Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

  • Son buoni tutti a viaggiare mentre si viaggia (istanti rubati a #gennaio2023)

    On: 6 Marzo 2023
    In: istanti rubati
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    16 gennaio
    Sveglia alle 5.50 (incredibile, il mondo esiste a quell’ora!), uno strato di nebbia semisolida, due ore per arrivare a destinazione, tra tratti in auto, coi treni (due) e a piedi o in tram. Dopo anni di lavoro quasi sempre da casa, dovrò tornare con più regolarità in ufficio. L’entusiasmo non è alle stelle, diciamocelo.
    Però, durante l’avventura al Nord ho preso appunti. Dicevo (scrivevo) che la vera sfida è portare l’atteggiamento del viaggio nelle piccole imprese quotidiane. Son buoni tutti a viaggiare mentre si viaggia… Per cui me lo ripeto qui, per ricordarmelo. Che certo un atteggiamento di stupore e scoperta porta a nuove scoperte.
    Ci provo?
    (Nel frattempo: al bar della stazione non c’è connessione per fare l’abbonamento e il treno è in ritardo. Convoco all’istante i miei aiutanti magici: libri e caffè, salvatemi voi!)

    19 gennaio
    La luce del Nord è una creatura mutevole. Una lentissima volpe artica che esce dalla tana, si muove quasi camaleontica sul manto bianco.Si muove di continuo, anche quando non te ne accorgi, anche dentro l’apparente buio.E una creatura senziente, la luce del Nord. Vede i tuoi pensieri, il modo in cui sei, e qualche volta te lo mostra.Sul treno leggo Jon Kalman Stefansson, quel suo libro incredibile che è “La tua assenza è tenebra”.
    Arrivo a Torino ancora nella notte del mattino ma dentro gli occhi ho i fiordi d’Islanda, Gudridur che sulla sua giumenta cammina incontro allo spavento e alla meraviglia. Incontro alla passione e al tradimento. Cammina dentro la luce già d’autunno che non è molta, che immagino fievole e docile, che la accompagna e parla con lei di quel che l’aspetta.
    (Eh sì, la luce del Nord e i libri di Stefansson rendono il mondo un posto migliore)

    28 gennaio
    Questa mattina, poco prima dell’alba, hanno visto un lupo nel prato vicino a casa nostra. Proprio accanto al confine del nostro prato. Un bel bestione, ci hanno detto. Giovane, arzillo, una testa grossa così. Non spelacchiato e magro come certi altri che si sono visti in giro. Ha attraversato la strada, il campo, per infilarsi nel bosco.
    Mi fa un certo effetto. Vado spesso in giro da sola, anche al buio. Non attaccano l’uomo, dicono. Eppure ci penso. Cosa farei se me lo trovassi di fronte? Mi viene in mente il periodo in cui scrivevo “Quando la montagna era nostra”. Quanto li ho immaginati gli orsi, quelle creature possenti e solitarie, aggirarsi nel fitto del bosco.Fanno così le paure. Ci aspettano acquattate dietro una curva, nella penombra umida della sera. Al risveglio da certi sonni brevi e tormentati.
    Non sono le paure -soprattutto, loro- a dare forma al mondo? Non sono loro a scriverne i confini? A delimitare lo spazio che ci diamo il permesso di esplorare?
    Le mie paure somigliano a queste bestie selvatiche, uscite da un libro di fiabe o da un racconto dell’orrore. Sanno di luoghi spopolati, notti di luna piena, domande che vanno indietro, indietro, fino all’alba del mondo.Un po’ gli rassomiglio, un po’ mi si infilano nei sogni, mi tolgono voce.
    Qualche volta, mi fanno compagnia.




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  • Qualcosa più di niente

    On: 23 Giugno 2021
    In: quaslcosa più di niente
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    Durante l’ultimo periodo trascorso in Grecia come volontarie, un pomeriggio siamo state in un centro per minori non accompagnati, a un’ora di macchina da Salonicco. Abbiamo parlato a lungo con J., un ragazzo congolese diciassettenne dal sorriso luminoso e aperto, venuto per mare attraverso la Turchia.

    «È importante, per noi, poter passare del tempo con qualcuno» ci ha detto, guardandoci e guardandosi intorno. «È importante perché così non continuiamo a pensare alle cose che ci fanno paura.»È importante perché così non continuiamo a pensare alle cose che ci fanno paura.

    È per lui, per loro, per questa frase che continua ad avere un’eco dentro la nostra testa che abbiamo scritto questo libro. È per i nostri figli, a cui vogliamo offrire la certezza che un’altra realtà è possibile, una realtà basata sulla cooperazione, sullo scambio, sull’empatia. Sull’eguaglianza.

    Non sono eroi quelli che aiutano. Come non lo sono quelli arrivano nel nostro Paese come migranti. Ma siamo tutti uomini. Uomini, e donne, nel senso più ampio del termine. E davvero, alla fine, questo dovrebbe bastare. Per J., per ognuno di loro, per ognuno di noi.

    Perché insieme riusciamo a non pensare alle cose che ci fanno paura. Perché insieme riusciamo a sconfiggere le cose che ci fanno paura.

    Parte del ricavato andrà a supporto delle attività nei campi profughi in Grecia.

    https://www.peoplepub.it/pagina…/qualcosa-piu-di-niente

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  • Di nuovi libri e vernice

    On: 11 Agosto 2020
    In: quando la montagna era nostra
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    Cosa succede quando si mette in fondo a un libro la parola FINE?
    Dopo mesi o anni di scrittura, intendo.

    Ancora non l’ho capita bene, questa sensazione. So che mi sento un pozzo prosciugato, un buco asciutto e terra rossa intorno e crepata dall’arsura. Ma allo stesso tempo: levità. Come dopo un esame, una maratona, una cosa che ci hai provato e in tanti momenti ti sei detto Non ce la faccio mica, e invece.

    E sento un desiderio di muovere il corpo, di andare fisicamente verso qualcosa. Dopo sere e sere e sabati e domeniche e notti e mattine davanti a uno schermo, sento il corpo semiatrofizzato che reclama il suo diritto a muoversi, camminare, ballare, salire una montagna. Faticare.

    Per questo -anche per questo- mi sono messa a dare il bianco. Adesso ho vernice persino sulle mutande, casa mia sembra lasciata indietro da uno tsunami e per passare dal bagno alla cucina devo fare lo slalom tra scale, secchi di giallo, pennelli, rulli e secchi di blu, senza scivolare sui nylon stesi qua e là. E no, non sarà una cosa tanto veloce.

    Ma la vernice fa un odore buono e da qualche parte si sta stampando una storia che mi è costata mesi -e persino anni- di impegno. Mica male, mi dico, grattando via macchie dai pavimenti, dalle braccia e dalle ginocchia. Mica male.

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  • Quarta tappa: l’arrivo (La storia di una storia. In quattro tappe)

    On: 20 Giugno 2017
    In: il progetto, un luogo a cui tornare
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    paesaggio

    «Perché una casa è anche e soprattutto questo: un luogo che resiste, ovunque tu vada, qualunque cosa tu faccia o diventi. Puoi averne cento, o una sola. Ma conta poco, perché quell’unica può combaciare col mondo.»

    Ecco, dicevamo, tutto ha avuto inizio così: tre personaggi con caratteristiche via via sempre più definite e un’immagine precisa letteralmente esplosa nella mia testa una sera di pioggia. Le tre insistenti voci e il loro incontro mi hanno fatto capire quale terreno volevo esplorare con “Un luogo a cui tonare”: dovevo frugare tra gli interrogativi che vi dicevo.
    Dovevo scavare nel senso dell’identità di ognuno, nel tentativo di mettere a fuoco ciò che ci distingue dal resto. Provarci, almeno.
    E da lì, vi ho raccontato la strada venuta dopo: la fatica, la luce intermittente della torcia, il terreno a volte friabile e melmoso, le sorprese lungo il cammino. E, insieme, la bellezza di qualcosa che stava nascendo sotto i miei occhi. Non gratis, no. A costo di molto tempo ed energia. Di fatica, pazienza e dedizione. Anche di un certo spirito di avventura e amore per il rischio.
    Se non parti mettendo in conto l’eventualità non arrivare da nessuna parte, è meglio lasciare stare, io credo. Ma se pensi che sia un viaggio che può insegnarti qualcosa, ha sempre senso fare il primo passo. Meglio che stare alla finestra a domandarsi cosa sarebbe stato.

    E alla fine? Dove si arriva? A una risposta? No, purtroppo e per fortuna. Forse ad altre domande, forse a scoprire e raccontare delle parti di sé, un pezzo della propria visione del mondo che potrebbe somigliare alla visione del mondo di molte altre persone. Persone che cercano, come te, e annaspano nel tentativo di ricomporre qualcosa di cui abbiamo prepotentemente bisogno: un frammento di noi stessi nel vasto mondo.

    Ho capito -a forza di affastellare segni sulla mia mappa- che volevo indagare su ciò che resta di questo viaggio che facciamo, nudi e scalzi, attraverso la vita. (Me lo domando insistentemente, per la verità, in molti modi diversi). E non so la risposta precisa, definitiva, ma so che è moltissimo, quello che resta, comunque sia stata la traversata. Potrei giurarci.

    Scrive Izet Saraijlic: L’ avvenire aveva mille nomi e solo l’ultimo era solitudine.

    Finita la strada -questo pezzo di strada- ho riguardato tutto da là e ho pensato che, comunque andrà da adesso in poi, per quel che mi riguarda ne è valsa la pena. Forse non sono proprio andata da qualche parte, forse sono tornata in un luogo che mi apparteneva. Il mio Luogo a cui tornare.
    Se sarà lo stesso per qualcuno che vorrà seguirmi -se questa storia saprà condurre qualcuno in un posto in cui è piacevole stare, anche per poco- ne sarà valsa la pena due volte.

    Qui la partenza, il percorso, le motivazioni.
    Io adesso vi aspetto qui: www.facebook.com/unluogoacuitornare/.
    Siate i benvenuti: tornateci ogni volta che vi va. Sarebbe bellissimo se vi sentiste a casa.

    Un luogo a cui tornare” vi aspetta da domani -mercoledì 21 giugno- in libreria. Lo festeggiamo insieme alla Libreria Paravia, a Torino (piazza Arbarello 6)

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  • Terza tappa: le motivazioni (La storia di una storia. In quattro tappe)

    On: 8 Giugno 2017
    In: il progetto, un luogo a cui tornare
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    paesaggioRaccontavo qualche giorno fa di come è nato “Un luogo a cui tornare”, di come la storia abbia seguito un suo percorso. Per capire dove mi abbia portato, però, bisogna prima rispondere alla domanda da cui tutto ha origine: quando si scrive da cosa si parte? E perché?

    Qualcuno consiglia di partire da cose che si conoscono bene. Quello certo aiuta. Ma c’è dell’altro, almeno per quanto riguarda la mia esperienza: la spinta a scrivere mi viene da qualche cosa che mi turba, mi ossessiona. O, almeno, che mi incuriosisce al punto da costituire un piccolo tarlo. Magari non tanto da levarmi il sonno, ma abbastanza da infilarsi spesso nei pensieri, da scavare piccoli solchi in cui la mente inciampa.
    Insomma, tutto parte da una domanda, più o meno precisa, che si porta a corredo un corollario di questioni minime. Una domanda che non trova risposte perché, se le avessi, forse, non passerei tempo a scriverne e -scrivendo- a rifletterci su.

    In questo caso, la molla di tutto è stata: qual è, davvero, la nostra identità? In cosa ci riconosciamo precisamente?
    Viviamo così tante vite. E non parlo di reincarnazione. Ci sono momenti e situazioni così diverse, nell’arco di un’esistenza, che sembra difficile capire che cosa ci tenga insieme. Non vi succede? Di pensare ad esempio a un momento della vostra infanzia -un mattino preciso, c’era una luce così bella ed estiva che proprio non ne volevate sapere di andare a scuola. Oppure quella volta che al mare vostro padre vi ha portato al largo col gommone e vi si siete sentiti felici, ma così felici che tutto era al posto giusto.
    Dicevo, non vi succede si ripensare un momento esatto, successo così tanti anni fa che vi viene il dubbio di averlo vissuto davvero? È così vicino da vederne i dettagli, ma al tempo stesso appartiene a un periodo fumoso e indefinibile.
    Ecco, allora, cosa tiene insieme quel bambino che non voleva scendere dal gommone e la persona che siamo diventati oggi, e quella che saremo domani? Una questione di identità profonda, la possibilità di riconoscersi in qualcosa che ci caratterizza, che ci rende unici e differenti dal resto.

    E, da qui, uno sciame di altre questioni. Se oggi la nostra casa va a fuoco e domani non esiste più niente di quello che era la nostra vita fino a ora, in cosa si trasformiamo? Se non riusciamo ad orientarci più in quello che abbiamo intorno, in cosa ci identifichiamo?
    In un momento storico segnato da un flusso migratorio senza precedenti è impossibile, io credo, aprire un quotidiano e non farsi queste domande. Cosa resta di te quando lasci la famiglia, la casa, la tua vita?
    Ma anche: se ci troviamo a dover scegliere tra una menzogna che ci salva la reputazione e lascia la nostra vita in ordine e una verità che potrebbe stravolgerci l’esistenza cosa facciamo? E se scegliamo di mentire, dopo, cosa vediamo quando ci mettiamo di fronte allo specchio?
    E poi messere il Tempo, sempre lui: non mi rassegno all’idea che conosca una direzione sola.

    Scrive Joseph O’Connor: Che cosa sono gli anni? Finzioni. Macchie d’inchiostro sopra un calendario.

    I protagonisti di “Un luogo a cui tornare” – i due di cui parlavo all’inizio- sono molto diversi ma, ho scoperto, hanno questo in comunque: il bisogno di capire, ognuno a proprio modo, che cosa li tiene insieme. Che cosa li rende quello che sono. Non lo sapevo, quando ho cominciato a scrivere:  adesso vedo dove volevano portarmi.
    La prossima volta -ultima puntata, promesso- vi racconto dove sono arrivata: quello che si vede da là.

    Qui, la partenza e il percorso.
    Tracce di questa storia, qui: www.facebook.com/unluogoacuitornare

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  • Istanti rubati ad #aprile2016 (emozionarsi)

    On: 10 Maggio 2016
    In: foto, il progetto, istanti rubati, l'emozione in ogni passo
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    aprile2016Ho letto da qualche parte: non è vero che non ci sono più le stagioni, ci sono tutte, gettate alla rinfusa nel mese di aprile. Stiamo diventando tutti un po’ più meteopatici, ho pensato. Capita così quando non sai che aspettarti.
    Siamo usciti alle volte con i pantaloncini corti e alle volte con gli stivaletti di gomma. È uscito anche il secondo romanzo che ho scritto, ed è un’altra ottima ragione per non sapere cosa aspettarsi. Per adesso quello che è successo mi piace: alle presentazioni ho brindato con gli amici a prosecco e assaggiato fantastiche torte alla nocciola, ho risposto alle mail di sconosciuti che mi scrivono cose sul libro che sono carezze. Il libro si intitola “L’emozione in ogni passo” e fin qui me ne ha date di belle.

    aprile2016aprile2016aprile2016l'emozione in ogni passoÈ successo anche di meglio perché sono diventata di nuovo zia e i neonati mi commuovono, mi smuovono il cuore come un pizzico sulla mozzarella. Figurarsi i neonati nipoti. Li guardi ed è chiaro che vengono da un altro mondo, glielo scorgi negli sguardi che vanno dietro a qualche intuizione impossibile.
    Lo trovo, quel mondo, nelle parole dei miei figli, che delle volte la sera mi dicono cose che spalancano l’invisibile:
    “Mamma, io ti volevo bene già quando ero nella tua pancia. Io mi ricordo quando tu eri nella pancia della nonna”.
    E: “Ma se quando eravamo angeli in cielo non sceglievamo te come mamma, adesso eri triste?”

    In mezzo al sereno sono venuti cieli torbidi da cui difendere gli occhi, da cui mettere al riparo i ricordi. Perché ci sono tempeste d’aria che scoperchiano case e paesi. Figurarsi se non sanno scoperchiare i ricordi. E allora tocca rinsaldare gli argini, rinforzare i margini: mettere distanza o accettare che s’assottigli.

    Tra tante persone belle, qualcuna che ti domandi che cosa sia venuta ad insegnarti, a parte il desiderio di svegliarti cintura nera di karate. Tra tante parole belle, qualcuna che stona, rende anacolutico il pensiero, o peggio, lo affloscia.

    E poi, cose buone: bei libri letti (Equazione di in amore, L’arca, Il resto è ossigeno, Dieci prugne ai fascisti, Non scrivere di me); sassi gettati nel fiume e cavalcare nel prato; un fine settimana con un’amica e i suoi bambini; una gita noi quattro allo zoo (che poi è un parco biologico).

    Si potrebbe andare tutti quanti allo zoo comunale a per vedere come stanno le bestie feroci e gridare Aiuti aiuto è scappato il leone, e vedere di nascosto l’effetto che fa.

    Ogni tanto lo faccio, di guardare le cose accadermi e restare a guardare: di nascosto l’effetto che fa.

    (Nella foto della presentazione a Moncestino, con la giornalista Chiara Cane)

    zoom cumiana

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  • “L’emozione in ogni passo”: ingredienti fondamentali

    On: 5 Aprile 2016
    In: il progetto, l'emozione in ogni passo
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    L'emozione in ogni passoOgni libro ha molti ingredienti, dosati con cura. Quelli che danno il sapore, quelli utili a legare, quelli che servono alla lievitazione.
    Ve ne racconto alcuni di “L’emozione in ogni passo”, in libreria da domani, mercoledì 6 aprile. Lo farò senza troppa serietà, giocandoci un po’, per non correre il rischio di prendersi sul serio. Nulla più che una carrellata di spunti, giusto un assaggio.

    Pervasive come l’albume nelle meringhe ci sono due voci femminili. Alma è una giovane donna alle prese con: il sogno di avere un libreria tutta sua, un quaderno dalla copertina azzurra su cui tiene traccia delle proprie intuizioni, un uomo che somiglia alle cose che dice (e che, in confidenza, somiglia pure in tutto e per tutto al mio fidanzato).
    Frida è una psichiatra che ha abbandonato la professione dopo un fatto che l’ha costretta a mettere in discussione i propri strumenti di analisi e il mondo per come lo conosceva fino a quel momento.

    Nonostante non si tratti di un thriller, ci sono due tipi di inseguimento. Da una parte Alma ripercorre le tappe di un viaggio fatto anni prima dalla persona che ama, o che crede di amare, in un rito catartico e contrario di allontanamento, nello sforzo di dare un senso o un taglio -in ogni caso di trovare una misura- al sentimento che la lega a lui.
    Frida invece, rabdomante nella memoria altrui, segue le tracce del marito perduto, nello strenuo tentativo di ricostruire l’esistenza dell’uomo attraverso i ricordi di chi lo ha conosciuto, e allo stesso tempo di restituire un senso alla propria.

    Ci sono alcuni luoghi che mi hanno segnata. I paesaggi del Monferrato che abito, macchiati di vigne e querceti, modellati appena dal lavoro dei contadini. Sono terre vagamente selvatiche, dove è bello trovare campi e boschi incolti, angoli silenziosi e disabitati.
    E c’è un po’ di Portogallo, la saudade dell’Alfama lisbonese, la forza evocativa dei menhir di Evora, la magia dei vicoli di Porto, intenti a scendere a rotta di collo e in ordine sparso fin giù a bagnarsi nel Douro.

    C’è un personaggio liberamente ispirato a Carlo Urbani, eroe contemporaneo, primo medico ad aver riconosciuto la Sars. Ho provato a immaginare come si faccia a mettere insieme un impegno in Medici Senza Frontiere con una moglie, una famiglia. Ho provato a indovinare cosa provi un uomo con una missione troppo grande per una vita sola.

    Come già in “Ovunque tu sarai” c’è ampio spazio per le coincidenze, uvetta passa per il panettone. Ma più ancora, questa volta, per le coincidenze mancate. Quelle che vedi dal fondo, dalla fine, quando una traccia si palesa e trovi il filo conduttore, che riconosci sorridendo, e che conferma soltanto che ciò che serviva era crederci forte, più forte.
    Scrive Erri De Luca: «Destino, secondo definizione, è un percorso
    prescritto. Per la lingua spagnola è più semplicemente
    arrivo».

    Ci sono i libri, in questo libro, parole scappate a certe pagine per popolarne altre. Per diventare fiato e toni di un’altra voce. Perché questo sanno fare bene i libri: essere i trampolini per altre storie.

    Infine, ma soprattutto dal principio, c’è il pandispagna che regge il resto, sotto la panna e gli strati di crema: il Cammino di Santiago. Quella strada che esce dalla mappa su cui è traccia per diventare fatica, incontri, scoperta, dialogo con se stessi.
    Ho fatto un pezzo del Cammino la scorsa estate e ho provato a raccontare come a un certo punto smetta di essere luogo fisico per diventare “altro”: una distorta dimensione spazio- temporale governata dalla sincronicità, dalla ricerca intima, dalla pienezza di sé.
    Si smette di marciare soltanto e si comincia sentire, semplicemente.

    Il Cammino è un virus: ci ha contagiati tutti. Ci ha coperti di
    segni invisibili, un vaiolo dell’anima che è anche un principio
    di guarigione. Arrivi qui e ti immagini capace di attraversare
    il mare, finalmente vedi che il suo mestiere non è dividere, ma
    cucire insieme terre distanti; carezzi le tue piccole cicatrici
    e riesci a sentire il principio, dentro la fine. Nella pelle che
    s’accartoccia intorno a un taglio c’è una prova di resilienza e
    ogni segno nuovo sul corpo ha una ragione precisa d’essere,
    come gli anelli che nel tronco segnano l’età di un platano.

    Ecco, questo è il momento in cui mi preparo a sbriciare le facce pronte ai primi assaggi, con un misto di emozione e curiosità.
    Ho raccontato un tratto della mia strada sperando che vi nasca il desiderio di fare un pezzo di cammino insieme. Vi aspetto seduta accanto a certe tavole di pietra all’aperto, all’ombra di una radura con le gambe penzoloni in una pozza d’acqua fresca, a risposare il cuore.

    Il jolly: buon viaggio a “L’emozione in ogni passo”, buon viaggio a noi.
    Altri ingredienti qui.
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  • Come nasce una storia. Di pesci, oceani e del nuovo romanzo

    On: 21 Marzo 2016
    In: il progetto, l'emozione in ogni passo, la mia vita e io
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    barcaScrivere è stare su una barca sospesa su niente. Tu butti le reti, e non vedi, e ai primi pesci gli levi l’amo col dubbio di fargli male, di rovinarli quando li metti nel secchio, di non saperli cucinare con il fuoco giusto. Come il Vecchio nella sua lotta forsennata al mare, quel mare nemico e alleato, che si struscia contro la chiglia con la sua indifferenza di mollusco, che restituisce sassi e resti di guerre spuntate lontano.
    Tu stai sulla barca e remi in una qualche direzione, non è chiara sempre, un po’ t’aiuta il vento e un po’ ti risospinge, ogni frase un senso che aggiunge, scandaglia, definisce. Confonde.
    Te ne vai navigando a vista.

    A furia di gettare le reti si impiglia qualcosa che ti pare grosso, che tira e scalcia e fa resistenza. Quando allenti la presa delle volte ti segue, accompagna il flusso, ti ripaga della fatica e del sudore con un guizzo fuor d’acqua: uno solo e dura un momento, ma gli vedi le squame di quel riflesso perfetto, sotto i raggi del sole, e riconosci in quel salto una smania che ti corrisponde, che ti esplode in gola per la bellezza d’averlo visto, per il desiderio di fermarlo.

    Delle volte vedi un movimento a fior d’acqua, solo una scia che si accenna, vene viola su mani anziane, e ci butti le reti, le braccia, i pensieri, in un corpo a corpo che sfinisce e rinvigorisce a un tempo. Se riesci a trattenere lo slancio e la forma, se quello che ti trovi sotto gli occhi ha un senso, forse è una storia. Una storia che racconta di quella tua sortita per mare, della casualità dell’incontro con una creatura marina, del vento di quel giorno, e della luce che piove sulla barca. Ma racconta pure di come hai imparato a pescare, di tutte le volte che hai rappezzato le reti, di un vecchio che un giorno ti ha prestato la sua canna e i suoi calli, e delle mappe che il sale, ogni volta, disegna sulla tua pelle quando s’asciuga. Mappe di luoghi che forse, un giorno, incontrerai.

    Ecco, se qualcuno mi chiedesse come nasce la storia da raccontare in un libro direi questo: nasce dopo molta paziente attesa, dopo un incontro fortuito con un’impressione, dopo la lotta con una creatura che ti sfugge e ti appartiene. Ma nasce anche prima, molto prima: insieme all’albero che ha dato il legno per costruire la barca con cui vai per mare.
    Ecco quel poco che ho capito. Perché così succede, ed è facile e miracoloso come veder nascere una pianta da un seme.

    Così è nata la storia di “L’emozione in ogni passo“. Mi è venuta nella testa a sorsi brevi e pezzi che hanno combaciato in fretta, in uno sforzo di assemblare scorci che non volevo perdere, significati che mi serviva chiarire a me stessa, parole che mi sarebbe piaciuto ascoltare.
    Non c’entra nulla con pesci e reti ma ha a che fare con un cammino. Un cammino reale e metaforico che è stato mio, ma che può diventare di tutti.
    Se vi va, gettate l’amo: dal 13 aprile abbocca in tutte le librerie.

    Il jolly è: “L’emozione in ogni passo”, Giunti editore. Se volete, curiosate qui.

    L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla. Italo Calvino
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  • Storia di un libro che ha attraversato il mare del Nord

    On: 25 Gennaio 2016
    In: il progetto, la mia vita e io, ovunque tu sarai, viaggi
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    piken fra piemonteMi piacerebbe visitare la Norvegia. Non sono mai stata nei paesi Scandinavi e da un pezzo mi dico che dovrei.
    Però da oggi un pezzetto di me sta là, tra Oslo, i laghi pattinabili, scintillanti fiordi e distese di latifoglie. Quel pezzetto è Ovunque tu sarai, che per l’occasione diventa Piken fra Piemonte, ovvero La ragazza del Piemonte. Per noi è un titolo buffo, sì, ma evidentemente da quelle parti sarà sembrata una roba piuttosto esotica.
    Altra cosa buffa è la copertina: chi l’ha vista e mi conosce mi ha chiesto se la ragazza di spalle sono io. In effetti no, ma ci somiglio parecchio. Una copertina su misura, proprio.

     

    Ecco, oggi  un po’ di emozione c’è: è la prima volta che qualcosa che ho scritto viene pubblicato oltre i confini nazionali. Beh, a ben vedere è la seconda volta che qualcosa che ho scritto viene pubblicato. Un bel po’ di emozione, a dirla tutta, perché c’è della magia in te che resti e le tue parole che vanno, che sarebbe anche bene fare cambio o andare insieme, a un certo punto, ma adesso è bello così.

    È evidente da allora che i libri fanno mescola con la vita, firmano gemellaggi d’occasione. Si versano nell’imbuto degli occhi e si disperdono nell’ambiente di ognuno. (Erri de Luca)

    Io le ho preparato valige, alla creatura, spero di averci messo quel che serve. Le ho fatto qualche raccomandazione spolverando il frontespizio, l’ho incoraggiata arieggiando le pagine, una pacca sul dorso e via, ora tocca a lei. Mi divertirò a immaginare una donna chiara di pelle e capelli davanti alla sua casetta rossa, a strapiombo sugli scogli, sulle ginocchia le pagine che ho scritto mesi fa, nel chiuso della mia stanzetta vista Monferrato o su qualche treno per Torino.

    Un po’ di emozione c’è, ma con un innegabile vantaggio, rispetto ai giorni della pubblicazione per Giunti: se qualche critico norvegese stroncherà il mio scritto, io comunque non ci capirò una virgola.

     

    Se qualcuno invece conosce la lingua (ma anche no), può sbirciare  qui .

     

    Il Jolly è: grazie all’editore Tiden Norsk Forlag e agli impareggiabili Walkabout Literary Agency.
    E poi… God Tur, Piken fra Piemonte! (Google suggerisce che si dica così)
    pikenfrapiemonte
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  • Impariamo a corteggiare i sogni (e un libro)

    On: 21 Maggio 2015
    In: ospiti, scienza&fantascienza
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    disegniamo i nostri sogni senza sosta sulle pareti dell'immaginazione

     

    Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso. (F. De Andrè)

     

    Innamorati della vita che vuoi e desiderala con ogni cellula del tuo corpo: è uno dei consigli più belli avuti in dono di recente.
    Ed è quello che voglio fare. Come quando, desiderando un uomo – anzi no: L’uomo – aprivo gli occhi il mattino pensando a lui, e andavo a letto pensando a lui, con la quasi certezza di incontrarlo in sogno (non che io sia particolarmente originale: Apro gli occhi e ti penso… Ed ho in mente te…).

     

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