi primavera.
La pioggia, caduta a torrenti, ha formato delle pozze tra la ghiaia in cortile. Poi il maltempo si fiacca, le nuvole si fanno sottili e distanti, s’affaccia il sole e la luce s’amplifica riverberando negli specchi d’acqua e fa chiudere gli occhi.
C’è un inverno, là fuori, che non passa. Un inverno immobile che pare aver rovesciato il ciclo delle stagioni con un colpo di stato. Si infila nei miei giorni attraverso le notizie sui giornali, nel malcontento palpabile che si solidifica intorno – si infila nelle notti che si fanno agitate, senza motivo apparente. Si infila nell’impotenza snervata con cui si fa il callo all’altrui malasorte.
Si fatica, certi giorni, a guardare le pozze e aspettare di vederci riflessa la luce. Ci vuole grande immaginazione, una discreta dose di egoismo e la capacità di amare senza riserve ogni minuscola cosa lucente. La capacità di tener viva, nel cuore di ogni inverno, almeno un seme di rivoluzionaria, indomita primavera.
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