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Giugno è una lucciola sul palmo della mia mano (istanti rubati a #giugno2025)
Sono i giorni più lunghi dell’anno.Dormo senza tende e la luce dell’alba è una mano gentile che picchia sul vetro.Sei sveglia?La sera quasi sempre scendo all’imbrunire. Dopo un giorno pieno di gente e di parole, intorno a casa torna la quiete. I cavalli muovono lenti la coda, il cielo butta l’ultima luce fino ai miei piedi, come fa una sposa col velo davanti all’altare. Gli insetti estivi riempiono l’aria e ci sono nuovi uccelli che muovono i rami.Giugno è una lucciola sul palmo della mia mano.Il rumore del mondo, intanto, si è fatto frastuono. Un rumore di fondo continuo, assordante.La mente ci protegge. Sappiamo che è vero, che il male accade. Ma lo sappiamo davvero? C’è un campo dell’immaginazione dove non possiamo arrivare. O almeno, dove io non so arrivare. Esiste un confine all’orrore sul quale mi fermo. Vedo fin laggiù, sì, ma sfocato. Sta succedendo, lo so. Ma anche, allo stesso tempo, non sta succedendo davvero.Su quel confine mi siedo. Ascolto il respiro che s’accorcia e lo stomaco che si stringe. Poi mi distrae una mosca, un soffio di vento. Qualcuno mi chiama. Una foglia mi cade vicino. Torno alla vita, nella mia parte sicura del mondo.Ci sono cose piccole che possiamo fare, anche senza il coraggio -benedetto- di chi parte in soccorso. Donazioni, per chi può. Preghiere, per chi crede. (Ma anche per chi non crede: ogni forma di energia buona è preziosa). Possiamo parlarne, restare informati. Cambia poco, dicono, perché sapere non aggiusta le cose. Eppure, pensiamoci: se uccidessero le persone che amiamo, vorremmo che il mondo ignorasse il sopruso?C’è una altra cosa, a mio avviso: benedire quello che abbiamo. Ogni piccola cosa, nel momento in cui è. Niente ci è dovuto. Se abbiamo la fortuna di poterci fermare su quel confine, diciamo grazie. Preghiamo per chi è oltre la linea di demarcazione.Onoriamo la Vita che c’è.Il fuori e il dentro si intrecciano, diventano uno di quei sogni lunghi che si fanno in queste notti brevi e accaldate – manca poco e l’alba bussa, un tocco sul vetro. Mi senti?Giugno è una lucciola sul palmo della mia mano, la guardo brillare ancora un momento.Read More -
Senza spazio non cresce nulla (istanti rubati a #maggio2025)
Maggio: la semina delle zucchine, i primi giri in moto la sera, oppure a cavallo, riprendere in mano vernici e pennelli per rinfrescare i muri di casa. Tinte: bianco, salmone, petrolio. Poi si vedrà.Quello che faccio: spostare oggetti da una parte all’altra.Quello che dovrei fare: dare via, buttare, fare spazio.Senza spazio le nuove piante non mettono radici.Senza spazio non cresce nulla. Non le zucchine, non l’ispirazione, non l’agognata immobilità della mente.Ci provo: preparo scatoloni che poi non riempio. Questo è un ricordo, questo può servire ancora. Questo lo butto domani.Intanto arrivano spaventi che poi, per fortuna, passano.Arrivano piccole delusioni, tristezze che al mattino evaporano.Metto quelle dentro le scatole, mi dico, le mando al macero. Lì forse c’è qualcuno che saprà cosa farne. Forse si possono riciclare in sentimenti più docili – spleen, saudade, nostalgia di luoghi mai visti. (Hai presente quando ti viene in mente la tua infanzia, la tua giovinezza, e sono una stanza, un bosco, un cammino?)Preparo i pennelli, davanti a un muro da riempire di colore la mente di sperde.Seminare, tinteggiare, yoga: le mie piccole cure, in queste settimane.Maggio è agli sgoccioli, tra le mille cose che non so fare, una la so fare bene, la so fare restando presente del tutto, sentendomi viva dall’alluce alla cima del cranio: ringraziare, ogni giorno, ogni ora, per quello che c’è.Read More -
Indonesia Express – Java e Bali con Hati
18 aprile
Si sa che ogni compleanno è occasione di bilanci. Viene naturale tirare le somme, sentire i pesi e i vuoti di quel che si è fatto-dato-avuto-immaginato.Figuriamoci poi se questo compleanno è quello che segna il mezzo secolo… Per una nostalgica come me, la condanna a 24 ore di ripensamenti e struggenti retrospettive.Ecco perché, quando il destino ha intrecciato le date di un viaggio con il giorno della mia nascita, ci ho visto un segno del cielo; la voce dell’Universo che perentoria mi intima di guardare non indietro, ma altrove.Sto trassando, perchè qualche domanda me la faccio lo stesso, tra un aeroporto, un fuso e una passeggiata sopra le nuvole.Mi chiedo: esiste una scala per misurare una vita di successo? Se guardo la mia strada fin qui, posso dire che il mio conto in banca non pullula di zeri. Che non ho aggiunto la mia firma sul muro della fama. Che non ho ottenuto grandi premi, menzioni speciali né ho fatto qualcosa per cui verrò ricordata dalle generazioni future (per ora)
Posso però dire che la mia vita somiglia in percentuale incredibilmente alta a quella che immaginavo e speravo per me. E posso dire anche che, se la fortuna si misura in amore che ci circonda, beh, decisamente ho sbancato il banco!E poi “successo” è una parola che non mi piace: fa pensare a qualcosa di già accaduto. Il bello, invece, è quello che c’è da vivere, adesso.Quello che mi auguro, allora: che la nuova metà del secolo, che ha inizio nei cieli d’Oriente, sia all’insegna di questo gusto buono di scoperta, e che mi si conservi intatta questa benedetta voracità di mondo.19 aprileUn uomo a due passi dal binario, in piedi sul bordo della giungla, fuma guardando il treno passare.Intere famiglie lavorano nei campi.Bambini con la divisa marciano verso la scuola.Donne con i cappelli larghi si piegano nelle risaie.Sul treno da Jakarta e Yogyakarta -più du sei ore di viaggio- cerco di mettere in tasca il maggior numero di dettagli possibile.Una vegetazione lussureggiante, ipnotica, persino invadente ci accompagna ovunque.Stiamo poco a poco smaltendo il fuso, anche se non ha aiutato, nel cuore della notte, il canto del Muezzin che ci ha ricordato di avere la stanza proprio sopra la moschea. Non importa. Sono risprofondata nei sogni cullata dalla litania ipnotica.Nel terzo giorno di viaggio ci siamo svegliati con il trillo degli uccellini nelle gabbiette dell’hotel, abbiamo sperimentato Grab, il servizio taxi indonesiano e cominciato la giornata con un caffè alla stazione dei treni, reso più saporito da post-it motivazionali.Indonesia, ci conosciamo appena e già mi piaci!20 aprile
Ogni viaggio, si sa, ha i suoi momenti magici.Uno di quelli che ricorderemo: ieri pomeriggio, girovagando per un kampung (villaggio) in Yogyakarta, ci siamo imbattuti per puro caso nel tappeto rosso di Asia Esxpress, la versione ungherese di Pechino Express, ovvero la sola trasmissione che seguiamo con entusiasmo da sempre.Un’emozione incredibile, seguire l’arrivo di tre coppie e farci raccontare da un concocorrente (un famoso giocatore di pallanuoto) e da uno della sicurezza tutti i retroscena del format. Mi è sembrato di essere tra quelli che con un balzo calpestano il logo della vittoria.Un fuoriprogramma adrenalinico, prima di riprendere il nostro personalissimo Indonesia Express!20 aprileQuando stamattina abbiamo incontrato il nostro driver, ci siamo chiesti da quanto avesse superato l’età minima per avere la patente. Mezz’ora dopo, conversando, ci ha raccontato che la sua prima figlia si è sposata il mese scorso.Con lui abbiamo ripreso la nostra traversata di Java, quest’isola punteggiata di templi e colorate moschee che non smette di tenermi con gli occhi incollati al finestrino.Questa mattina la cosa più complicata è stata trovare un caffè. Lo abbiamo rimpiazzato, dopo qualche ricerca, con il kopi, una specie di caffè turco non filtrato. Il viaggio è lunghissimo, arriveremo col buio e abbiamo comprato cibo take away nell’ultimo paese prima della giungla, con i soldi che ci ha prestato il driver perché tutti i cambi sono chiusi e l’atm non funziona.Ma non fa niente. Il viaggio ti insegna che le cose non vengono come le pensavi ma come devono venire. Ti insegna che quello che pare storto si aggiusta. E alla fine di una giornata lunga, il nasi goreng è ancora più saporito.Così maciniamo chilometri su strade pazzesche e collezionismo paesaggi in questa terra verde, giurassica, dove ogni seme gettato sembra destinato a dar frutto. Mi è sembrato di buon auspicio essere qui, oggi, in questa Pasqua.Buona Rinascita a tutti.Che sia florida e feconda.21 aprileAmmetto che quando all’una di notte è suonata la sveglia, dopo un paio di ore di sonno e un viaggio lungo dodici, mi sono chiesta chi diavolo me lo abbia fatto fare.Ho continuato a chiedermelo durante la prima ora di salita al vulcano Djen, dove la scia della mia torcia incrociava quella dei tanti altri che, insieme alle loro guide, arrancavano verso la vetta, in una specie di anarchica e babelica fiaccolata.La nostra guida, Endi, per farci sopportare la fatica, ci raccontava che lui a ogni risveglio, prima del caffè di mezzanotte che segna l’inizio della sua giornta di lavoro, studia qualche parola di una lingua straniera. Poi parte sullo scooter a incontrare le persone che accompagnerà quassù e sogna di diventare imprenditore agricolo in una risaia.Arrivata sul cratere, avevo già scordato fiatone e gambe molli. E quando si è alzato il sole, dal mare che divide Java da Bali, mi sono trovata immersa in un mondo preistorico: non mi sarei stupita di sentire la terra tremare improvvisamente sotto le zampe di un tirannosauro.Sotto di noi luccicava il lago blu e il Vulcano esalava il suo fiato di zolfo, respiro fumoso di bestia mansueta.Pareva di stare al principio del mondo.Tornati alla nostra capanna di bamboo nella giungla, il padrone di casa e la moglie ci hanno preparato una colazione a base di noodles e biscotti alle arachidi. Lui ha raccontato di aver vissuto nel Borneo a fare legna e poi lavorato per anni come minatore nelle miniere di zolfo. Ora lo sentivamo scherzare divertito insieme alla moglie in cucina.E pensavo a quella terra di minatori, lavoranti nelle piantagioni di caffè, guide notturne su sentieri scivolosi e impervi che pure, prima di partire per la giornata di fatica, si impegnano a imparare qualche parola di una lingua nuova, per la bellezza di apprendere, di aggiungere un pezzo, anche inutile, a quello che c’è. Magari solo per insegnare a una famiglia italiana in gita, in una notte umida di aprile, a dire “bello”. In cinese.22 aprilePrima lavare le impuritàPoi immergersi per rinascereInfine cercare connessione interiore e offrire gratitudine.Per me che non amo i getti d’acqua sulla testa (oltretutto “fresca”) il rito di purificazione al Tirta Empul Temple è stato intenso. Il mio corpo tremava senza che sentissi freddo e ho sentito stanchezza e vigore nello stesso tempo.Suggestione? Io ho offerto le mie preghiere, salite verso l’alto insieme agli incensi.Abbiamo visitato le risaie di Tegalalang (ovvero il posto più instagrammabile della storia) e le cascate di Tegenungan e una piantagione di caffè dove abbiamo assaggiato uno dei caffè più costosi al mondo, ovvero quello fatto coi semi digeriti dalla civetta delle palme asiatica (simile a un furetto), il luwak copi.Oggi è la vigilia del Galungan, un’importante festa balinese che simboleggia la vittoria del Bene sul Male.Lasceremo le nostre offerte davanti alla porta, in segno di gratitudine profonda per il tanto che abbiamo e per questa terra dove è così facile sentire il proprio cuore battere, qualche volta vibrare, in accordo con il Mondo.23 aprileQuesta mattina, davanti a un tempio che si preparava per le celebrazioni, mi sono avvicinata all’entrata per sbirciare, dal momento che l’ingresso è vietato ai turisti.Un ragazzo indonesiano che stava aiutando nei preparativi si è accorto di me e, anziché trattarmi da straniera ficcanaso, con un mezzo inchino si è spostato per lasciarmi guardare.Un gesto piccolo, che in quel momento mi ha quasi commossa.Oggi si festeggia Galungan, la vittoria di Dharma, principio cosmico di ordine, verità e giustizia su Adharma, ovvero caos, inganno, egoismo e ignoranza.Le strade sono decorate di penjor, canne di bambù alte e arcuate, agghindate con foglie di palma, riso, frutti, dolci, fiori, e altri materiali naturali. Davanti a ogni abitazione ci sono piccoli altarini con le offerte.Da oggi e per dieci giorni si apre un portale: gli antenati tornano nel mondo materiale e vengono omaggiati di cibo, fiori e qualche volta persino sigarette.Il momento più bello è stato all’alba, con le strade inondate di incenso, quando ogni induista si preparava per la visita al tempio con la famiglia. Le donne erano eleganti e bellissime e portavano grandi cesti sulla testa.È incredibile la fortuna che abbiamo a essere qui in questi giorni. Ed è impossibile non accorgersi di come sia tutto armonico ed essenziale.Anche l’invisibile.24 aprileCose a caso di questa giornata di viaggio:– lo spettacolo di teatro-danza balinese “Il Barong e la danza del Kris” (trama in sintesi: il bene combatte il male, un po’ perde e un po’ vince, si gira in baraonda e finisce con il sacrificio di una gallina e un’offerta al Tempio)– sulla spiaggia di Padang Padang a scottarsi nonostante gli strati di crema protezione 50, fare liste di buoni propositi, bere acqua di cocco e sgranocchiare pannocchie– Uluwatu Temple [nelle ore più calde: sbagliato]: la scimmia che ruba gli occhiali da vista a una signora e se li porta su un albero. Altra scimmia che ruba gli occhiali da sole a una signora che si dispera e spedisce il marito a sfidare l’agguerrito mammifero; l’intrepido riesce a riaverli barattandoli con qualche biscotto– un matrimonio sulla spiaggia (circa due ore di foto agli sposi nel tempo che siamo rimasti lì, ma erano già cominciate quando siamo arrivati e non davano cenno di volgere al termine quando ce ne siamo andati – se il matrimonio sopravvive al servizio fotografico è amore eterno garantito)– l’adorabile driver che ci ha portati a spasso ci ha raccontato del suo secondo lavoro: di notte va nella giungla di Bali o Sulawesi con un generatore per attirare insetti da spedire a un ricercatore finlandese che li distribuisce tra le università europee -> morale: i tesori più interessanti sono sempre nelle storie delle persone.25 aprileIl villaggio di Penglipuran è un villaggio tradizionale dove è possibile visitare dall’interno la struttura delle case familiari. Ognuna è circondata da mura e tiene insieme diverse stanze, aperte e chiuse. Ci sono case che ospitano anche 20 o 30 persone. Sono in comune la cucina e la zona in cui si mangia e lavora, che pare una specie di lunga capanna sospesa.Da notare che ogni casa ha un proprio tempio e che ci sono passaggi che mettono in comunicazione le case tra loro perché i vicini vivono in rapporti di reciproco aiuto e collaborazione.(Diciamo che abbiamo molto da imparare).Ci sono luoghi in cui le parole sono di troppo. Basta la loro energia a farti sentire nel posto giusto al momento giusto. Il tempio Gunung Kawi è uno di quelli. Nascosto nella giungla nella gola del fiume Pakerisa, si dice sia stato creato da un’unghiata di un gigante e canta i suoi atavici misteri a chiunque abbia orecchie e cuore per sentirlo.Altre cose sperimentate oggi: il durian. Un frutto che ho amato al primo assaggio e che in famiglia mi ha fatto odiare, perché puzza un bel po’.Il massaggio balinese: praticamente un’ora in paradiso. Non so come potrò farne a meno.(Così liberaci dagli inquinatori di silenzi, dai vicini di casa invadenti o troppo diffidenti. Liberaci dai posti di cartone per turisti. E da tutti gli spaventi.Buona festa della Liberazione!)26 aprileLa meditazione con il suono curativo nelle Piaramidi del Chi di Ubud.La giungla e gli elefanti.Una cerimonia in un villaggio di periferia: uomini, bambini, donne con le offerte trasportate sopra la testa e la figura mitologica del Barong che si spostano da un Tempio all’altro.Sono così ricche queste ore che mi ci vorranno dei giorni per riordinare le emozioni che sto provando.Vale la pena dormire meno di quello che farei abitualmente per incontrare l’alba, respirare il profumo del frangipane e dell’incenso, incantarsi a guardare le scimmie trastullarsi sui tetti e sui cavi tra le case, nel chiaroscuro del giorno.E la sera, dopo che il buio scende in un amen, restare sul terrazzino ad ascoltare gli sconosciuti suoni della giungla e i rumori di tamburi e gong lungo le strade.C’è così tanto da vivere, qui, che le parole per raccontarlo faticano, come se si accalcassero e spintonassero sull’orlo di un imbuto. C’è quello che sento, in una zona di confine tra quel che so a stento esprimere e quello che invece è sfumatura, ora troppo vicina agli occhi per decifrare il disegno.Me ne sto qui in silenzio, vicino alla statua di Ganesh, incredula al pensiero che domattina, come ogni giorno, qualcuno avrà tanta cura da adornarlo di nuovi e freschi fiori tropicali.27 aprilePuntare la sveglia alle 5.45, uscire col buio per fare la prima pratica di yoga e meditazione al The Yoga Barn, uno di quei centri che ogni amante del genere farebbe carte false per poter frequentare (in sintesi: sala bellissima e arieggiata con vegetazione tropicale lussureggiante. Qui mentre pratichi con insegnanti e allievi da ogni parte del mondo puoi osservare gli scoiattoli saltare di ramo in ramo e sentire la musica del fiume).Poi, vincere la diffidenza nei confronti dell’acqua (si fa per dire: avevo il salvagente) per immergersi nel profondo blu dello snorkeling, tra le onde dell’Oceano Indiano e la barriera corallina. Risalire sulla barca facendo rotta sulla piccola e semideserta isola, tra cervi in libertà, tartarughe marine e varani.Cerchiamo ogni modo per trovare nuovi punti di vista, altri codici per decifrare la mappa del mondo. Per trovare un altrove che alla fine ci conduca a una vista trasversale o amplificata o che ci avvicini davvero a quello che siamo.E il viaggio è Maestro di questa ricerca.Perché è bella è vera quella cosa che la scoperta “non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”, ma è anche vero che i nuovi occhi li costruisci tu.Passo dopo passo.28 aprileSulla spiaggia dietro il nostro bungalow, questa mattina, la sabbia era nera e soffice e luccicante. Tiepida, tra le dita.Era bello guardarsi intorno, da una parte il primo alone del sole e dall’altra un arcobaleno.Ho trovato una piccola pietra bianca a forma di cuore e l’ho raccolta.Arrivata al bungalow, la statua di Ganesh era già ornata di fiori nuovi e incenso e qualcosa da mangiare e da bere (un biscotto, del latte). Ho lasciato la mia pietra bianca – dalla mia mano alla sua, di pietra. Benevolo Ganesh distruttore di ostacoli.Mi sono fermata a lungo davanti al Tempio. Ho chiesto una cosa. Non la chiedevo da tanto. Ho chiesto che mi venga aperta una strada che vorrei percorrere. Non una meta. Una strada.Allora c’era questo: un certo tipo di silenzio bagnato dal canto degli uccelli e dal rumore della saggina mossa a spazzare le foglie, poco lontano, da una donna anziana. La risacca, un rumore piccolo di fondo.C’erano nuvole e una luce d’ovatta e fiori di frangipane e melograni. C’erano due gatti e quella preghiera che dal cuore è scesa attraverso i miei piedi alla pietra e alla terra – ed è salita su, oltre il pensiero.Dove è nata, dove è andata?Ho avuto in risposta un momento di vuoto che dice: si può.Che dice: perché non metti forza in quel che chiedi?Sono ripartita con una più certa fede in questo Tutto che si tiene con sekala e niskala, visibile e invisibile.Sapevo. Certo. Intuivo.Ma questa terra sì, me lo ha messo tra le mani. Ecco, mi ha detto. Lo vedi? Proprio lì, sul palmo, dove c’era la pietra bianca a forma di cuore.Ecco: senti.È stato il più bel dono.29 aprileNel sito indonesiano di Prambanan, nella zona di Yogyakarta, c’è anche Candi Sewu, un bellissimo tempio buddhista.Durante la visita a Borobudur, il tempio buddhista più grande del mondo, c’è stato in sottofondo per quasi tutto il tempo il canto del Muezzin.Io credo che questo basti a spiegare come si dovrebbe stare seduti sul mondo, dividendosi uno spicchio da buoni fratelli, siediti qui, guarda: c’è posto.Del resto, Borobudur è un gigantesco mandala scolpito nella montagna. E tu, pellegrino, sei parte di quel mandala in movimento. Vieni, passi, te ne vai. Ma allo stesso tempo, anche, resti. Come tutto.È rasserenante: la sensazione di essere sui passi della Storia e su quelli dello Spirito nello stesso tempo. Su una via per cercarsi.Che poi capita di sentire le stesse cose, ad esempio, in un bosco. O sulla riva di un fiume in una sera di giugno. Coi piedi nell’acqua gelida, sulle pietre lisce. O in quei momenti, forse al tramonto, seduto su un marciapiede o in un giardinetto, che aspetti qualcuno e quell’attesa dilaga e diventa un seme per qualcos’altro di cui ancora non hai contezza; o resta appeso alla tua memoria con un filo che pare bava di ragno ma che invece resiste. E resiste. E si fa porta, passaggio.Per cosa? Questo, poi, si vedrà.Che tutto, alla fin fine, è un modo di cercarsi. Alcune vie sono più pittoresche, o tortuose.Altre, solo più solitarie.30 aprileStavamo camminando per i vicoli, ieri sera, cercando un posto dove fermarci a mangiare. Abbiamo sentito musica provenire da un cortile e mi sono fermata a curiosare. Quattro donne ballavano e ridevano. Quando si sono accorte che le stavo guardano, mi hanno aperto il cancello e invitata a entrare e ballare insieme a loro.Questa mattina, in giro per i villaggi di Yogyakarta, strade strette quanto le spalle di un pallanuotista. Pensavamo una strada fosse chiusa. Una signora che faceva la spesa a una bancarella si è interrotta per venire a mostrarci un passaggio.Una ragazza con lo scooter si è accorta di un gattino sul marciapiede piuttosto malconcio. Si è fermata e se lo è caricato suo sedile. Ha fatto qualche metro fino a una casa, forse la sua, dove ha offerto al gattino del cibo.Ogni mattina, i proprietari del bungalow dove dormiamo ci fanno trovare in giardino cose buonissime cucinate da loro: mini pancake e dolcetti di riso e cocco avvolti nelle foglie di banano.Ecco due o tre cose capitate in poche ore. Ed è impossibile camminare per strada senza incrociare sorrisi e saluti gentili.Ora ditemi: come si fa a non innamorarsi di un posto così?1 maggioJava attraversata in treno è una lunga poesia tropicale con palme e banani per punteggiatura.Una strofa canta le risaie, i suoi aironi a chiazze, un’altra le gonfie nuvole basse e il fumo che sale verticale.Bambù e canne da zucchero con i pennacchi bianchi ritmano i versi – la giungla irrompe e scompiglia le rime.Gli uomini -sacchi sulla schiena e sigaretta in bocca- e le donne chine con i cappelli larghi intonano il canto che tiene insieme terra e cielo.Ogni parola è loro, gli spazi tra le righe sono i gesti.Il punto a capo? Un’ora di riposo all’ombra, strappata ad un capanno.Il foglio, prima bianco, sono i tuoi occhi al finestrino.8 maggioIn indonesiano Hati vuol dire cuore.Hati-hati significa invece: sii prudente. Lo trovi anche per strada, lungo tratti particolarmente pericolosi.Hati-hati (cuore due volte) significa: Abbi cura di te.Mi sembra un augurio così bello, così dolce, da essere una sintesi perfetta di quello che è stato per me il viaggio in questa Terra.Sono tornata in Italia con queste parole che mi giravano in mente. Forse me le stava suggerendo la me che è rimasta là, a piedi nudi, seduta su una pietra e nell’odore d’incenso, immersa nella musica del gamelan e coi capelli seminati di fiori bianchi e fiori arancioni.Hati-hati (cuore al quadrato) vuol dire Ti prendi un pezzo del mio cuore e lo porti con te: abbine cura.E io avrò cura del tanto che questi giorni ci hanno lasciato, delle scintille che mi porto a casa, da far riverberare e crescere quando a occhi chiusi indago il sentiero che mi conduce a me. Terima kasih.(Un grazie speciale ad Ari @arisujana che, con la gentilezza e la premura tipica della sua gente, mi ha aiutata a organizzare al meglio questo viaggio) -
nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi (istanti rubati a #marzo2025)
19 marzo
Qualche notte fa ho sognato di ballare sulle punte.Ero stupita di riuscire ancora, dopo tutti questi anni. Ero stupita anche di non sentire il dolore delle prime volte che le indossavo, le dita scorticate sotto il cotone e il raso rosa.Quante vite sono passate da allora?Chissà se ho mai voluto fare davvero la ballerina: non lo ricordo più. Forse sapevo di non averne le capacità. Abbastanza snodata, quello sì, un buon equilibrio, ma nessun senso del ritmo. Una scarsa memoria per i movimenti del corpo.Se è stato un desiderio che per un po’ mi ha attraversato la mente, calcare i palcoscenici in tutù, deve essere durato poco, svaporato in fretta e dimenticato del tutto quando, alla soglia dei vent’anni, faccende più urgenti e interessanti mi hanno distolta dal balletto.Forse, sul bordo dei cinquanta, posso dire di non aver mai avuto un sogno che mi abbia tenuto sveglia a lungo. Fiamme passeggere, sempre. Alcune senz’altro persistenti, ma mai totalizzanti.Come canta Lucio Corsi: nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi.Ho speso -e spendo- i miei fuochi in relazioni e amori. Quelli sì, inossidabili.Ma non ho mai saputo cosa avrei dovuto essere o diventare. Non ho mai trovato un’etichetta che mi contenesse tutta, che dicesse chi sono.Mi è ricapitato sotto gli occhi, lo splendido discorso agli studenti di Kurt Vonnegut, che a un certo punto dice: “Non sentitevi in colpa se non sapete cosa volete fare della vostra vita. Le persone più interessanti che conosco non sapevano cosa fare della loro vita. E alcuni dei più interessanti quarantenni che oggi io conosco non lo sanno ancora adesso”.Bè, ho pensato, io che i quarantenni li ho superati di una decade, devo essere proprio una persona interessantissima.(Ogni regola ha la sua eccezione e confesso: ho sempre voluto fare la rock star. Nulla è impossibile, dicono. Ma ora come ora, ecco, la vedo un po’ in salita)27 marzoRead MoreCi sono giorni così, mezzi inverno e mezzi primavera.La pioggia, caduta a torrenti, ha formato delle pozze tra la ghiaia in cortile. Poi il maltempo si fiacca, le nuvole si fanno sottili e distanti, s’affaccia il sole e la luce s’amplifica riverberando negli specchi d’acqua e fa chiudere gli occhi.C’è un inverno, là fuori, che non passa. Un inverno immobile che pare aver rovesciato il ciclo delle stagioni con un colpo di stato. Si infila nei miei giorni attraverso le notizie sui giornali, nel malcontento palpabile che si solidifica intorno – si infila nelle notti che si fanno agitate, senza motivo apparente. Si infila nell’impotenza snervata con cui si fa il callo all’altrui malasorte.Si fatica, certi giorni, a guardare le pozze e aspettare di vederci riflessa la luce. Ci vuole grande immaginazione, una discreta dose di egoismo e la capacità di amare senza riserve ogni minuscola cosa lucente. La capacità di tener viva, nel cuore di ogni inverno, almeno un seme di rivoluzionaria, indomita primavera. -
Fai orto della tua attenzione (istanti rubati a #febbraio2025)
13 febbraio
“Scrivere è così” disse: “null’altro che rovinare le cose toccandole.”Lo dice il protagonista del libro che sto leggendo (Illuminazione di Sarah Perry).Quanto è vero, per me. Alle volte sembra tutto perfetto, prima di passare nell’imbuto del linguaggio. Questa Luna di Neve, ad esempio. Non è più bello immaginarla, che raccontarla?Questa luna pallida che culla germogli di cose solo imbastite, inventate, non nate.Che dice il freddo di una terra ancora dura ma già pronta a essere attraversata dalla vita nuova.Quanto sono meglio i ricordi, prima del tritacarne delle parole. Quel pomeriggio a Venezia, la luce di fuliggine tra le lingue mobili della laguna.Perché insistere, allora. Perché ostinarsi, imputarsi, un mulo che non sente ragioni e procede a testa bassa, nella ridda di segni contrari.Chissà. Forse smetterò di farlo quando troverò risposta. Forse allora lascerò le cose intatte, pulite, al sicuro dal mio bisogno di capirle. Lascerò la neve immacolata, salva dall’offesa delle mie impronte.E scoprirò che esistono altri modi di abitarmi, modi che le parole non mi aiutano a capire.19 febbraioA volte la vita ti scartavetra un po’.Sarà per mandar via la ruggine da certi pensieri rimasti là, dimenticati, troppo in fondo, sepolti da strati e strati di pensieri più innocui.A volte bisogna fare un respiro che scende fin dentro la pancia per restare ancorato qui, per non girare la testa e continuare a guardare quello che brucia.La tentazione: accendere la TV, rincoglionirsi di inutili chiacchiere, scrollare il telefonino – imbottirsi per bene di nulla.Ma la vita, o chi per lei, ti richiama all’ordine. Con un pizzico, se ci stai attento, una cosa piccola. Una foto che non sapevi più di avere, una frase casuale al mattino in stazione – una ragazzina bionda, occhi bassi dietro gli occhiali, mani nelle tasche dei jeans bucherellati che dice alle amiche: hanno portato mamma in ospedale.La vita, o chi per lei, è così che fa.Ti dice Ehi, è qui che devi guardare. Penserai mica che il tuo cuore sia una vecchia motoretta da dimenticare in garage dietro agli scatoloni di roba che non serve più…Portatelo in giro, il cuore, fagli sentire le buche e la salsedine in riva al mare e mandalo fuori giri, quando vale la pena. Ma non lasciarlo languire e coprirsi di polvere e riempirsi di umido e frasi fatte e sentimenti spuntati.Portatelo a spasso per il mondo, che veda pure lui quello che c’è in giro. Pazienza se ogni tanto fa un po’ male. Pazienza se ogni tanto lo devi scartavetrare un po’.30 febbraioFai orto della tua attenzione,ristoro dell’ombra.Irriga di luce gli interstizi del cuore,(ogni crepa un sentiero)e lascia sempre aperta e areata benedentro tela stanza degli assenti.28 febbraioVenti anni che non sei qui, mamma.Ho sempre avuto diffidenza verso i numeri, e loro verso di me. Ma questo 20 davvero non vuol dire niente. O forse intende cose diverse da quelle che suggerisce.Ad esempio: due volte niente.Vent’anni andati così, lo spazio di una porta che sbatte, di uno sternuto.Ma anche: il tempo interminabile di due vite tutte intere. Forse di più.Oppure, il due sta per le due te che da quel giorno frequento, la te andata via e la te che è rimasta con me.La cosa più probabile, però, è che il due siamo noi due e zero è il grado di separazione. Tutto il resto -i giorni, le ore, i drammi, le notti, il dolore e la felicità- sono solo quisquilie, inutile rumore di fondo.Quindi: eccoci, ma’. Siamo qui. -
E se fossero senzienti, le nubi? (istanti rubati a #gennaio2025)
1 gennaio
La fiducia nel futuro è una cosa facile, in un mattino di neve e sole in montagna.
L’augurio vero, è che si conservi sempre.
Felice 2025, che sia gentile!3 gennaio
Ho meditato a occhi aperti, ieri mattina, negli attimi in cui nasce il giorno.
Ho guardato il cielo farsi e disfarsi di nuvole.
Le cime dei monti arrossarsi, coprirsi, scoprirsi, imbiondire, coprirsi ancora, venarsi d’azzurro.
E se fossero senzienti, le nubi?
Mi è venuta, da chissàdove, questa domanda.
E se fossero i pensieri degli uomini, o gli sms degli angeli, se fossero il modo in cui le montagne si parlano?
Se fossero i sogni che facciamo la notte, o le poesie degli alberi?
La mia valle è bianca oggi, oltre i vetri della cucina.
I prati sono coperti di neve, marchiata dalle nostre impronte, troneggiano cataste di legna davanti ai muri delle case. Le nostre voci -tutte, tutte le nostre voci- si rincorrono e si fanno eco, e dicono e raccontano tutte le cose che già sappiamo ma che non sappiamo ricordare.
Si fa strada dentro il freddo qualche cenno di stagione nuova: nel ghiaccio che si scioglie alla fontana, in qualche minuto più di luce, al pomeriggio.
Ma io voglio restare ancora qui, nel centro esatto dell’inverno.
Dove brucia il fuoco della mia stufa e le nuvole mi parlano e nel ghiaccio si conservano, uno a uno, gli atomi dei giorni.4 gennaio
In quale misura mi mancasse Venezia l’ho realizzato non appena ci ho rimesso piede, dopo un bel po’ di anni che non mi capitava. Non credo ci sia al mondo città migliore in cui perdersi e ritrovarsi a ogni angolo, a ogni calle, a ogni campo, canale o strettoia.
E questa volta l’ho amata ancora di più, se possibile, grazie ai preziosi suggerimenti di Erika che mi ha suggerito quartieri che non avevo mai visitato, angoli silenziosi dove la calca non arriva.
Anche dormire al Lido è stata un’ottima scelta, a venti minuti di traghetto da piazza San Marco.
E il giro in traghetto all’alba e al tramonto, con la luce rossa che riverbera sulla laguna, è stato un modo sorprendente e magico per cominciare il nuovo anno.16 gennaio
Ieri, quando sono uscita per portare i ragazzi a scuola, la temperatura era a meno otto e c’era la notte, ma poi la notte si è fatta da parte e a quel punto il mondo se ne stava accucciato per bene sotto una lastra bianca, tutto nascosto dal gelo.
Ho guardato il cielo -è uno spettacolo senza eguali, il cielo mattutino di gennaio- e insieme alla luna poco meno che piena, c’era appesa in alto una mongolfiera. Si vedeva in controluce la sfiammata vibrante che la fa volare – il suo cuore pulsante.
Pensavamo che il cuore fosse appannaggio dei viventi?
Mi sono chiesta chi fosse, a ridosso dell’alba, in un gelido mattino d’inverno, a solcare i cieli rosazzurri sopra le colline, a gareggiare con la luna per attirare gli sguardi dei corvi e delle poiane.
Anche gli occhi dei pochi passanti erano intenti lassù: dove va, da dove viene? Forse come me immaginavano giri del mondo, resoconti di altri tempi, cartoline dalla Cappadocia – montagne bianche e aguzze e paesaggi surreali.
Ci ho pensato anche dopo, insieme al primo caffè del giorno.
Bè, niente di speciale, in fondo: solo una mongolfiera.
Ma sono le piccole storie di ordinaria magia, a tenere insieme il mondo.22 gennaio
Mi piace leggere gli sconosciuti come fossero libri.
Trovare le loro storie in un gesto, in un modo di muovere la mano. In un cappello, un lavoro, un orlo scucito dei pantaloni.
Mi piace sbirciare il titolo del libro che leggono e indovinare chi glielo abbia regalato – un amico un amante un figlio un rivale un amore lontano nel tempo.
Trovargli un passato e un futuro, persino, che giocare al narratore onnisciente è un vizio che ti prende la mano.
Mi piace imbastire altre storie, vivere vite non mie, vere e inventate. Mi incrimineranno per furto di identità, contaminazione o per eccesso di immaginazione – ma è il modo migliore per viaggiare da fermi, per essere e non essere, per uscire da me e ritrovarmi al bisogno.29 gennaio
Gennaio è ai titoli di coda.
Intorno a casa si sprofonda nel fango perché le temperature si sono alzate di colpo. Altro che giorni della merla. La neve di stagione me la prendo in queste pagine, nel libro di Stefansson. Quella neve che pulisce il mondo e lo lustra, come la mollica con la migliore argenteria.
Quando esco presto al mattino, ancora imbevuta di sogni, lascio che i confini dei miei pensieri si sciolgano nella nebbia. A sera, asciugo la stanchezza al fuoco del camino.
In mezzo lavoro, cammino, medito, leggo, cerco mediazioni alle richieste dei miei figli, parlo con le amiche, scrivo, scrivo.
Il ragazzo e il postino affrontano le loro silenziose battaglie nella tormenta, con il conforto di una guida enigmatica e misteriosa. Forse più d’una. Recapitano messaggi da un capo all’altro del cammino. Ogni volta che possono bevono caffè. Così lontano, tutto questo?
Nemmeno un po’. Questo intreccio di mondi.
Quanti mondi. Quello che ci scricchiola sotto le scarpe, quello delle storie che incrociamo e quello delle storie che inventiamo, e anche quell’altro, quello a cui crediamo solo ogni tanto – più nella tormenta che altrove.
E alla fine, uno più uno più uno più uno dà come risultato sempre Uno: ma è uno tendente a infinito. È Uno fatto di strati che si distinguono meglio al buio. O nella neve fitta che fonde insieme terra e cielo.
***
“Bjarni: I morti non salgono sulle montagne, e non l’hanno mai fatto,
Hjalti: Ne ho sentite, di cose, nel corso del tempo, e conosco persone che ne hanno viste e vissute. E tutte quelle storie, non c’è da credere a quanto raccontano?
Bjarni: Le storie non sono la realtà.
Hjalti: Be’, e allora che diavolo sarebbero?
Bjarni: Non lo so”.Read More
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nel cuore dell’inverno c’è un fuoco (istanti rubati a #dicembre2024)
1 dicembre
Dicembre comincia così.
Sveglia presto, galaverna, terra dura come asfalto, cavalli, galline, lavori nella stalla, Eliandro che mi offre i suoi guanti perché ho scordato i miei, una luce rosa e diffusa, lo sbuffo bianco delle bestie, il loro fiato caldo.
Un inizio niente male, a parte le mani ghiacce.
E dopo tutto questo, che buono il caffè e che dolce lo yoga…4 dicembre
Dicembre porta, al mattino, i vetri della macchina ghiacciati. Quando la sera mi scordo di infilarla sotto al portico, devo liberarli con una paletta in plastica da cucina che tengo apposta nel vano della portiera.
Le dita mi si fanno di vetro e bruciano, e l’aria che entra nel naso frizza nelle narici e ogni volta sono certa di sentire odore di neve.
Sicuro, qualcosa è in cammino.
Ho letto che i cani percepiscono il tempo in modo diverso da noi perché il loro senso guida è l’olfatto e sentono l’odore di cose e persone a lungo, dopo che se ne sono andate. In qualche modo, quindi, persone e cose continuano a esserci anche quando non ci sono più.
Io credo che siamo anche noi come loro. Che abbiamo un senso che ancora non ha nome che ci fa stare con quello che non si vede più, o non si vede ancora: con la neve che da qualche parte, con il mattino di aprile che verrà, con chi era qui ed è andato via.11 dicembre
C’è una luce nel cuore del buio,
nel cuore dell’inverno c’è un fuoco.
Mi sono svegliata stanotte con questa frase in mente. O una cosa del genere, perché i sogni venuti dopo l’hanno reimpastata un po’. E dopo c’era New York in un albergo pieno di stanze e dentro un parcheggio alberato e io dicevo Vedi, che pace, New York, è così facile questa città, non è mica Shanghai.
Mi sono alzata con il buio abbarbicato ai vetri e ho ripensato quella frase sputando dentifricio nel lavandino. Il mattino è cominciato dopo, ero in treno, è cominciato di piatto e arancione sui tetti delle case.
Per caso ho alzato gli occhi dal libro e l’ho visto.
Mentre poi cammino per una Torino lenta e con gli occhi acquosi, non ancora presa dalla frenesia prefestiva, ripenso all’oasi di quiete nel cuore di New York e penso a quanto spesso mi porto a zonzo brandelli di sogno, a tenermi compagnia sulle strade del giorno.20 dicembre
Se ci fosse un premio per il miglior girovagare, lo prenderemmo noi.
Chi lo ha detto che serve sempre una meta, un obiettivo, una destinazione? Quella è per i videogiochi e per i navigatori satellitari.
Il più delle volte basta e avanza una direzione.27 dicembre
A te che da 13 anni mi insegni il coraggio, il piacere dell’avventura e la caparbietà.
Auguri, perché duri in te la tenacia e quello sguardo che rende il mondo un posto più luminoso e giusto.
Auguri, mio Cuore grande!31 dicembre
I giorni non lo sanno, che significato avranno. Loro si susseguono senza intenzioni nè presentimenti. Che siano il primo o l’ultimo dell’anno: loro vanno.
Le ultime settimane sono state di quelle che devi comprimere e schiacciare per farci stare dentro tutto.
Giorni pieni di impegni e liste infinite di cose da fare.
Così, quando penso a qualcosa che vorrei adesso, mi viene in mente un tempo vuoto, un’estesa prateria dove cavalli pascolano beati senza altro dovere che non sia muovere la coda.
Però poi penso che i miei giorni sono stati così intensi (anche) perché tante sono state le persone a cui pensare, con cui festeggiare, le amiche da incontrare, gli amici con cui brindare. E allora, sai cosa?, va bene così.
Non c’è davvero niente che sia linfa come le relazioni sane e amorevoli. Non c’è nulla che nutra di più, che riempia, sazi, rimpinzi.
Sono le relazioni il manubrio che aiuta e a volte salva l’equilibrio sul filo sospeso che è la Vita.
Auguri perché nel cuore ci sia lo spazio per accogliere e perché i giorni abbiano il significato profondo dei legami che sapremo stringere e coltivare.
Felice anno nuovo a tutti! -
Per quando ho bisogno di semplificare (istanti rubati a #novembre2024)
6 novembre
(Per quando ho bisogno di semplificare)In questo freddo che viene al mattino mentre le finestre sono bagnate dall’umido e dalla condensa e mi copro con strati di vestiti e le dita picchiano sulla tastiera e una musica lenta aleggia nella stanza, io sono.Mentre mi lavo i denti davanti allo specchio, senza guardarmi, e dall’altra stanza mio figlio mi chiama e il gatto si struscia contro la porta, io sono.Mentre mi spoglio del pigiama e a piedi scalzi attraverso la stanza e la moka gorgoglia sul fuoco in cucina, io sono.Nell’odore del caffè e in quello dell’incenso dentro una chiesa, nell’odore della terra bagnata che dal basso striscia alle mie radici, nell’odore di ruggine e nell’odore del muschio e nelle voci che mi chiamano dal cortile mentre i corvi planano sui prati gialli e una gazza saltella sulla ringhiera del mio balcone, io sono.Mentre parole si formano sotto le mie dita, parole che vengono da lontano, chissàdove, e solo chiedono un tramite di falangi e carne per essere accompagnate sul foglio: io sono.È tutto qui: un soggetto e un verbo all’indicativo presente.Non c’è niente di difficile.11 novembreRead More(Per quando ho bisogno di trasformare)Questo fine settimana sono stata a un seminario.Un seminario in un bosco.Abbiamo parlato di trasformazione.Stamattina, sulla strada verso la stazione c’era uno di quei nebbioni che ti fanno dubitare che esista ancora, un mondo dall’altra parte.Mi sono detta che sarebbe bello, saper trasformare l’invisibile in visibile. I simboli in interpretazioni. I messaggi segreti in dichiarazioni di intenti.Decriptare i codici che non sono destinati ai cinque sensi.Hai presente, qui rumori che senti nel buio, quelle sensazioni che ogni tanto ti scuotono e tu in quei momenti lo sai, che esiste un mondo oltre il muro di fumo ma poi, un istante dopo, non sei più tanto sicura… Sarebbe bello cambiare in certezza questo sentire, mi sono detta, mentre guidavo ai trenta all’ora.Ma la trasformazione, ci hanno spiegato, avviene nel cuore, un respiro alla volta. E la mente deve stare al suo posto, entro i confini che le sono assegnati.Intanto, sul fiume, nasceva oltre il grigio una noce di luce sorprendentemente rosa e arancione.16 novembreOggi, al cinema, questa frase: “A volte i cuori delle persone si parlano a loro insaputa” (Il robot selvaggio).Il mio e il tuo, sono 14 anni che non tacciono un istante.Auguri, vita mia ♡#14anni21 novemre
Osservo la nebbia addossata ai crinali dei colli, i filari appena svestiti giù a valle, un lampo di rosso – e la nevicata gialla che trema sui rami e rinfranca.Vorrei farne immagine, poesia, dipinto, disegno, intuizione.Ma poi nello sguardo raccolgo ogni cosa, e mi basta.29 novembreIl tecnico della lavastoviglie continua a latitare. Lavo i piatti a mano, concentrandomi sul fatto che lavare i piatti concentrandosi sul lavare i piatti è un’azione mindfulness. Mi consola solo più o meno.E vado a correre. Quindici minuti, venti. Fa freddo e non ho mai voglia quando è il momento di infilarmi stivaletti e giaccone ma dopo sto bene, lo so. Anche questo, lì per lì, mi consola più o meno.E scrivo. Ma le parole non si piegano al ruolo che scelgo per loro, si sparpagliano sul foglio come tanti disertori incolpevoli e le frasi si trasformano in rivoli sciolti, affluenti liberi in cerca del mare dove lo vedono loro.E leggo troppi libri insieme (romanzi, saggi, manuali di scrittura, dispense sullo yoga) e cerco compulsivamente idee per i regali di Natale e cerco di incastrare tutti gli impegni che mi portano nel mondo, e quelli che invece mi vogliono qui, a osservare il letargo che si prepara per me. Qui a fare tana nello spirito del bosco, nelle mie stanze di terra e sonnambula quiete.E dicembre è alla porta e bussa e mi chiama con la sua voce di abete e campane, e io rispondo da qualche punto lontano di me – nonostante il lavello pieno di piatti e la testa affollata di imperativi e il foglio denso di appunti che mi portano il mare – io rispondo, e dico E sia, e lascio che sia tutto com’è, tutto precisamente come dev’essere. -
Come si fa mattino (istanti rubati a #ottobre2024)
1 ottobre
Scrivere poesie è rallentare i pensieri e i battiti del cuore -uno a uno- intrecciarli con la pazienza degli uccelli, per farne nido dentro il silenzio.8 ottobre
Mi parlano, le sere d’ottobre.
Sarà la speciale qualità della luce, più densa prima di arrendersi, e finire.
Queste sere che mi metto in balcone e le gazze giocano sulle tegole del tetto di fronte e i cavalli ondeggiano sull’erba come ombre sfocate.
Cerco parole per dire questa specie di pace, questa specie di fatica – e non le trovo. Le avrà rubate la gazza, scambiando per pietra preziosa una carabattola luccicante di nessuna importanza.Mi parlano, loro, le sere di ottobre.Mi dicono: fermati. Togli. Una cosa alla volta. Rastrella l’inutile. Stai ferma.Senti.E mi mostrano il modo: quella luce che si fa riassorbire dal cielo.E quanto coraggio c’è, in quella resa.In ogni resa: tutto il coraggio del mondo.14 ottobreComincia una nuova avventura, la chiameremo Avventura del sentire.Del fermarsi a fare silenzio.Fare silenzio come si fa il pane, come si fanno gli alberi, da dentro. Come si fanno cesti di giunchi intrecciati.Come si fa notte, più fredda e nera prima del mattino.Come si fa mattino.17 ottobre
È notte di luna piena, quella in arrivo. Luna piena in Ariete.La luna più grande e potente dell’anno, dicono.Ma non la vedremo, noi qui, il cielo è coperto in lungo e in largo da nuvole spesse. E piove. Come piove. La immagineremo, la Luna di Sangue, rossa per i sacrifici animali di tutti i tempi. La sentiremo, col sesto senso delle streghe, dei lupi mannari.Proveremo a stare al buio, sapendo che la luce –e a fare quello che conta.E cosa, allora?Questo: spremere e strizzare quello che c’è, estrarre dal buio quel tanto di luce che basta a vederci le mani, e poi i piedi, poi la mattonella su cui i piedi poggiano e poi lui, lei, quegli altri che come noi vagano, annaspano, procedono a tentoni, strizzando e spremendo – o provando.E poi questo: prendere l’ombra con tutte le mani, tenerla, farne ristoro.23 ottobreDicono: il dolore è una vanga che dissoda l’animaperché la vita possa far crescere i suoi frutti migliori.Dico: se il dolore dissoda voglio essere terra arsa, un grumo duro e secco, che sfarina.Se il dolore ammorbidisce e concima io voglio essere pietra, arido sale o granito.Non voglio lacrime e scavare solchi, ad addolcire l’arsura dell’erba.Il sole asciutto brilli a mezzogiorno sulla mia testavuotavuotacome vuota è la mente del tordo quando il cacciatore imbraccia il fucile, come vuota è la mente del tonno quando l’esca gli viene vicina.Dico: se il dolore rende migliori è alla versione peggiore di me che mi aggrappoe chiudo gli occhi, le dita a sigillo e non guardoe non sento lo spavento del mondo che mi preme addosso.25 ottobre
Ci sono momenti che mi sembra di aver capito tutto.Per fortuna durano pochissimo.28 ottobre
Cadono foglie sulla mia testa, quando cammino nel viale. Nei giornali e in tv cadono bombe. Autunno strano. Piove quasi ogni giorno e pure se smette il cielo è un cuscino imbottito di grigio.Leggo Christian Bobin e Ron Rash. Guardo Shameless e Il racconto dell’ancella, cerco oggetti su Vinted e Subito, provo a liberarmi di oggetti che non mi servono più.Il mattino presto medito seduta in mezzo alla stanza.Medito? Forse. Vedo con gli occhi chiusi il profilo molle degli alberi e le tegole oltre i vetri da pulire. Vedo tutte le cose che ho da fare, in fila a reclamare attenzione, si spintonano per saltare un turno, strusciano i piedi, come turisti davanti ai musei.Le caccio con un tic del sopracciglio, ma tornano.Un figlio dal dentista, la riunione a scuola dell’altro, mandare la mail, aspettare quell’altra, mettere i ceci in ammollo, non ho ancora preso il caffè, la spesa, sguardo al terzo occhio, il nuovo tatuaggio, pulire i vetri.Un altro tic del sopracciglio, svaporano.Per poco.La sera, poi, davanti alla tv, prendo l’uncinetto, intreccio.Penso a questi giorni così, dove cadono foglie invece che bombe, dove ho uno spazio per stare ferma e zitta, dove mi appunto di comprare cereali e lane, dove il 27 arriva lo stipendio, dove la stufa accesa brilla nel cuore del buio, il divano come una zattera.Dove piove e piove ma per adesso gli argini tengono.E provo senso di pericolo e di scampato pericolo – e pena – e incapacità di capire – e sollievo e vergogna per provarlo – e gratitudine.Ho finito una coperta, ordinato una lana mohair, cominciato una sciarpa a punto canestro. -
L’orologio fermo dice: stai dove sei (istanti rubati a #settembre2024)
4 settembre
Mi si è fermato l’orologio, nella notte prima di venire al mare. Per me, che tutto è segno, simbolo e sincronocità, il messaggio è piuttosto esplicito e non cambierò la pila almeno fino al rientro.Detto questo, l’occhio cerca il polso ennemila volte al giorno.Lascia stare, mi dico. Non è così importante. Di cosa hai voglia adesso? Bagno, gelato, libro, panino, orizzonte?Il dopo lo vedremo.Ho pensato che devo essere gentile con settembre. Trattarlo con cura, come un delicato da stendere al sole senza stropicciarlo troppo, senza rimpinzarlo di piani e progetti e buone intenzioni come sempre sono tentata di fare.Punto la sveglia prima dell’alba per uscire a camminare e provo a non programmare niente. Mi fermo quando ho voglia di caffè o quando una particolare luce giallastra cattura lo sguardo.Che ore sono? I ragazzi si saranno svegliati? Avranno fatto colazione?Lo sguardo corre al polso. Inutilmente.L’orologio fermo dice: stai dove sei.Ho pensato che devo essere gentile, con me, a settembre. Con lo smalto che metto male e si gratta via con la salsedine, con le doppie punte e la pigrizia. Con i pasti alla come ti salta in mente, l’abbronzatura a strisce e il caffè di troppo.Ho pensato che a settembre devo essere gentile con me e con quello che mi succede intorno – che forse basta spostare lo sguardo e vederlo.6 settembre
I ragazzi sono andati soli a camminare sul lungomare. Mi hanno chiamata dopo un po’ da un numero sconosciuto dicendo che avrebbero tardato: hanno salvato una beccaccia di mare incastrata tra gli scogli e, ascoltando i consigli di un passante, l’hanno portata in una certa spiaggia dove il bagnino avrebbe chiamato un’associazione per la cura degli animali selvatici.Mamma, aveva il cuore a mille, mi hanno detto. Non riusciva più a usare le ali.Le camminate da soli sul lungomare fino al paese vicino è una delle loro conquiste dell’ultimo anno. Altra novità è poter restare a casa da soli mentre noi mamme usciamo a camminare.Usciamo a camminare, quindi, e parliamo per lo più di loro. Della scuola che comincia, delle cose di loro che ci fanno ridere o arrabbiare. A volte con il cuore alleggerito per la nostra nuova libertà, a volte con l’istinto di cercarli con la coda dell’occhio, abituate come siamo ad averli sui nostri passi.Sul quadernino che porto sempre con me annoto le cose che fanno (le lunghe nuotate con la maschera, saltare le onde, la caccia ai granchi lungo gli scogli, le lotte con gli asciugamani arrotolati), per ricordarle quando non le faranno più.Loro, i ragazzi, sembrano non curarsi troppo di questi cambiamenti. Li osservo e mi pare di vederli armeggiare con ali nuove, ancora troppo goffe o ingombranti per saperle spiegare a dovere.Loro sembrano non pensarci affatto.Oggi c’è da tornare alla spiaggia per sapere come sta la beccaccia.23 settembreL’anima è una lucciola in autunno, dicono.Facciamola brillare.Read More