Scendere nell’orto prima di cominciare la giornata, in estate, è un rito che mi va comodo.
Che poi è facile, se ci pensi.
Pensare un nuovo tatuaggio.
19 agosto
19 agosto
11 aprile
Bevo caffè e mangio un pezzo di tortiera napoletana. Insieme a tonnellate di cioccolato e sorpresine sparse è quel che resta di questi giorni di festa. Giorni di sole timido, caccia alle uova nascoste intorno a casa, le persone che amo intorno a un tavolo (intorno a più tavoli, per essere precisi).
Ieri, pranzo in cortile. I cavalli brucavano alle nostre spalle, ombre silenziose, e il bianco galletto Garibaldi, nuovo ospite del pollaio (grazie Silvana!) prendeva confidenza con il territorio. All’imbrunire, il bicchiere della staffa. Le gambe allungate davanti, le giacche infilate sulle t-shirt, la stanchezza buona dei giorni lunghi. Il clima è stato benevolo e sotto il portico, mi pare, le rondini sono tornate ad abitare i loro nidi. Il nido delle gazze sul pioppo, invece, è seminascosto dalle foglie nuove.
A sera, rimasta sola, invasa dalla nostalgia che mi viene alla fine della festa, ho spento la musica per ascoltare un po’ di silenzio, dopo tutto il vociare. Per tenermi vicino quella specie di vuoto, questa mia antica fragilità, fedelissima e indivisibile compagna di viaggio.
Succhiavo in bocca una parola breve -gusto di cioccolato fondente, sei lettere, una preghiera: grazie.
13 aprile
Ci sono giorni plumbei e angusti come i corridoi di certe vecchie case. Senza finestre, non arriva il sole che splende fuori, nè l’odore buono che sale dalla terra dopo la pioggia. Solo polvere, pensieri stantiii accatastati come vestiti sporchi abbandonati su una sedia.
Capitano giorni così. Giorni stretti. Tu prova ad allargarli. Un passo alla volta.
18 aprile
non è che poi ci sia granché da dire, quando si invecchia…
grazie a chi c’è, a chi mi pensa, a chi mi ha fatto gli auguri, a chi in ritardo dirà Me ne son scordato!
a chi ha fatto tutta questa strada con me, a chi solo qualche pezzo, a chi ho perso per la via, a chi non perderò mai, a chi incontrerò a un certo punto, a chi è sparito per un tratto, e poi eccolo, là, dietro alla curva. a chi mai mi ha lasciata un istante, da questa vita o da quell’altra. a chi mi ha preceduta, a chi mi segue – le nostre impronte mescolate sul sentiero, incorruttibili, indifferenti al prima e al dopo.
grazie alla strada, al panorama quando sorride, alle salite che spezzano il fiato, ma poi guardi intorno ti dici Accidenti, che roba incredibile, il mondo, visto da qua.
un grazie speciale a chi, quando mi incontra in giro, non mi dà del lei e non mi chiama signora.
grazie a me, qualche volta, quando mi lascio in pace, quando sono in pace con me, quando ci metto entusiasmo, quando ci metto il coraggio che serve.
e grazie al tempo – quanto fatico a dirlo, quanto ci bisticcio ogni giorno, ogni volta che lo prego: Rallenta! – però grazie, alla fine, nonostante tutto, perché in fondo, (in fondo-in fondo) senza lui, non sarei io.
(E a ognuno di voi, come sempre: grazie!)
30 aprile
Saluta con una preghiera ogni cosa che incontri.
Il vecchio ciliegio spaccato in due che continua a fiorire a primavera, il sasso che hai pestato mille volte, l’ultima neve sulle cime, l’ombra tremante del capriolo nel bosco, l’erba nuova, l’acqua che brilla giù dai torrenti.
Saluta con una preghiera
la te che aspetta
nei luoghi che lascio
gni volta
senza lasciarli davvero.
Ho ricevuto un regalo bellissimo.
Inatteso e bellissimo.
Mi avrete già sentito parlare di Obra, e della Vallarsa, in Trentino.(Immagino la risposta degli amici: Pure troppo!) Chi mi conosce da un po’, che ci sia stato o no, può dire di conoscerla come le proprie tasche. Chi ha letto qualcuno dei miei libri, l’ha trovata tra le pagine.
Sono i luoghi che mi abitano, i luoghi senza i quali non somiglierei lontanamente a quello che sono.Sono i luoghi in cui è nata la mia mamma, i miei nonni; da cui viene metà della mia famiglia.
Ecco, ieri, durante una cerimonia ufficiale, ho ricevuto la cittadinanza onoraria.”Quale riconoscimento per aver promosso con i suoi romanzi la conoscenza, la bellezza, la storia, la cultura della Vallarsa e della sua Comunità e per amarla profondamente. Mi hanno detto che sono la prima donna ad averla ricevuta.
Ieri mattina sono salita a Obra con Federico e i bambini. C’era un sole che è stato un regalo nel regalo, i monti accesi da una luce quasi primaverile, ma più bella, perchè siamo in novembre, e nessuno se l’aspetta, in novembre, una luce così. Ho riabbracciato amici, camminato i miei sentieri. La nostra casa, il bosco, il camposanto. Ho pensato che non so se me lo merito, questo riconoscimento. Ma che mi riempie il cuore di gratitudine.
Ho pensato che la mia mamma voleva dirmi qualcosa. E che di sicuro, da lì dov’è adesso -da qui dov’è adesso- mi guarda. E sorride.
31 dicembre
Ieri sera siamo andati a fare un giro in auto, di paese in paese, per vedere le luminarie. C’era una luna tonda e luminosa che si sarebbe potuto girare a fari spenti .Le strade erano lucide e deserte, fatta eccezione per una volpe e una nutria solitarie. Le decorazioni facevano capolino nei cortili, se ne stavano appese ai balconi, aggrappate ai muri. Poi, attraverso le finestre accese, ne ho intraviste altre private, più intime e segrete. Una candela, il lumino in cima alla capanna di un presepe. Mi è venuto in mente che, dopo che se ne è andata la mia mamma, per anni non ho fatto alberi, né appeso luci. Lei era l’anima del Natale, e adesso che non c’era più, non avevo nessuna voglia di festeggiare. Finché, un dicembre, non ho tirato fuori il mio piccolo abete, qualche pallina, un filo lucente. Non so perché, semplicemente era arrivato il momento di farlo. Come un seme che a un certo punto germogli. È stato faticoso, e liberatorio.Mi sono chiesta quanti alberi altrettanto faticosi ci fossero dietro quelle finestre, dentro quelle case e dentro tutte le case. Credo molti. Faticosamente in piedi, carichi di stelle e fiocchi di neve. Ho immaginato il gesto: una mano che pettina gli aghi sui rami e appende qualcosa. Accende una luce che forse non verrà vista da nessuno, o forse da un passante, in una notte come tante.Questo spero per il nuovo anno, per noi tutti: il desiderio e la forza di accendere luci.Il desiderio e la forza.Auguri!
24 dicembre
Qui, il fantasma dei Natali passati è dappertutto. È nelle slittate che mi ricordano quelle con mamma la notte della Vigilia.È nella sensazione di Ossigeno che mi investe quando a sera esco sulle strade buie, gelide sotto le stelle, e in quella di accogliente calore che mi fa formicolare le dita dei piedi intirizziti quando torno in una stanza scaldata dalla fiamma viva della stufa. Nei sensi intorpiditi dal tepore e poi acuito dal freddo fuori, nei vividi sogni a occhi aperti.È nei profili scheletrici degli alberi che fan sembrare i monti in lontananza enormi e bonari animali dal pelo ispido.È nel cielo basso, gonfio, così vicino alla terra, così vicino. È negli odori della cucina, nelle coperte spesse, nei libri seminati in giro, nei rari incontri sulle strade desolate. Il fantasma dei Natali passati mi porta in giro per la Valle, mi solletica fin quasi alle lacrime. Mi mette di fronte ricordi che pensavo d’aver perso – e son tutti qui, impettiti, i piedi nella neve, i profili di fumo.Mi raccontano vecchie storie, mi confortano alla loro maniera: promettono che torneranno – che non smetteranno di tornare. I miei auguri, quest’anno: facciamo pace coi nostri fantasmi, diamogli una possibilità. Se dobbiamo frequentarli, tanto vale farsi buona compagnia. Conviene a tutti, no? Felice Vigilia a tutti!
6 dicembre
Questo 2020 mi sembra se lo sia inghiottito la neve.Guardo indietro: una distesa bianca, uniforme, con pochi punti a cui appigliare il ricordo. Mi sembra ci sia stato tolto qualcosa -incontrare, abbracciare, viaggiare… le cose che sappiamo, certo. Ma non solo quelle. Non è mai tanto quello che non si è potuto fare, ma una mancanza di prospettiva. Come se la paura, i divieti, le inibizioni riducessero il mondo a una dimensione sola. A una impossibilità di espandersi, a un rattrappirsi delle facoltà di immaginare. Di desiderare. Sono quelle, mi dico, allora, che bisogna pungolare. Qualche minuto al giorno alleniamo le nostre fantasie come si allena un muscolo – una giornata con qualcuno, una terrazza sul mare, un concerto, un volo da prendere, un libro da scrivere, un nuovo sentiero, caffè e giornale al tavolino di un bar, nel via vai generale. Quel viaggio là. Cinque minuti al giorno: chiudiamo gli occhi, scaviamo a fondo. Troviamo la terza dimensione e forse persino la quarta: coltiviamoci. Verrà il tempo di bucare il terreno, dopo tutto questo gelo. Facciamoci trovare pronti.
5 dicembre
Somiglia il mio amore a una legnaia tenuta bene. Somiglia alla fatica di andare per boschi a tagliare ceppi, alla forza che serve per portarli a casa. Ma sempre pensando al calore che ti avvolgerà quando ogni notte te ne starai accanto al fuoco, a guardare la neve cadere.
La montagna non è poesia.
Sono polpacci duri, gola che chiede acqua, schiene bagnate e certe vesciche. La montagna non è benevola, ogni cima te la guadagni a strattoni, a ginocchia graffiate, mani in cerca d’appiglio.
Non ti regalo niente, sembra dire lei mentre ti metti i suoi sentieri sotto le suole, su certe salite, ogni pochi passi uno sbuffo che prova a rallentare il cuore.
Poi sali un tornante, esci dal bosco, una nuvola scopre la visuale: si spalanca la meraviglia.
La montagna non è poesia, ma le somiglia.
Metà novembre e il mondo intorno pullula di richiami al Natale. Già dal pre Halloween si vedevano in giro zucche e fantasmi affiancati da panciuti omoni vestiti di rosso.
Ora. Io sono tutt’altro che un Grinch ma tutto ciò mi pare un pochino eccessivo. Avanti di questo passo mi aspetto di trovare le renne con le slitte accanto all’invito per il pranzo di ferragosto.
Però ormai ci siamo: tra meno di un mese, dall’8 dicembre, come tradizione vuole, aprirò anche io le porte di casa al Natale. (Il poveraccio, probabilmente, ci troverà un tale disordine che farà un passo indietro per non aumentare l’entropia. Ma questo è un altro discorso).
Compiti per il rientro a casa: scrivere tre cose che ho imparato dalle vacanze in Trentino.
1 – due bambini con una mamma è l’armageddon. Tre bambini con due mamme è l’armageddon con un’impennata di entropia (e buonumore).
Ho dovuto fare i conti: oggi sarebbero 62.
Le parole mi si impigliano tra i pensieri e se ne vanno in giro troppo lontano. Le richiamo all’ordine ma non mi danno retta, sono sulla scia dei ricordi, su quella strada tortuosa e friabile che mi riporta a te.
Più che una strada è una stradina di montagna, quelle mulattiere strette che attraversano i boschi, quelle che ti sono sempre piaciute, mamma.
C’è qualcosa di perenne, nei monti. Forse per questo li amo tanto. Per quella loro anima dura e nascosta, per quella loro forza di pazienza inossidabile. Forse li amo per questo, o forse perché ci sono cresciuta, tra i monti del Trentino, in questa valle riservata e pudica che è la Vallarsa.
In verità qui ci è crescita mia madre, e io solo un pezzetto ogni anno, appena la scuola chiudeva quel poco che bastava per scappare quassù. Però mi ha insegnato a conoscerla con così tanta passione, mia madre, questa terra, che è MIA più di quanto non lo sia qualunque altro posto al mondo.