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Giugno è una lucciola sul palmo della mia mano (istanti rubati a #giugno2025)
Sono i giorni più lunghi dell’anno.Dormo senza tende e la luce dell’alba è una mano gentile che picchia sul vetro.Sei sveglia?La sera quasi sempre scendo all’imbrunire. Dopo un giorno pieno di gente e di parole, intorno a casa torna la quiete. I cavalli muovono lenti la coda, il cielo butta l’ultima luce fino ai miei piedi, come fa una sposa col velo davanti all’altare. Gli insetti estivi riempiono l’aria e ci sono nuovi uccelli che muovono i rami.Giugno è una lucciola sul palmo della mia mano.Il rumore del mondo, intanto, si è fatto frastuono. Un rumore di fondo continuo, assordante.La mente ci protegge. Sappiamo che è vero, che il male accade. Ma lo sappiamo davvero? C’è un campo dell’immaginazione dove non possiamo arrivare. O almeno, dove io non so arrivare. Esiste un confine all’orrore sul quale mi fermo. Vedo fin laggiù, sì, ma sfocato. Sta succedendo, lo so. Ma anche, allo stesso tempo, non sta succedendo davvero.Su quel confine mi siedo. Ascolto il respiro che s’accorcia e lo stomaco che si stringe. Poi mi distrae una mosca, un soffio di vento. Qualcuno mi chiama. Una foglia mi cade vicino. Torno alla vita, nella mia parte sicura del mondo.Ci sono cose piccole che possiamo fare, anche senza il coraggio -benedetto- di chi parte in soccorso. Donazioni, per chi può. Preghiere, per chi crede. (Ma anche per chi non crede: ogni forma di energia buona è preziosa). Possiamo parlarne, restare informati. Cambia poco, dicono, perché sapere non aggiusta le cose. Eppure, pensiamoci: se uccidessero le persone che amiamo, vorremmo che il mondo ignorasse il sopruso?C’è una altra cosa, a mio avviso: benedire quello che abbiamo. Ogni piccola cosa, nel momento in cui è. Niente ci è dovuto. Se abbiamo la fortuna di poterci fermare su quel confine, diciamo grazie. Preghiamo per chi è oltre la linea di demarcazione.Onoriamo la Vita che c’è.Il fuori e il dentro si intrecciano, diventano uno di quei sogni lunghi che si fanno in queste notti brevi e accaldate – manca poco e l’alba bussa, un tocco sul vetro. Mi senti?Giugno è una lucciola sul palmo della mia mano, la guardo brillare ancora un momento.Read More
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Senza spazio non cresce nulla (istanti rubati a #maggio2025)
Maggio: la semina delle zucchine, i primi giri in moto la sera, oppure a cavallo, riprendere in mano vernici e pennelli per rinfrescare i muri di casa. Tinte: bianco, salmone, petrolio. Poi si vedrà.Quello che faccio: spostare oggetti da una parte all’altra.Quello che dovrei fare: dare via, buttare, fare spazio.Senza spazio le nuove piante non mettono radici.Senza spazio non cresce nulla. Non le zucchine, non l’ispirazione, non l’agognata immobilità della mente.Ci provo: preparo scatoloni che poi non riempio. Questo è un ricordo, questo può servire ancora. Questo lo butto domani.Intanto arrivano spaventi che poi, per fortuna, passano.Arrivano piccole delusioni, tristezze che al mattino evaporano.Metto quelle dentro le scatole, mi dico, le mando al macero. Lì forse c’è qualcuno che saprà cosa farne. Forse si possono riciclare in sentimenti più docili – spleen, saudade, nostalgia di luoghi mai visti. (Hai presente quando ti viene in mente la tua infanzia, la tua giovinezza, e sono una stanza, un bosco, un cammino?)Preparo i pennelli, davanti a un muro da riempire di colore la mente di sperde.Seminare, tinteggiare, yoga: le mie piccole cure, in queste settimane.Maggio è agli sgoccioli, tra le mille cose che non so fare, una la so fare bene, la so fare restando presente del tutto, sentendomi viva dall’alluce alla cima del cranio: ringraziare, ogni giorno, ogni ora, per quello che c’è.Read More
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nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi (istanti rubati a #marzo2025)
19 marzo
Qualche notte fa ho sognato di ballare sulle punte.Ero stupita di riuscire ancora, dopo tutti questi anni. Ero stupita anche di non sentire il dolore delle prime volte che le indossavo, le dita scorticate sotto il cotone e il raso rosa.Quante vite sono passate da allora?Chissà se ho mai voluto fare davvero la ballerina: non lo ricordo più. Forse sapevo di non averne le capacità. Abbastanza snodata, quello sì, un buon equilibrio, ma nessun senso del ritmo. Una scarsa memoria per i movimenti del corpo.Se è stato un desiderio che per un po’ mi ha attraversato la mente, calcare i palcoscenici in tutù, deve essere durato poco, svaporato in fretta e dimenticato del tutto quando, alla soglia dei vent’anni, faccende più urgenti e interessanti mi hanno distolta dal balletto.Forse, sul bordo dei cinquanta, posso dire di non aver mai avuto un sogno che mi abbia tenuto sveglia a lungo. Fiamme passeggere, sempre. Alcune senz’altro persistenti, ma mai totalizzanti.Come canta Lucio Corsi: nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi.Ho speso -e spendo- i miei fuochi in relazioni e amori. Quelli sì, inossidabili.Ma non ho mai saputo cosa avrei dovuto essere o diventare. Non ho mai trovato un’etichetta che mi contenesse tutta, che dicesse chi sono.Mi è ricapitato sotto gli occhi, lo splendido discorso agli studenti di Kurt Vonnegut, che a un certo punto dice: “Non sentitevi in colpa se non sapete cosa volete fare della vostra vita. Le persone più interessanti che conosco non sapevano cosa fare della loro vita. E alcuni dei più interessanti quarantenni che oggi io conosco non lo sanno ancora adesso”.Bè, ho pensato, io che i quarantenni li ho superati di una decade, devo essere proprio una persona interessantissima.(Ogni regola ha la sua eccezione e confesso: ho sempre voluto fare la rock star. Nulla è impossibile, dicono. Ma ora come ora, ecco, la vedo un po’ in salita)27 marzoRead MoreCi sono giorni così, mezzi inverno e mezzi primavera.La pioggia, caduta a torrenti, ha formato delle pozze tra la ghiaia in cortile. Poi il maltempo si fiacca, le nuvole si fanno sottili e distanti, s’affaccia il sole e la luce s’amplifica riverberando negli specchi d’acqua e fa chiudere gli occhi.C’è un inverno, là fuori, che non passa. Un inverno immobile che pare aver rovesciato il ciclo delle stagioni con un colpo di stato. Si infila nei miei giorni attraverso le notizie sui giornali, nel malcontento palpabile che si solidifica intorno – si infila nelle notti che si fanno agitate, senza motivo apparente. Si infila nell’impotenza snervata con cui si fa il callo all’altrui malasorte.Si fatica, certi giorni, a guardare le pozze e aspettare di vederci riflessa la luce. Ci vuole grande immaginazione, una discreta dose di egoismo e la capacità di amare senza riserve ogni minuscola cosa lucente. La capacità di tener viva, nel cuore di ogni inverno, almeno un seme di rivoluzionaria, indomita primavera.
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Fai orto della tua attenzione (istanti rubati a #febbraio2025)
13 febbraio
“Scrivere è così” disse: “null’altro che rovinare le cose toccandole.”Lo dice il protagonista del libro che sto leggendo (Illuminazione di Sarah Perry).Quanto è vero, per me. Alle volte sembra tutto perfetto, prima di passare nell’imbuto del linguaggio. Questa Luna di Neve, ad esempio. Non è più bello immaginarla, che raccontarla?Questa luna pallida che culla germogli di cose solo imbastite, inventate, non nate.Che dice il freddo di una terra ancora dura ma già pronta a essere attraversata dalla vita nuova.Quanto sono meglio i ricordi, prima del tritacarne delle parole. Quel pomeriggio a Venezia, la luce di fuliggine tra le lingue mobili della laguna.Perché insistere, allora. Perché ostinarsi, imputarsi, un mulo che non sente ragioni e procede a testa bassa, nella ridda di segni contrari.Chissà. Forse smetterò di farlo quando troverò risposta. Forse allora lascerò le cose intatte, pulite, al sicuro dal mio bisogno di capirle. Lascerò la neve immacolata, salva dall’offesa delle mie impronte.E scoprirò che esistono altri modi di abitarmi, modi che le parole non mi aiutano a capire.19 febbraioA volte la vita ti scartavetra un po’.Sarà per mandar via la ruggine da certi pensieri rimasti là, dimenticati, troppo in fondo, sepolti da strati e strati di pensieri più innocui.A volte bisogna fare un respiro che scende fin dentro la pancia per restare ancorato qui, per non girare la testa e continuare a guardare quello che brucia.La tentazione: accendere la TV, rincoglionirsi di inutili chiacchiere, scrollare il telefonino – imbottirsi per bene di nulla.Ma la vita, o chi per lei, ti richiama all’ordine. Con un pizzico, se ci stai attento, una cosa piccola. Una foto che non sapevi più di avere, una frase casuale al mattino in stazione – una ragazzina bionda, occhi bassi dietro gli occhiali, mani nelle tasche dei jeans bucherellati che dice alle amiche: hanno portato mamma in ospedale.La vita, o chi per lei, è così che fa.Ti dice Ehi, è qui che devi guardare. Penserai mica che il tuo cuore sia una vecchia motoretta da dimenticare in garage dietro agli scatoloni di roba che non serve più…Portatelo in giro, il cuore, fagli sentire le buche e la salsedine in riva al mare e mandalo fuori giri, quando vale la pena. Ma non lasciarlo languire e coprirsi di polvere e riempirsi di umido e frasi fatte e sentimenti spuntati.Portatelo a spasso per il mondo, che veda pure lui quello che c’è in giro. Pazienza se ogni tanto fa un po’ male. Pazienza se ogni tanto lo devi scartavetrare un po’.30 febbraioFai orto della tua attenzione,ristoro dell’ombra.Irriga di luce gli interstizi del cuore,(ogni crepa un sentiero)e lascia sempre aperta e areata benedentro tela stanza degli assenti.28 febbraioVenti anni che non sei qui, mamma.Ho sempre avuto diffidenza verso i numeri, e loro verso di me. Ma questo 20 davvero non vuol dire niente. O forse intende cose diverse da quelle che suggerisce.Ad esempio: due volte niente.Vent’anni andati così, lo spazio di una porta che sbatte, di uno sternuto.Ma anche: il tempo interminabile di due vite tutte intere. Forse di più.Oppure, il due sta per le due te che da quel giorno frequento, la te andata via e la te che è rimasta con me.La cosa più probabile, però, è che il due siamo noi due e zero è il grado di separazione. Tutto il resto -i giorni, le ore, i drammi, le notti, il dolore e la felicità- sono solo quisquilie, inutile rumore di fondo.Quindi: eccoci, ma’. Siamo qui.Read More
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Come si fa mattino (istanti rubati a #ottobre2024)
1 ottobre
Scrivere poesie è rallentare i pensieri e i battiti del cuore -uno a uno- intrecciarli con la pazienza degli uccelli, per farne nido dentro il silenzio.8 ottobre
Mi parlano, le sere d’ottobre.
Sarà la speciale qualità della luce, più densa prima di arrendersi, e finire.
Queste sere che mi metto in balcone e le gazze giocano sulle tegole del tetto di fronte e i cavalli ondeggiano sull’erba come ombre sfocate.
Cerco parole per dire questa specie di pace, questa specie di fatica – e non le trovo. Le avrà rubate la gazza, scambiando per pietra preziosa una carabattola luccicante di nessuna importanza.Read MoreMi parlano, loro, le sere di ottobre.Mi dicono: fermati. Togli. Una cosa alla volta. Rastrella l’inutile. Stai ferma.Senti.E mi mostrano il modo: quella luce che si fa riassorbire dal cielo.E quanto coraggio c’è, in quella resa.In ogni resa: tutto il coraggio del mondo.14 ottobreComincia una nuova avventura, la chiameremo Avventura del sentire.Del fermarsi a fare silenzio.Fare silenzio come si fa il pane, come si fanno gli alberi, da dentro. Come si fanno cesti di giunchi intrecciati.Come si fa notte, più fredda e nera prima del mattino.Come si fa mattino.17 ottobre
È notte di luna piena, quella in arrivo. Luna piena in Ariete.La luna più grande e potente dell’anno, dicono.Ma non la vedremo, noi qui, il cielo è coperto in lungo e in largo da nuvole spesse. E piove. Come piove. La immagineremo, la Luna di Sangue, rossa per i sacrifici animali di tutti i tempi. La sentiremo, col sesto senso delle streghe, dei lupi mannari.Proveremo a stare al buio, sapendo che la luce –e a fare quello che conta.E cosa, allora?Questo: spremere e strizzare quello che c’è, estrarre dal buio quel tanto di luce che basta a vederci le mani, e poi i piedi, poi la mattonella su cui i piedi poggiano e poi lui, lei, quegli altri che come noi vagano, annaspano, procedono a tentoni, strizzando e spremendo – o provando.E poi questo: prendere l’ombra con tutte le mani, tenerla, farne ristoro.23 ottobreDicono: il dolore è una vanga che dissoda l’animaperché la vita possa far crescere i suoi frutti migliori.Dico: se il dolore dissoda voglio essere terra arsa, un grumo duro e secco, che sfarina.Se il dolore ammorbidisce e concima io voglio essere pietra, arido sale o granito.Non voglio lacrime e scavare solchi, ad addolcire l’arsura dell’erba.Il sole asciutto brilli a mezzogiorno sulla mia testavuotavuotacome vuota è la mente del tordo quando il cacciatore imbraccia il fucile, come vuota è la mente del tonno quando l’esca gli viene vicina.Dico: se il dolore rende migliori è alla versione peggiore di me che mi aggrappoe chiudo gli occhi, le dita a sigillo e non guardoe non sento lo spavento del mondo che mi preme addosso.25 ottobre
Ci sono momenti che mi sembra di aver capito tutto.Per fortuna durano pochissimo.28 ottobre
Cadono foglie sulla mia testa, quando cammino nel viale. Nei giornali e in tv cadono bombe. Autunno strano. Piove quasi ogni giorno e pure se smette il cielo è un cuscino imbottito di grigio.Leggo Christian Bobin e Ron Rash. Guardo Shameless e Il racconto dell’ancella, cerco oggetti su Vinted e Subito, provo a liberarmi di oggetti che non mi servono più.Il mattino presto medito seduta in mezzo alla stanza.Medito? Forse. Vedo con gli occhi chiusi il profilo molle degli alberi e le tegole oltre i vetri da pulire. Vedo tutte le cose che ho da fare, in fila a reclamare attenzione, si spintonano per saltare un turno, strusciano i piedi, come turisti davanti ai musei.Le caccio con un tic del sopracciglio, ma tornano.Un figlio dal dentista, la riunione a scuola dell’altro, mandare la mail, aspettare quell’altra, mettere i ceci in ammollo, non ho ancora preso il caffè, la spesa, sguardo al terzo occhio, il nuovo tatuaggio, pulire i vetri.Un altro tic del sopracciglio, svaporano.Per poco.La sera, poi, davanti alla tv, prendo l’uncinetto, intreccio.Penso a questi giorni così, dove cadono foglie invece che bombe, dove ho uno spazio per stare ferma e zitta, dove mi appunto di comprare cereali e lane, dove il 27 arriva lo stipendio, dove la stufa accesa brilla nel cuore del buio, il divano come una zattera.Dove piove e piove ma per adesso gli argini tengono.E provo senso di pericolo e di scampato pericolo – e pena – e incapacità di capire – e sollievo e vergogna per provarlo – e gratitudine.Ho finito una coperta, ordinato una lana mohair, cominciato una sciarpa a punto canestro. -
L’orologio fermo dice: stai dove sei (istanti rubati a #settembre2024)
4 settembre
Mi si è fermato l’orologio, nella notte prima di venire al mare. Per me, che tutto è segno, simbolo e sincronocità, il messaggio è piuttosto esplicito e non cambierò la pila almeno fino al rientro.Detto questo, l’occhio cerca il polso ennemila volte al giorno.Lascia stare, mi dico. Non è così importante. Di cosa hai voglia adesso? Bagno, gelato, libro, panino, orizzonte?Il dopo lo vedremo.Ho pensato che devo essere gentile con settembre. Trattarlo con cura, come un delicato da stendere al sole senza stropicciarlo troppo, senza rimpinzarlo di piani e progetti e buone intenzioni come sempre sono tentata di fare.Punto la sveglia prima dell’alba per uscire a camminare e provo a non programmare niente. Mi fermo quando ho voglia di caffè o quando una particolare luce giallastra cattura lo sguardo.Che ore sono? I ragazzi si saranno svegliati? Avranno fatto colazione?Lo sguardo corre al polso. Inutilmente.L’orologio fermo dice: stai dove sei.Ho pensato che devo essere gentile, con me, a settembre. Con lo smalto che metto male e si gratta via con la salsedine, con le doppie punte e la pigrizia. Con i pasti alla come ti salta in mente, l’abbronzatura a strisce e il caffè di troppo.Ho pensato che a settembre devo essere gentile con me e con quello che mi succede intorno – che forse basta spostare lo sguardo e vederlo.6 settembre
I ragazzi sono andati soli a camminare sul lungomare. Mi hanno chiamata dopo un po’ da un numero sconosciuto dicendo che avrebbero tardato: hanno salvato una beccaccia di mare incastrata tra gli scogli e, ascoltando i consigli di un passante, l’hanno portata in una certa spiaggia dove il bagnino avrebbe chiamato un’associazione per la cura degli animali selvatici.Mamma, aveva il cuore a mille, mi hanno detto. Non riusciva più a usare le ali.Le camminate da soli sul lungomare fino al paese vicino è una delle loro conquiste dell’ultimo anno. Altra novità è poter restare a casa da soli mentre noi mamme usciamo a camminare.Usciamo a camminare, quindi, e parliamo per lo più di loro. Della scuola che comincia, delle cose di loro che ci fanno ridere o arrabbiare. A volte con il cuore alleggerito per la nostra nuova libertà, a volte con l’istinto di cercarli con la coda dell’occhio, abituate come siamo ad averli sui nostri passi.Sul quadernino che porto sempre con me annoto le cose che fanno (le lunghe nuotate con la maschera, saltare le onde, la caccia ai granchi lungo gli scogli, le lotte con gli asciugamani arrotolati), per ricordarle quando non le faranno più.Loro, i ragazzi, sembrano non curarsi troppo di questi cambiamenti. Li osservo e mi pare di vederli armeggiare con ali nuove, ancora troppo goffe o ingombranti per saperle spiegare a dovere.Loro sembrano non pensarci affatto.Oggi c’è da tornare alla spiaggia per sapere come sta la beccaccia.23 settembreL’anima è una lucciola in autunno, dicono.Facciamola brillare.Read More
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Nulla in me dubita della tua presenza (istanti rubati a #agosto2024)
1 agosto
Scendere nell’orto prima di cominciare la giornata, in estate, è un rito che mi va comodo.Scendere con la bocca ancora impastata dai sogni, i piedi negli stivali, la maglia a maniche lunghe nonostante il caldo già prepotente, per non farmi rosicchiare dagli insetti.C’è un esercito di insetti, tra i fiori delle zucchine, tra le file di pomodori. Ti fischiano nelle orecchie come fuochi d’artificio.Nel silenzio dell’alba, ogni cosa sembra al suo posto. Forse per questo la natura ci affascina tanto. Anche l’ape che ti punge fa il suo lavoro. L’hai spaventata, hai invaso il suo territorio, lei si difende come sa: niente di personale.Forse per questo la natura, a volte, tranquillizza: a differenza delle faccende tra umani, ogni cosa segue il suo corso. E il modo in cui vanno o non vanno le cose non dipende da niente che non sia la loro essenza – piegarsi al vento, nutrirsi di pioggia. Rigenerarsi con la luce del sole.Non c’è colpa, né senso di colpa, né aspettativa, scopo o frustrazione. Solo lasciarsi vivere e morire e poi rinascere. Ogni cosa al suo tempo, nel presente – una musica esatta.10 agosto
Che poi è facile, se ci pensi.Quello che abbiamo è questo sentiero, persone con cui fare dei tratti, un cielo sulla testa che delle volte dice sole e altre tempesta. Altre volte ancora se ne sta azzurro e distante, fa finta di niente.E abbiamo queste gambe che è meglio far andare e scarpe da scegliere robuste. E abbiamo voci che ci scortano lungo la strada e che il più delle volte ci riportano a casa.14 agosto
Pensare un nuovo tatuaggio.Il bosco.Preparare il tiramisù per un ferragosto in cortile.Famiglia.Il primo caffè del mattino in bottega o sul balcone.Cognetti – Giù nella valle.Appunti di viaggio.Amici. Le birre al laghetto.Camminare.Meditare sul pavimento di legno, di fronte al Pasubio e le sentinelle di pietra.I pasti condivisi.Chandra Livia Candiani e Mariangela Gualtieri.Ricordare.Le serrature del silenzio, la preghiera del ruscello.La notte, un nero mare capovolto punteggiato di stelle.Moquette d’erba sotto i piedi.Nel letto coi bambini, le parole prima di dormire.Mi inchino al Dio dei giorni semplici – con la fronte a terra benedico ogni minuscola sterminata grazia.19 agosto
Tu e io, una notte in rifugio, camminare al tramonto. E poi all’alba. La superluna blu di agosto giallissima e quasi piena e tutte le nostre parole – parole che vengono facili, qui, lontano da tutto. Tu che mescoli storie da bambino e riflessioni da uomo, tu che racconti con la voce quasi da ragazzo.Mangiare come lupi, dormire come sassi – il vocabolario dello stare bene è preso in prestito dal bosco.Come sempre perderci, noi due (anche questa una quasi tradizione), arrabbiarci un po’ nell’erba bagnata, alta che ci arriva ai fianchi, Te lo avevo detto che non era questa la strada. E poi trovare un segno, la rotta, la via – una riga rossa e una bianca su un tronco. Rieccoci sul sentiero che ci riporta a casa.(Perché domani, ovunque tu vada, sappia riconoscere sempre il sentiero che ti riporta a casa).27 agostoSalire al rifugio Fraccaroli è un rito dell’estate – uno dei tanti eppure uno dei più significativi.La sveglia prestissimo, la prima parte della salita nella pancia scura e ancora fresca del bosco e poi venire alla luce sulle pietre chiare, sbiancate dal sole.La merenda -pane e cioccolata- alla prima bocchetta, quando la vista spazia dall’una all’altra valle, al rifugio infilare le ciabatte, i pasti abbondanti, guardare salire la nebbia, la birretta rigenerante, le gambe a pezzi, il belato lontano di un gregge, il tramonto lento, lento, che non arriva mai – il giorno che non vuol finire.Ogni volta le stesse domande su altitudine, chilometri, distanze, la camerata rumorosa, tre piani di letti a castello, al ritorno surfare sul ghiaione.Quell’allegria annebbiata, storie di montagna, la polenta e il vino e sempre dire tra noi che la prossima estate magari si cambia meta, magari si dorme in un altro rifugio, magari… e sempre sapere che intanto la prossima estate è qui che ritorni. Perché i riti celebrano il tempo e gli restituiscono senso.28 agostoQuando un nubeinghiotte i montiroccia cielo terratutto svanisce– ma solo agli occhi.Oltre il visibiletu ci sei.Nulla in me dubita della tua presenza.
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Una boccata di verde e papaveri (istanti rubati a #maggio2024)
5 maggio
Domenica di maggio.
Yoga. Napoleone e i combustibili fossili. Tesina sull’Infinito. Zuppa di ceci e cavolo nero. Uncinetto. Milan Kundera.
Una boccata di verde e papaveri.
E il naufragar m’è dolce in questo mare.8 maggio
Quando all’alba mi sono svegliata, stavo per lanciarmi con la zip line. Le persone che si buttavano prima di me avevano smorfie di preoccupazione e una volta appese remavano nel vuoto, annaspavano sventolando le braccia come se fossero loro a dover decidere la direzione e l’andatura.
Stamattina, dopo giorni di pioggia, il cielo è asciutto. Nuvolo ma le previsioni dicono: migliorerà. In stazione, poco prima che partisse il treno, due donne e una ragazza si sono messe in posa per farsi fare una foto, abbracciate. A volte salutarsi prima di un treno è un salto appesi a un filo. Molte cose lo sono – in certi casi lo sappiamo prima, in altri lo scopriamo poi. Quello che si può fare è regolare bene l’imbragatura e aver fiducia nel filo.9 maggio
Quello che vuol dire, per me, stare bene.
Stai bene è quando vedi, in ogni giorno che comincia, un luccichino di speranza.
Una cosa anche minuscola, come quando ti siedi sulla riva di un fiume e un raggio di sole lo tocca e si sbriciola e una di quelle briciole ti sfarfalla tra le ciglia e tu socchiudi gli occhi e sai che di quella scintilla puoi fare qualcosa di buono.
Stare bene è una cosa piccola, ma neanche poi tanto, a starci attenti.22 maggio
Certi giorni mi sembra che si sia congelato un certo dialogo che intrattenevo con me stessa. Con una certa parte di me che trascende la ragione e arriva a vedere oltre il muro, sopra il tetto, dietro le porte chiuse. Come se quel canale si fosse ristretto, infeltrito. Le parole che prima cadevano a pioggia adesso devono farsi piccine, per passare attraverso. Giungono a me rinsecchite, infeltrite, apparentemente inusabili. Intraducibili.
Mi vengono meglio altre cose, al momento. Lo yoga, l’uncinetto. Fare ricerche su disparati argomenti. Fare cose con le mani, con il corpo. Sgarbugliare nodi, cercare l’equilibrio sulle mani. Ascoltare. Andare nell’orto a controllare la crescita delle zucchine e dello scalogno. Forse questo non è il tempo della messa a fuoco. È un tempo bislacco, fuori stagione come queste piogge che sembrano non finire.
Ma ogni cosa verrà quando e come deve, mi dico. La natura sa come far germogliare il seme. Forse non serve che lo sappia anch’io.23 maggio
In treno, la donna seduta di fronte a me attacca discorso.Parliamo del più e del meno, poi lei si interrompe, si scusa, dice che la sua memoria ogni tanto fa cilecca.La rassicuro, dicendo che anche la mia…“Eppure” dice, con tono benevolo, “lei dovrebbe essere un poco più giovane di me, CREDO”“…”“Quanti anni ha? Io ne ho 77 .”A quel punto, mi son detta che evidentemente la memoria è l’ultimo dei miei problemi.28 maggio
Sulla vecchiaia (mia), parte seconda.Sono in bagno davanti allo specchio, un filo di matita e mascara.Entra mio figlio, dice: “Mamma, sai perché a me piacciono tanto i videogiochi?”“No, perché?”“Per lo stesso motivo per cui tu ti trucchi”“Ovvero?”“Per sfuggire alla realtà”(E meno male che i figli so’ pezz’ e core)30maggio
Continui a cercare fuori.Invece che sentire.Svisceri, compari, investighi, cerchi febbrilmente conferme e rassicurazioni.Perché tutto questo affannarsi?Il fiore sboccia senza nessun calcolo.Il bruco non legge nessun manuale, per farsi spuntare le ali.Il gabbiano non studia le leggi gravitazionali, prima di spiccare il volo.Volgi lo sguardo all’interno, e ascolta.Lasciati vivere.Lasciati diventare.
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Baia di Kotor, luci intermittenti e una musica fortunata (istanti rubati a #dicembre2023)
13 dicembre
Federico ha messo le lucine sull’abete in cortile. Sono gialle e intermittenti e quando le guardo di notte -le vedo anche dal letto- mi sembra che la notte sia più larga, spaziosa. Ci stanno dentro più cose.
Quest’anno il freddo lo sento più forte. Non so se è solo una questione di temperatura o di me che invecchio. Non credo. Mi copro, strati su strati. Eppure. C’è un’umidità che passa attraverso i tessuti, la pelle, le ossa. A volte vorrei qualcosa che mi rendesse impermeabile.
È che certi bocconi -anche se non sono destinati precisamente a te- hanno un gusto talmente cattivo che viene da pensare che siano medicine. Ma se poi non lo sono? A che servono, se non curano?
C’è nebbia e starla a guardare dai vetri mi piace. Leggo Baricco, James Still e Thich Nhat Hanh.
Leggere alza la mia temperatura interiore. Come aprire una mappa, disegnare una strada. Come chiamare un’amica. Come stravaccarmi sul divano coi bambini e dire: Scegliete un bel film in tv. Come dicembre, quando si fa tana in cui rannicchiarsi. Come piangere quando fa bene. Come guardare le luci sull’abete – accese spente accese spente – il buio che dura un battito di ciglia.
(Felice Santa Lucia a tutti)24 dicembre
Per un paio di giorni ho guardato il mio albero dalla stanza da letto: influenza. Me ne sono stata sotto le coperte in uno stato di dormiveglia. Avevo bisogno di questo. Riposo. Letargo. Ne ho bisogno ancora, a guardare bene.
Quando mi sento meglio, leggo. Assaporo con lentezza quella meraviglia che sono i racconti di Rick Bass (La vita delle rocce). Scrivo biglietti di Natale. Scrivo messaggi di auguri.
Luce!, dico. Luce!, scrivo.
Ma lo so, lo sento, che alle volte quello che serve è fare tana nel buio.
Raccogliere le gambe al petto, stringerle con le braccia. Sentirsi il cuore.E allora anche gli auguri sono per piccole cose piene di significato.
Una bella storia – qualcosa di rassicurante a cui pensare la sera.
Un letto da cui vedere le luci sull’albero o uno scorcio amico oltre i vetri.
Una stanza calda – meglio una stufa, qualcosa che brucia, sulla stufa una buccia di mandarino.
Qualcuno che passa a chiederti: ti porto una spremuta d’arancia?
Una caramella, un frutto, un cioccolatino – qualcosa di dolce per mandare via l’amaro.
Una persona a cui vuoi bene che ti scrive: sto meglio.
Qualcuno che va in farmacia al posto tuo.
Avere un piano b e metterlo in pratica senza troppi rimpianti, quando certi progetti vanno in fumo.
Una lettera. Il bosco. Caffè.
E per chi ha la grazia di avere a portata di mano o pensieri le quattro cose che contano: gli occhi giusti per vederle. Anche per chi, ora come ora, questo lusso non sa proprio cosa sia.
Davvero, solo questo. Che sia sotto il sole o nel buio a piombo di una lunga notte boreale: avere gli occhi giusti per vederle.
Auguri a voi.27 dicembre
A te che sei coraggio e vulcanica immaginazione. A te – tutto cuore e capriole tra le nuvole – che da dodici anni ci riempi la vita di Magia…Grazie per essere esattamente quel che sei. Auguri amor mio!#1230 dicembre
Quello che devo imparare, soprattutto quando viaggio: stare con la testa sui miei passi, in asse con il corpo. Non, come son solita, oltre la prossima tappa, a sbirciare tra le immagini della prossima meta. Stai qui, adesso, mi dice la Vita: non è per questo che mediti? Mezzore seduta a gambe incrociate o abbandonata in shavasana e poi? La tua mente resta la solita scimmia che senza vergogna nè saggezza dondola di ramo in ramo.
Me lo dice in modi diversi, la Vita. Ad esempio: programmavo l’Ammerica e sono sui Balcani. Croazia, Montenegro. Baia di Kotor. Mangiamo arance mele mandarini fichi secchi rotoli di pizza e involtini di formaggio, ascoltiamo Goran Bregovic, beviamo tisane di Rooibos caramel, leggo Lana Bastasic (meraviglia!).
Costeggiamo la baia di Kotor che è un pezzo di vetro costellato da una strada stretta. Ci perdiamo per i vicoli di tufo seminati di luci e saliamo centinaia di scalini fino ai resti della fortezza di San Giovanni.
Prenoto una notte alla volta, leggo una pagina della guida alla volta, per la maggior parte del tempo mi scollego da Internet ed evito di cercare info commenti foto suggestioni. Ogni scalino mi dico: sto qui.
Respiro. Non penso a ieri, l’ultimo tratto in salita. Non programmo domani, provando a prevedere, premunirmi, prevenire. Mi concedo di immaginare la veduta oltre la curva, tuttalpiù. Il prossimo centimetro sulla mappa.
E sto qui. Che a ben vedere c’è tutto quello che serve – e molto di più.31 dicembre
Ieri abbiamo camminato sul lungomare di Budva (che a esser sinceri non mi ha colpito granché). Un locale lungo la passeggiata mandava musiche balcaniche e a un certo punto ho visto in lontananza una ragazza orientale -giovane, i capelli scurissimi e lisci tagliati sotto le orecchie – che ballava sulla spiaggia. L’ho vista sorridente, si sarebbe detto felice di quel suo ballo solitario, improvvisato, a pochi metri dal bagnasciuga, a due passi dell’onda. Brava, ho pensato, così si fa. Indifferente al viavai di passanti nel pieno del giorno. Ci sei tu, una buona musica, il mare. Che ti importa se qualcuno ti guarda o nessuno.
Pensavo questo, mano a mano che mi avvicinavo alla ragazza, quando ho scoperto l’inganno: un uomo la stava riprendendo, o fotografando.
Rideva e ballava a favore di obiettivo.
Peccato, ho pensato. E ho pensato quello che vorrei per l’anno nuovo: passi di danza per me. L’entusiasmo e il coraggio di essere quello che sono senza il dubbio di piacere o spiacere a qualcuno.
Una buona musica, chiedo. Una musica fortunata, potendo. E piedi e pensieri liberi di seguire il ritmo, improvvisando la coreografia.
Auguri a voi! Che sia un nuovo anno felice.
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è che la luce (istanti rubati a #novembre2022)
3 novembre
Misteriosa è la vita del capriolo. Ombra che s’addensa ai margini del campo visivo, rumore di foglie e sterpaglie, due salti:sparito. Ma è ancora qui, dietro un dirupo, una curva, un tronco ingobbito: è vicino. Camminare nel bosco è allenarsi a guardare.
Ma, più di tutto: allenarsi a vedere anche quel che scompare.4 novembre
A volte sembra proprio difficile far succedere le cose come le vorresti. Ti ingegni, ti arrovelli, insisti, riprovi, riparti, ancora e ancora. Ci sbatti la testa, il muso, l’ego. Niente da fare. Quello che stai cercando non arriva. Poi, basta alzare gli occhi, guardare dove stai andando. Camminando a testa bassa ci si dimentica di farlo.
Davvero la volevi, quella cosa?
Davvero ti serviva?
O era forse quello che gli altri si aspettavano che tu volessi?
Quasi sempre, la risposta chiarisce il risultato. Guardati dall’alto, guarda dove sei, un puntino che si muove sul sentiero.
Abbi fiducia nella saggezza del sentiero.10 novembre
Persone chiamano altre persone carico residuale.
Eppure le parole hanno un loro peso – hanno suono, anima, intenzione.
Non dicevano che è di tutti il cielo la terra il mare il temporale il solleone?
Io dico che qui si è perso il senso, in mezzo a tante cose futili.
Lo cerco dove posso, con riti semplici, probabilmente inutili.
Trovo solo risposte ingenue, che non interessano a nessuno.
La più facile è: Sì, terra, mare, cielo sono di tutti, e non solo di qualcuno.15 novembre
Sotto cieli altissimi
mossi dal canto muto delle sirene
sparpagliamo i giorni.
Un filo invisibile li inanella come grani – vedremo, domani, la forma che li tiene insieme.16 novembre
In un libro che mi sta piacendo moltissimo, l’analista dice alla protagonista che le madri non dovrebbero avere bisogno dei figli.
Ci ho pensato su parecchio, e probabilmente ha ragione. Eppure sono 12 anni – e i nove mesi prima, e tutto il tempo passato a maturarli e desiderarli, quei nove mesi e quel che ne è conseguito…
Insomma, dicevo, a me sembra che sia da tutta la vita -la mia- che ho bisogno di te.
Auguri amore mio grande, che senza te non sarei più io.17 novembre
(Pulizie d’autunno)
Dentro giorni di attese e incastri acrobatici quello che mi serve è rimettere ordine.
Ricollocare una speranza, spolverare un sogno che è lì da un po’, per vedere se mi somiglia ancora. Riordinare lo scaffale dei vecchi rimpianti, buttare quelli che non servono più. Di quelli che restano, prendere solo quanto serve e riciclare le intenzioni, ricalibrare i Vorrei.
Sverniciare certe antiche convinzioni per vedere cosa c’è sotto. Areare.
Riappaiare domande e risposte senza che debbano per forza combaciare.
I vecchi errori: trattarli con cura e seminarli qui e là per vedere se cresce qualcosa di buono.
Mettendoli insieme, magari, giocando di innesti, potrei capire che non erano poi solo errori.Concimare con autoindulgenza e immaginazione.
Reimpostare il navigatore emotivo, dopo essere stata almeno un giorno sotto un albero a respirare: è davvero là che mi interessa arrivare?
Nutrire l’intuito con silenzi e vuoto e stanze per me, e luce lunare. Lasciare che esca dalla scatola dove lo ho relegato, si stiracchi per bene e si metta a marciare. Che scelga il sentiero.
Adesso, gli dico: Vai tu, per favore. Fai strada.18 novembre
È che la luce si infila tutto dove può. Tu falle spazio.
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