Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

  • Dodecalogo, le poesie della brina, la luna del lupo (istanti rubati a #gennaio2024)

    On: 13 Febbraio 2024
    In: Senza categoria
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    1 gennaio
    Mai come in quest’ultimo periodo mi sono resa conto dell’importanza del nostro sguardo sul mondo. Che va coltivato, con amore e dedizione, perché è un po’ dono e un po’ impegno. Il mio dodecalogo per rieducare gli occhi al significato:

    – meno informazioni e più formazione: non lasciarti bombardare da notizie superficiali e chiacchiericcio di fondo ma cerca gli approfondimenti che danno valore e respiro alla tua visione del mondo
    – pagine e pagine belle
    – semplifica quando puoi ma non forzare la complessità alle tue categorie mentali
    – regala risparmia ricicla
    – togli più che accumulare: arreda la tua stanza di pensieri leggeri, arieggia spesso, crea spazio intorno e dentro, spolvera risentimenti e cattive abitudini, scrosta la pigrizia, togli la patina di benealtrismo, riconosciti allo specchio, accendi lampade e candele e, quando serve, fai pace con il buio, spazza il pavimento da ogni convenzione
    -semina alla giusta distanza, cura con cura i germogli e salvali dalle erbe infestanti
    -parti ogni volta che puoi
    – abbandona la boria dell’avere più di quel che serve-non esiste possesso che non porti bisogno
    – muovi il corpo, ferma la mente; silenzia la mente, amplifica il cuore
    – fidati, affidati, surfa la Vita
    – favoleggia, infiabati, inventa parole, riti e profezie favolose
    – ringrazia.

    2 gennaio
    Uscire a camminare nel freddo pungente del primo mattino sull’erba croccante, nell’aria ghiaccia che ti acuisce i sensi, nella luce nuova che strizza via il buio dal giorno, è una specie di preghiera: fa’ che io riconosca sempre che c’è tutto quello che mi serve.

    6 gennaio
    Oggi ringrazio per:
    ogni mattone di questa mia casa – le mani di chi l’ha costruita
    la stufa che brilla in cucina
    gli amici che rendono vive le stanze
    il bosco oltre la porta
    chi è passato di qui, ed è rimasto
    la neve che verrà.

    23 gennaio
    Ieri notte le temperature sono scese a meno dieci.
    Il mattino non partiva la macchina, non partiva il trattore. La terra era un tappeto bianco di miniature preziose.
    Ci credi, tu, nelle poesie che scrive la brina? Nelle sculture della galaverna?
    Ci credi nelle storie che racconta la luce, prima dell’alba, prima di essere luce?
    Leggo Rick Bass, La vita delle rocce. La protagonista del racconto che dà il titolo alla raccolta intaglia piccole barche nel legno che poi affida alla corrente del fiume. Un regalo per chi vive a valle. Un gesto di gentilezza che non chiede ritorno. Un fare e lasciar andare, senza aspettative.
    Ci penso, mentre esco a camminare, l’erba scricchiola sotto i piedi e mi viene voglia di pattinare sulle pozzanghere ghiacciate. Mentre l’aria gelida sveglia i sensi, li appuntisce uno per uno, li fa pulsare come il cuore nuovo di un corpo che nasce.
    Penso a un gesto gentile, una piccola barca lasciata andare che sarà forse di un bambino, di un passante, di una nutria che ci affonderà i denti arancioni. O sarà del bosco, della luna che si inginocchia sulla sponda per guardare, del letto del fiume, degli spiriti che ci vivono intorno.
    Sarà del ghiaccio che ci giocherà un poco -giorni, o settimane- prima di restituirla a primavera.
    Ci credi, tu, nei giochi che si inventa il ghiaccio?
    Fare e lasciar andare, senza aspettative.

    26 gennaio
    Gennaio ha portato la Luna del Lupo.
    Ieri sera in due abbiamo sfidato il freddo del primo plenilunio dell’anno per camminare lungo strade bianche, silenziose, corteggiate dalla foschia che tratteggia incantesimi.
    Non avevamo torce, ma il faro bianco in cielo era voce e ci faceva strada: avanti, da questa parte. Non siate timide. Venite avanti.
    Era nostra la notte, l’incredibile festa allestita in onore di nulla, di tutto, in onore di noi che ce ne stiamo rintanati in casa, dentro muri spessi che ci tengono al sicuro, ci tengono al caldo, ci tengono all’asciutto, immersi nella nebbia azzurra del televisore, nel tramestio dei pensieri, nella fame di terra e di cielo soffocata in una tazzina con le gocce per dormire, nella tisana per dormire, nel rito rassicurante del dito sullo schermo – per rilassarci, ci diciamo, per dormire.
    Camminavo e mi chiedevo quando abbiamo sottoscritto lo scambio, barattando la fame di terra e di cielo per l’agio. Quando abbiamo messo il silenziatore al buio per non sentire cantare i fantasmi.
    Piedi caldi e il cuore in barattolo.
    Eppure la luna piena brillava, stanotte, e l’ho sentita ululare nel cuore blu dell’inverno.

    29 gennaio
    Tre cose sparse di gennaio.
    Uncinetto. Scegliere la lana, il progetto. Fare nodi. Ingarbugliarsi. Sciogliere nodi. Rifarli, ma più ordinati. Tu intrecci, ti incasini, tenti, capisci, coreggi, di nuovo dipani; intanto, bene o male, dritto o rovescio, l’ordito cresce.
    Correre. Dopo anni e anni e ancora anni che non lo facevo il mio corpo me lo ordina: Muoviti. Oltre lo yoga, oltre alle camminate che ritaglio quando posso. Ho bisogno di sudare, sentire i polmoni che faticano, l’aria fredda che li scuote. Ascolto musica, Wild Baricco, un podcast sulla scrittura. Infilo i piedi nel fango – corro con gli stivaletti, non si dovrebbe lo so. Dieci minuti. Quindici. Al sedicesimo stramazzo. Non mi piace (non ancora almeno) ma fa bene. Capisco che non tutto quel che piace al corpo è gradito alla mente. Mi godo la sensazione del dopo, di lavoro compiuto, di muscoli tornati al mondo a fatica.
    Inverno. Ne ho voglia e bisogno. Di questo guscio di noce dove me ne sto acccoccolata per covare i miei semi. Per lucidare parole con cura, come stoviglie dove mettere il cibo; per calibrare la potenza di certe visioni, studiarle in controluce attraverso l’aria dura e azzurra. Per restare nel mio letargo, una creatura senz’occhi nella pancia di terra, le ginocchia contro il petto a sentirmi cuore – sentire che trema. E germoglia.




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  • Baia di Kotor, luci intermittenti e una musica fortunata (istanti rubati a #dicembre2023)

    On: 13 Febbraio 2024
    In: istanti rubati, la mia vita e io, viaggi
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    13 dicembre
    Federico ha messo le lucine sull’abete in cortile. Sono gialle e intermittenti e quando le guardo di notte -le vedo anche dal letto- mi sembra che la notte sia più larga, spaziosa. Ci stanno dentro più cose.
    Quest’anno il freddo lo sento più forte. Non so se è solo una questione di temperatura o di me che invecchio. Non credo. Mi copro, strati su strati. Eppure. C’è un’umidità che passa attraverso i tessuti, la pelle, le ossa. A volte vorrei qualcosa che mi rendesse impermeabile.
    È che certi bocconi -anche se non sono destinati precisamente a te- hanno un gusto talmente cattivo che viene da pensare che siano medicine. Ma se poi non lo sono? A che servono, se non curano?
    C’è nebbia e starla a guardare dai vetri mi piace. Leggo Baricco, James Still e Thich Nhat Hanh.
    Leggere alza la mia temperatura interiore. Come aprire una mappa, disegnare una strada. Come chiamare un’amica. Come stravaccarmi sul divano coi bambini e dire: Scegliete un bel film in tv. Come dicembre, quando si fa tana in cui rannicchiarsi. Come piangere quando fa bene. Come guardare le luci sull’abete – accese spente accese spente – il buio che dura un battito di ciglia.
    (Felice Santa Lucia a tutti)

    24 dicembre
    Per un paio di giorni ho guardato il mio albero dalla stanza da letto: influenza. Me ne sono stata sotto le coperte in uno stato di dormiveglia. Avevo bisogno di questo. Riposo. Letargo. Ne ho bisogno ancora, a guardare bene.
    Quando mi sento meglio, leggo. Assaporo con lentezza quella meraviglia che sono i racconti di Rick Bass (La vita delle rocce). Scrivo biglietti di Natale. Scrivo messaggi di auguri.
    Luce!, dico. Luce!, scrivo.
    Ma lo so, lo sento, che alle volte quello che serve è fare tana nel buio.
    Raccogliere le gambe al petto, stringerle con le braccia. Sentirsi il cuore.E allora anche gli auguri sono per piccole cose piene di significato.
    Una bella storia – qualcosa di rassicurante a cui pensare la sera.
    Un letto da cui vedere le luci sull’albero o uno scorcio amico oltre i vetri.
    Una stanza calda – meglio una stufa, qualcosa che brucia, sulla stufa una buccia di mandarino.
    Qualcuno che passa a chiederti: ti porto una spremuta d’arancia?
    Una caramella, un frutto, un cioccolatino – qualcosa di dolce per mandare via l’amaro.
    Una persona a cui vuoi bene che ti scrive: sto meglio.
    Qualcuno che va in farmacia al posto tuo.
    Avere un piano b e metterlo in pratica senza troppi rimpianti, quando certi progetti vanno in fumo.
    Una lettera. Il bosco. Caffè.
    E per chi ha la grazia di avere a portata di mano o pensieri le quattro cose che contano: gli occhi giusti per vederle. Anche per chi, ora come ora, questo lusso non sa proprio cosa sia.
    Davvero, solo questo. Che sia sotto il sole o nel buio a piombo di una lunga notte boreale: avere gli occhi giusti per vederle.
    Auguri a voi.

    27 dicembre
    A te che sei coraggio e vulcanica immaginazione. A te – tutto cuore e capriole tra le nuvole – che da dodici anni ci riempi la vita di Magia…Grazie per essere esattamente quel che sei. Auguri amor mio!#12

    30 dicembre
    Quello che devo imparare, soprattutto quando viaggio: stare con la testa sui miei passi, in asse con il corpo. Non, come son solita, oltre la prossima tappa, a sbirciare tra le immagini della prossima meta. Stai qui, adesso, mi dice la Vita: non è per questo che mediti? Mezzore seduta a gambe incrociate o abbandonata in shavasana e poi? La tua mente resta la solita scimmia che senza vergogna nè saggezza dondola di ramo in ramo.
    Me lo dice in modi diversi, la Vita. Ad esempio: programmavo l’Ammerica e sono sui Balcani. Croazia, Montenegro. Baia di Kotor. Mangiamo arance mele mandarini fichi secchi rotoli di pizza e involtini di formaggio, ascoltiamo Goran Bregovic, beviamo tisane di Rooibos caramel, leggo Lana Bastasic (meraviglia!).
    Costeggiamo la baia di Kotor che è un pezzo di vetro costellato da una strada stretta. Ci perdiamo per i vicoli di tufo seminati di luci e saliamo centinaia di scalini fino ai resti della fortezza di San Giovanni.
    Prenoto una notte alla volta, leggo una pagina della guida alla volta, per la maggior parte del tempo mi scollego da Internet ed evito di cercare info commenti foto suggestioni.  Ogni scalino mi dico: sto qui.
    Respiro. Non penso a ieri, l’ultimo tratto in salita. Non programmo domani, provando a prevedere, premunirmi, prevenire. Mi concedo di immaginare la veduta oltre la curva, tuttalpiù. Il prossimo centimetro sulla mappa.
    E sto qui. Che a ben vedere c’è tutto quello che serve – e molto di più.

    31 dicembre
    Ieri abbiamo camminato sul lungomare di Budva (che a esser sinceri non mi ha colpito granché). Un locale lungo la passeggiata mandava musiche balcaniche e a un certo punto ho visto in lontananza una ragazza orientale -giovane, i capelli scurissimi e lisci tagliati sotto le orecchie – che ballava sulla spiaggia. L’ho vista sorridente, si sarebbe detto felice di quel suo ballo solitario, improvvisato, a pochi metri dal bagnasciuga, a due passi dell’onda. Brava, ho pensato, così si fa. Indifferente al viavai di passanti nel pieno del giorno. Ci sei tu, una buona musica, il mare. Che ti importa se qualcuno ti guarda o nessuno.
    Pensavo questo, mano a mano che mi avvicinavo alla ragazza, quando ho scoperto l’inganno: un uomo la stava riprendendo, o fotografando.
    Rideva e ballava a favore di obiettivo.
    Peccato, ho pensato. E ho pensato quello che vorrei per l’anno nuovo: passi di danza per me. L’entusiasmo e il coraggio di essere quello che sono senza il dubbio di piacere o spiacere a qualcuno.
    Una buona musica, chiedo. Una musica fortunata, potendo. E piedi e pensieri liberi di seguire il ritmo, improvvisando la coreografia.
    Auguri a voi! Che sia un nuovo anno felice.





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  • Vorrei una finestra sopra i tetti

    On: 13 Febbraio 2024
    In: quasi poesia
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    Vorrei una finestra sopra i tetti
    verdi
    sopra le terrazze nude
    dove la vita brulica e ribolle
    dove i gabbiani
    becco nero
    tagliano il cielo con uno strappo
    d’ali
    e di notte la luna araba
    s’affaccia all’oblò
    della mia nave.

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  • mare, Tangeri, un orecchino a forma di piuma e una collanina di semi marroni (istanti rubati a #novembre2023)

    On: 13 Dicembre 2023
    In: istanti rubati, viaggi
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    10 novembre
    Lusso è un tempo senza meta
    nè orologi

    14 novembre
    Giorni così, che qualcosa ti sfugge e non sai cos’è.
    Allora butta le mappe e prova: macchina, radio, strada, caffè.
    Quando la terra finisce parcheggia, scegli un sentiero che carezza il mare.
    Camminagli al fianco, fedele, vicino, onda a onda, cuore a cuore.
    Cammina, non importa per dove.
    Speravi il sole, ma guarda come sono più belli, come sono più intense le cose quando è tutto grigio e quasi piove.
    Cammina, chiedi al mare: ci capisci qualcosa, tu?
    Chiedi al mare: là, dove tocchi il cielo, in quel punto preciso, vedi qualcosa di più?
    Lui fa finta di niente, ma insisti.
    Cammina, domanda. Resisti.
    Quello che l’onda prende poi te lo riporta.
    Quello che il cuore nasconde è solo dietro un’altra porta.

    16 novembre
    Nella prima foto, che ha qualche anno, c’è lo sguardo innamorato con cui ti tieni vicino le cose che ti stanno a cuore – gli animali, la natura, le persone che ami.
    (Nella seconda foto c’è l’impazienza con cui aspetti di mangiare il sushi).
    Amore mio, che quello sguardo sul mondo pieno di accogliente e generosa tenerezza ti accompagni sempre e renda il tuo futuro un luogo che vale la pena esplorare, giorno dopo giorno.
    Felicità!#13anni

    24 novembre
    Sono stata la prima volta a Tangeri più di venti anni fa. Anche venticinque. Avevo gli anni di quando parti in scarpe da ginnastica e t-shirt e una sacca sulle spalle (proprio come adesso, ma son cambiati gli anni). Comunque: il mio primo boccone d’Africa, era stato Tangeri. Ci ero arrivata in traghetto da Ceuta con un’ansia da scoperta da esploratore del Nuovo Mondo. E si è marmorizzata nella mia memoria come un’oasi bianca di luce lattigginosa e verde di palmeti e ulivi. E tutto quel blu che riempiva il cielo e colava dappertutto.
    Ci torno oggi. A cercare uno sfiato ai giorni. A perdermi per la Medina, respirare gli odori acri e speziati dei Souq. Ci torno sulle orme dei grandi della Beat Generation (Kerouack, Borrowghs, Bowles…), sulle orme della loro fuga dal mondo. E sui passi della me ventenne, i sandali pieni di sabbia, i capelli impastati di salsedine, e tutta la fame nello sguardo. Sono venuta a riprendermi tutto quel blu.

    25 novembre
    Ad Asilah – mezza Marocco, mezza Andalusia – siamo arrivati in treno. Un treno con le cuccette che costeggia pezzi d’Oceano e pezzi di campagna di pecore e pastori. Abbiamo camminato per la Medina tappezzata di murales e tappeti, comprato regali di Natale, guardato bambini in infradito giocare in piazza con un pallone sgonfio; qualcuno urlava Leo Messi, qualcuno si interrompeva di tanto in tanto per piazzare souvenir ai turisti di passaggio. Abbiamo ascoltato il Muezzin chiamare alla preghiera, uomini scalzi davanti alla moschea, abbiamo incontrato giovani che vendevano fumo e tè alla menta, biscotti al cocco e hashish.
    Abbiamo mangiato zucchero filato rosa sotto nuvole di zucchero filato bianco. Abbiamo ripassato inglese e geometria nei tempi morti. Abbiamo guardato i cavalli galoppare in spiaggia, le donne con il velo e le mani decorate con l’hennè.
    Alla sera, di fronte a una luna-lampione appesa sul mare, ho pensato come fa bene, ogni tanto, sentirsi solo uno degli infiniti possibili punti di vista.

    26 novembre
    Oggi abbiamo imparato che l’esploratore tangerino D’Ibn Battouta nella prima metà del 1300 ha percorso un viaggio di 100mila chilometri lungo 29 anni tra Africa Europa e Asia. 29 anni in viaggio: ma ci pensi?
    Quando si dice che Casa è il mondo…Abbiamo camminato parecchio anche noi (qualcosina meno di lui) e ho capito che potrei passare giorni così, osservando i berberi vendere barbabietole e cipolle negli anfratti della kashba e i turisti leggere Erich Fromm di fronte a un tè verde tra gli alberi di arance. Giorni a starsene così, spettatori delle vite altrui.
    Mi sono regalata un orecchino a forma di piuma e una collanina di semi marroni. Li ho scelti su una bancarella per avere un ricordo, senza pensare, e ho capito dopo che è quel che mi serve adesso: un po’ di leggerezza e qualcosa che mi ricordi che è nel buio che si germoglia.

    28 novembre
    Quando si torna da un viaggio, sempre si porta a casa qualcosa.Nei giorni trascorsi in Tangeri, Lemuele e Eliandro si sono presi cura di un gattino che viveva per strada, nei vicoli intorno al nostro albergo. Di ogni pasto mettevano da parte bocconi, avvolgendoli nei tovagliolini di carta e mettendoseli in tasca. Andavano a cercarlo e gli spezzattavano il cibo davanti, perché il gattino aveva un problema evidente alla mandibola. Restavano con lui per un po’ e ci tornavano ogni volta che potevano.Il gattino ci ha messo niente ad abituarsi a loro, alle loro cure, a camminargli incontro quando li vedeva arrivare per strusciarglisi contro i polpacci.
    Al momento di partire, lo hanno abbandonato con il cuore pesante, dopo averlo affidato a uno dei ragazzi che lavora in albergo. Si sono studiati una frase di inglese per chiedergli di prendersi cura di lui.
    Mi porto a casa anche la loro faccia triste mentre ci allontanavamo dalla Medina, la sera già alle calcagna, i loro sguardi lucidi fuori dal finestrino.
    Gli avete regalato tre giorni più belli di quelli che avrebbe avuto senza di voi, ho detto loro, cercando di consolarli.
    Ma la ragione a volte non basta. Non basta quasi mai. Bisogna tenersi cucito addosso un po’ di dolore, qualche volta, prima che il tempo e la vita lo trasformino in qualcosa d’altro.
    Qualcosa che dica di quello che siamo.








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  • Ringraziamo sempre, quando torniamo a una casa con un fuoco acceso (istanti rubati a #ottobre2023)

    On: 13 Dicembre 2023
    In: istanti rubati
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    2 ottobre
    Ogni tanto vorrei uscire da me.
    Fare due passi in giro,
    portarmi a spasso.
    Sentire il mondo
    senza il filtro della mia voce.
    Guardarmi vivere – nè più nè meno
    di come vedo il tasso,
    la foglia del faggio sospesa in ottobre,
    l’orlo sfilacciato della sera che sfiora l’erba azzurra.
    La favolosa vertigine
    del cielo
    frullato di stelle
    sulle cime dei montia
    ppuntiti come spilli.

    4 ottobre
    Un autunno travestito da estate.
    Mi alzo prima dell’alba controvoglia, aggrovigliata nei sogni da cui riemergo a fatica, cercando a tentoni il filo d’arianna che mi riporti nel mondo.
    Lonesome Dove con il primo caffè. Sono alle ultime tappe del viaggio, un viaggio di quasi mille pagine e già mi chiedo come farò senza tempeste di sabbia al tramonto, senza mandrie da spostare al Nord, risse, bordelli, senza whisky da bere a sera intorno al fuoco.
    Come farò senza Gus?
    Salgo sul treno verso l’ufficio ma sono in una prateria senza orizzonte tra Texas e Montana, in un autunno che pare estate e niente è proprio come sembra, come sempre. Ma ogni tappa del viaggio ti insegna un modo di andare, anche quando hai gli occhi pieni di sabbia e cammini verso qualcosa che non sai mettere a fuoco. Ti insegna dove è sicuro fermarsi a rifiatare e quali sono le persone che ti vedono davvero, anche in una notte brumosa e senza stelle in Tennessee.
    “-Dove sei stato negli ultimi quindici anni?
    -Quasi sempre a Lonesome Dove. Ti ho scritto tre lettere.
    -Mi sono arrivate. E cosa hai concluso in tutto questo tempo?
    -Ho bevuto molto whisky.”

    19 ottobre
    È arrivato il freddo, per fortuna.
    L’altra sera abbiamo acceso il camino, bentornato Autunno.
    È finita l’invasione di cimici, le ultime non sono più baldanzose e scattanti ma barcollano sulle zampe in cerca di tepore. L’edera arrossa e ingiallisce l’acero giapponese. Le tartarughe sono scese nelle loro stanze invernali.
    Tremo all’idea di aprire un giornale. Di trovare sui social slogan, frasi fatte, la solita gara a chi picchia più duro. Come allo stadio, come se il risultato definisse un premio, una qualificazione. E non tutto quello spavento, tutto quell’orrore.
    Cosa si può fare?
    E chi lo sa. Poco. Niente. Forse solo il silenzio. Vedere (ma davvero) quello che c’è. Ascoltare.
    Cerco come posso di tenere dritta la barra, come tutti, come posso. Cammino. Scrivo. Yoga. Leggo. Tennessee Williams, Tatiana Tibueleac, Chandra Livia Candiani. Preparo viaggi con il terrore di questo mondo sempre più piccolo, ostico, sempre più inaccessibile. Confini che si stringono come cappi, frontiere impenetrabili. E tutte queste bandiere, tutte queste bandiere che abbaiano al vento. Non era mica così che l’avevamo pensato.
    Stasera torno a casa, ringraziando il cielo trovo il fuoco acceso. Ringraziamo sempre, quando torniamo a una casa con un fuoco acceso.

    29 ottobre
    Ho letto da qualche parte che quella di stanotte era la luna del lasciar andare.
    Del fare pace con i cambiamenti, con le trasformazioni. Con questa pasta di cui siamo fatti che tiene la sua forma poco più a lungo di un’onda sulla battigia. E poi si fa altro, altrove.
    Mi avrà guardata piena di compassione: io, la meno adatta delle sue creature, la meno preparata ad assolvere il compito. Mi avrà guardata con lo stupore dell’entomologo davanti al tarlo, che nasce e vive in un cassetto.
    Lasciar andare, ripetuto come un mantra, mentre parlottava il gufo come tra sè e una luce implacabile affilava uno a uno i fili d’erba ai lati della strada.
    Prima o dopo, aprirò il cassetto.

    31 ottobre
    Questa notte chiedo consiglio alle ombre,
    allo scompiglio,
    ai silenzi sulla soglia,
    all’oscuro groviglio che
    al buio germoglia.
    Chiedo perdono al dolore
    per non saperlo ascoltare,
    chiedo perdono al tempo
    per non lasciarlo andare.
    Sulla credenza
    vicino a una candela accesa
    appoggio il cuore,
    in attesa
    delle Voci che vengono
    senza rumore.
    (Felice Halloween)

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  • il vento di tramontana porta al largo e non restituisce (istanti rubati a #settembre2023)

    On: 11 Dicembre 2023
    In: istanti rubati
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    5 settembre
    Esco a camminare presto. Quando il sole comincia la sua scalata all’orizzonte le persone si fermano sul lungo mare. Immobili, come per un sortilegio. Fanno Oh. Fanno una foto.
    Mi piace, quell’Oh di piccola meraviglia.È un periodo dell’anno in cui è difficile restare nel qui e ora. I pensieri vanno ai progetti dell’autunno, la mente è il batacchio di una campana suonata a festa.
    Mi sforzo di tornare a questo momento. Ai due ragazzi vestiti uguali accovacciati sugli scogli, all’uomo che si tormenta le mani con lo sguardo a qualcosa che vede lui solo, al gusto del primo caffè bevuto al tavolino di un bar con le tovaglie azzurre, all’odore di vegetazione mediterranea che è lo stesso della Spagna dei miei vent’anni. A quell’Oh di piccola meraviglia di cui dovrebbero esser pieni i giorni.

    6 settembre
    Non lasciate palloni o materassini sul bagnasciuga, ha raccomandato ieri il bagnino. Il vento di tramontana porta al largo e non restituisce, ci ha spiegato.
    Stanotte, dal nostro appartamento al sesto piano, il vento era una enorme mano aperta capace di sbriciolare palazzi e montagne, scogli e colline. Era un mantice pronto a gonfiare i sogni di profezie e presentimenti.
    Al mattino, però, nessun Armageddon. Il mondo era al suo posto, il cielo di un azzurro che stranisce gli occhi.
    Un uomo molto avanti con gli anni faceva il saluto al sole, inchinandosi al mare.
    Per cosa ringrazi?, avrei voluto chiedergli.
    Cosa lasci andare?
    Ancora giorni di tramontana, ha detto la radio, mentre bevevo il caffè nel bar con le tende svolazzanti.
    Mi è tornato alla mente il bagnino, il suo monito: Niente cose leggere a riva, che questo vento porta via. Io ho deciso che qui, sul confine tra terra e mare, sotto il cassetto dell’onda, ci metto in fila le mie cose pesanti.
    Forza allora, Tramontana. Qui c’è cibo per i tuoi denti. Vediamo che sai fare…

    7 settembre
    Settembre al mare è stare sul bordo assolato di una piscina: molleggiare sul trampolino, talloni su, braccia stese in avanti.
    Sotto, tutto si agita, ti confonde, ti attira e ti respinge; tu prendi tempo. Questa mattina, caffè al bar Sport, davanti alla vecchia insegna Strada per Carri Barocci. Sono seduta fuori. Il proprietario esce a servire i clienti e a ogni giro borbotta scocciato che da domani metterà il carrello che non si serve fuori prima delle otto e mezzo. Nessuno ci fa caso.
    Due donne dietro di me parlano di emorroidi, i due che se ne sono appena andati litigavano per il giornale, ma per finta. Io sto qui, ascolto. C’è ancora bel tempo.
    Molleggio sulle ginocchia, distrattamente. Inspiro, espiro. Prendo le misure. Non ho nessunissima fretta di andare.

    25 settembre
    Quando parti pensando di andare a presentare un libro in Calabria e trovi ad aspettarti un mondo. Mare, chilometri di spiagge, di notte le lampare, borghi di pescatori, montagne, i boschi accoglienti e odorosi della Sila. Gente orgogliosa che crea reti, inventa, collabora, si dà da fare. E se non bastasse, quell’ospitalità che scioglie le resistenze. Quell’apririti le porte, cucinarti qualcosa di buono, invitarti a una tavola semplice in un posto dove si conoscono tutti e nessuno resta fuori da una pacca sulle spalle, uno scherzo, due risate.
    La grandezza delle piccole cose: uno scorcio che si apre, un panino caciocavallo e ‘nduja, il vento caldo che viene dal mare, una crostata fatta in casa regalata col caffè, un attimo sottile (quasi non si vede) di commozione, sul confine fragile tra estate e autunno. Quel Benvenuto che ti accoglie e che, lo senti: non è mica solo una parola. Grazie.

    “e a sera, quando ai balconi c’è un sonno di garofani,
    due stelle bizantine
    s’affittano una stanza
    nel cielo della piazza”
    Franco Costabile





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  • Due miracoli insieme (istanti rubati ad #agosto2023)

    On: 11 Dicembre 2023
    In: istanti rubati
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    1 agosto
    Luce d’agosto.
    Tre parole per dire un mondo. E la superluna dello storione, stasera: l’aspetterò a occhi grandi per vederla comparire, quando il giorno si fa sottile e la notte lo fascia con la sua sottana.
    In bilico tra giorno e notte, i piedi nell’erba, i sogni accesi e proiettati sul lenzuolo sterminato del cielo.
    Due miracoli insieme: esser vivi e saperlo.

    10 agosto
    Che estate strana.
    Da qualche giorno in montagna c’è un freddo che ho raddoppiato le coperte sul letto e la sera, se esco, infilo una sull’altra buona parte delle cose che avevo in valigia. Ma, dicono, le temperature saliranno. Farà di nuovo caldo, dicono.
    Intanto l’arcobaleno dopo il temporale è doppio e affonda i piedi a valle, dove scorre il fiume – sarà lì la pentola piena d’oro? Tra i pesci guizzanti, le pietre lisce, tra le onde fredde e inafferrabili?
    Intanto mi hanno regalato un mazzetto di fiorellini che riempie la stanza di bosco. Ascolto Johhy Cash e leggo Truman Capote e l’arpa d’erba qui risuona più che mai, sui sentieri orlati di sassi, tra i rami del melo, nella preghiera che stilla dalla fontana, tutte le voci che mi hanno preceduta e mi accompagnano e mi accompagneranno – quest’arpa fatta di sussurri che sono tutti pieni di tenerezza e dicono parole d’amore e mistero e dicono La pentola piena d’oro è qui, l’oro è qui, non cercare tra i pesci del fiume, né su, lassù, dove la gobba indaco solletica il cielo.
    L’oro è dove i tuoi occhi si abbeverano, nell’odore di ciclamino, tra le foglie dove il cuore gioca a nascondersi, nel respiro lungo del mondo. È dentro questo vento leggero di voci che suona la sua arpa dei prodigi tra l’erba ancora verde di agosto.

    14 agosto
    Traversata Rifugio Lancia – Rifugio Papa sul sentiero 105.
    Un sentiero lunare, dove abbiamo incontrato più animali che persone. Per la precisione: nove camosci, quattro marmotte, tre rapaci, e poi corvi, farfalle, cavallette, pecore a frotte.
    La notte in rifugio insieme a miliardi di stelle: polenta, crauti, partite a pinnacola, un letto a castello e prima un tramonto lento, lento, un tuorlo arancione che cola tra le cime sovrastato da un veliero di nubi.
    Chilometri di montagna brulla che ha ascoltato i litigi e le le paci e le risate e un po’ di fatica e le confessioni (piccole cose di grande importanza).
    Le preghiere tibetane che ballano al vento sulle cime, sopra le croci.
    Le impronte che ci lasciamo dietro, le impronte delle nostre scarpe che adesso si somigliano così tanto da non saperle quasi distinguere.
    Il mio cuore spalancato di gratitudine per questo camminare, ancora e ancora e vorrei sempre, vicini.

    23 agosto
    Sei viandanti su pe’ i monti – oltre i duemilaeduecento con un caldo che non ci si crede per questa quota, un caldo che nella salita ti arroventa le spalle e ti frigge il cervello e pensi che non è proprio possibile, e sai che sei un privilegiato in questo momento, che non sei a boccheggiare in città. Ma che comunque così non va bene.
    Al rifugio, tempo per leggere Jhon Fante, per giocare a carte, esplorare i dintorni, coccolare tre agnellini nati da un giorno. Salire alla Croce per incontrare un tramonto color dello spritz, sentire i tuoi figli e il loro amico guardarsi intorno e dire Questo è il Paradiso, e pensare che se sanno cogliere la preziosità di un momento come quello, forse, le cose andranno meglio, forse andrà tutto bene.
    Le gambe stanche, la cena ricca, il rito semplice e salvifico di sfilare gli scarponi.
    I letti a castello nella camerata, la luce che si spegne alle 22, il bagliore che ancora viene da fuori – la notte piena di cose che possiamo solo percepire, laggiù, da qualche parte.
    Svegliarsi al mattino in un silenzio pieno, sotto un cielo senza nuvole, compatto, senza increspature. Pensare come mi serve, tutto questo spazio.
    Pensare di berselo a sorsi, il cielo: svuotarsi di tutto, riempirsi d’azzurro. Forse andrà bene.

    27 agosto
    Fine agosto. Restare quando gli altri vanno.
    Paese di montagna che si spopola. Estate, ciao. Adesso ti defili, poi magari torni, un’improvvisata nel cuore di settembre. Nuvole scure e temporali invadono il cielo e le conversazioni di chi rimane.
    Risale il brontolio della fontana nella contrada e il cielo di ruggine si popola di uccelli. Le rondini, soldatini sui fili, si danno appuntamento per il viaggio.
    Avete già preparato, voi, i bagagli?
    Avete preso tutto?
    È questa la loro casa o quell’altra, giù giù nei cieli-senza-fine d’Africa?
    È l’estate, la loro casa. E la mia?
    Oggi è qui, in questo principio di autunno in anticipo sul calendario, sacche di tempo solitario, erba che sbiondisce, odore di legna dai camini. Le voci degli amici ancora nell’aria.

    28 agosto
    Mi tengo queste ore tra le dita, ne faccio un lenzuolo.
    Mi terrà al riparo dalle piogge d’autunno, dalle recrudescenze del caldo, da tutte le nostalgie che certe sere mi sfilacciano il cuore come un lavaggio sbagliato.
    Mi tengo questi giorni come amuleti, foglie d’edera intorno alle dita che si fanno anelli – pietre preziose i momenti in cui mi sono fermata a guardare, ascoltare. I rari momenti in cui ho saputo osteggiare il bisogno cocciuto di riempire il tempo, affollarlo di impegni, rimpicciolirlo nel tentativo di dilatarlo.
    Faccio dei giorni un rifugio, una tana, per tornarci quando la sera mi precipita sulla nuca come un sipario e il mio cuore infeltrito chiama in preghiera la luce dei boschi.

    30 agosto
    “Uscì sulla veranda e si sedette. La notte era piena di suo padre”.
    La notte è sempre piena di qualcuno, e alle volte anche i giorni.”Aspetta primavera, Bandini” me lo aveva regalato la mia mamma, una o due vite fa, a occhio e croce. Lo rileggo in questi posti che erano suoi, che ora sono i nostri.
    Sono in Vallarsa, ma sono in Colorado. È estate ma c’è la neve. Tanta neve, muri di neve, nonostante il caldo.
    Le montagne sono verdi ma sono anche “un gigantesco abito bianco caduto come piombo sulla terra”.
    Ho pensieri di un quattordicenne che si affaccia alla vita, il suo amore straziante per una giovane italiana espatriata, ” Rosa: carta stagnola e cioccolatini, odore di un pallone da calcio nuovo, legnata in porta, corsa vincente alla casa base”.
    Ho i miei sentieri da percorrere, queste pietraie e questi boschi, e gioco a indovinare i pensieri di mia madre quando mi ha regalato il libro, dopo averlo letto. Forse nemmeno li indovino; forse, semplicemente, li so.
    Sarà che qui mi è più facile, da sempre, sentire il tutto che ci tiene insieme. Da qui le distanze sono un gioco di specchi, inframezzi ingannevoli di carta velina.

    31 agosto
    Giornate lente.
    Nella casa sotto la nostra da qualche giorno sono arrivati dei musicisti. Da quel che ho capito, preparano un concerto di fine stagione.
    Li sento dalla finestra aperta come fossi in platea di qualche teatro.
    Leggo i racconti di Eudora Welty – come è possibile rendere la vita così viva e integra e palpitante a forza di parole?
    Bevo caffè, scrivo, guardo un film coi bambini. Aspetto che spiova per andare al bosco, al pascolo all’albero, al ruscello. E poi ancora al bosco, al riposo frondoso e fresco con Settembre che bussa all’uscio di rami e foglie arrossate.
    Incredibile come si mescoli bene al cielo d’autunno il suono della viola e del pianoforte.








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  • li stringo bene tra le ciglia (istanti rubati a #luglio2023)

    On: 2 Agosto 2023
    In: istanti rubati
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     1

    12 luglio
    Ci sono tanti modi di stare insieme. Uno è scendere la sera dopo cena, l’aria rinfrescata, la notte a qualche passo da noi.In cucina i piatti sono ancora sul tavolo, a volte la TV è accesa, a volte un libro è aperto sul divano.
    Scendiamo a chiudere i polli, a difenderli dall’agguato della volpe. Ci aspettano sui trespoli, vicini, mansueti.
    Galletto Garibaldi, Gallina Gabriella, buonanotte.
    A volte facciamo qualche passo intorno a casa, stupendoci di tutto il silenzio che fa da sfondo al nostro confusionario vociare, a volte ci sdraiamo sul tappeto elastico a guardare il cielo, le foglie del salice che lo ricamano. Tra poco risaliamo a casa, forse un film, un dolcetto, forse qualche pagina alla luce della abat jours.
    Le emozioni della giornata svaporano, prenderemo sonno sapendo che abbiamo messo al sicuro quel che abbiamo potuto.

    24 luglio
    Ho dimenticato la borraccia in macchina e mi hai offerto la tua acqua.
    Mi hai messo la crema solare sulla schiena e sei riuscito a ripiegare il sacco lenzuolo e a infilarlo nell’apposito sacchetto – cosa per me più complessa della risoluzione di un rebus.
    Quando ha cominciato a piovere sulla strada per il rifugio, mentre io già ci vedevo correre a zig zag a perdifiato in un film apocalittico, scansando fulmini come bombe a mano lanciate in territorio di guerra, tu senza battere ciglio ti sei infilato il k way e hai continuato a camminare sereno e divertito.
    Suona strano dirlo, perché hai 11 anni e un pezzo, ma stare insieme a te mi dà un senso di sicurezza e tranquillità che di rado ho provato persino con persone adulte. E questo mi fa sentire decisamente fortunata.
    (Poi, vabbè, del fatto che mi dovevi aspettare in salita e che mi hai praticamente stracciata a tutti i giochi di strategia che abbiamo scovato al rifugio, per adesso non facciamo parola con nessuno ;))

    28 luglio
    L’estate è al colmo della fioritura e i giorni sono quelli densi che precedono le partenze.
    Ci sono state notizie apocalittiche di ghiaccio e di fuoco – sembrava un mondo rubato a un fantasy ma succedeva ai nostri vicini di casa.
    Ci sono stati spaventi grandi e piccoli, ancora piu vicini, di quelli che provi a non pensarci ma che lasciano strascichi nelle pieghe del sonno, negli interstizi tra i sogni.
    C’è stato un caldo impossibile e poi giorni nitidi e freschi, buttati a caso nel cuore dell’estate, presi in prestito a un settembre mite. E questa luce lunga, lunga al tramonto che fa brillare i campi di girasole e si intrufola nei filari come ospite atteso e non smette di dire – io la sento: Guardami, non sarei niente se non ci fosse la sera.
    Io ne rubo bocconi, li stringo bene tra le ciglia e me li porto di notte a sciacquare le increspature dei sogni.



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  • il cuore s’allaga di cieli altissimi (istanti rubati a #giugno2023)

    On: 2 Agosto 2023
    In: istanti rubati
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    4 giugno
    Le nostre uscite serali sono così: niente traffico, nessun rumore molesto, pavimento soffice.
    Un gatto ci precede, si stira, si fa le unghie sui tronchi; un cavallo viene a grattarsi il muso contro la tua spalla.
    Io parlo, domando, faccio le foto al tremulo e alle sue foglie argento, alla cresta del gallo e alle formiche sul salice. I bambini chiamano dal balcone, arriva il cane a spaventare un piccione.
    Tu qualche volta fischietti un ritornello, mi metti una mano intorno alla vita, facciamo finta di ballare e siamo bellissimi e scemi e ridiamo e ci pestiamo i piedi.
    (Io, te e la luna delle fragole).

    12 giugno
    (La leva calcistica della classe…)
    Quasi estate, pioggia a singhiozzo – la tropicalizzazione del clima, dicono. Un week end di fine scuola, afa, festa del paese, torneo di calcio. Sabato a fare il tifo a squarciagola succhiando ghiaccioli alla menta sotto il sole, come alle partite di fine anno di un milione di anni fa, ma c’è tuo figlio in campo – maglia numero 6, spettinato come te. Nella testa canti De Gregori (il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette), pensi a tutti i rigori che hai avuto paura di tirare, urli tanto forte che la voce se ne va.
    Domenica sera, dopo un pomeriggio che ti ha ricordato a schiaffi gli sgambetti della vita, ti regali uno spritz in cortile con gli amici. I piedi tra l’erba, poche zanzare, ghiaccio nel bicchiere, frescura. Niente male davvero: c’è ancora luce e il temporale fa il giro largo – oggi forse non ci prende.
    Il torneo, poi, non lo hanno mica vinto, ma quel che vinci e perdi oggi non conta alla fine granché. Perché si sa che un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.
    E da come si porta in giro quel suo ingombrante cuore, che a cento anni, come a dodici, è ancora sempre pieno di paura.

    14 giugno
    A volte, nelle sere di quasi estate, sulle strade sterrate sbianacate da una luna diafana e nei prati animati da timide minilepri, mi sembra che la mia vita sia uscita da un romanzo di Kent Haruf. La mia personalissima Holt è adesso silenziosa e docile -si è fermato il movimento del giorno, il buio plana dall’alto e dalla terra sale un tepore umido.
    Cammino sulla terra grumosa dopo tutte le piogge e i pensieri si staccano da me senza sforzo.
    Chiudo il pollaio che le galline son tutte sui trespoli, il becco a frugare le piume e poi mi siedo sul dondolo, le gambe distese davanti, e mi sembra di vederli i vecchi McPheron che chiudono i recinti dopo un giorno di duro lavoro con le giumente. Me li immagino rientrare in casa, lanciare i cappelli sull’appendiabiti con un gesto preciso, accendere i fornelli per scaldare la cena.
    È tardi, tra poco la notte sarà matura, le lucciole fanno capolino tra l’erba, il cuore s’allaga di cieli altissimi.


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  • il tempo è un gatto (istanti rubati a #maggio2023)

    On: 28 Giugno 2023
    In: istanti rubati
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     1

    4 maggio
    Mi sono svegliata cinque minuti prima della sveglia. Saranno state le 5.50 dopo un sonno abbastanza di schifo. Ho cercato di riacciuffare un sogno di cui mi era rimasto poco più del finale: enorme villa nel bosco, alle vetrate decine di dinosauri. Scenografia alla Walt Disney. Peccato aver perso il proseguo.
    Mi sono buttata giù dal letto, il cielo fuori era ancora cenere.
    Sono giorni faticosi: anche la speranza/la preghiera richiede una sua intensità. In macchina, alla radio, davano una bella musica e sul fiume il firmamento trasmetteva un’alba spettacolo: un tuorlo liquido sotto un merletto di nuvole.
    La prendo per una promessa?Al bar della stazione, caffè (cuore con la schiuma) e un libro nuovo (un regalo). Racconti. Ai binari, nuvola di bambini in gita. Vanno al mare. Hanno zaini pieni di dolcetti e tutto il blu già dentro gli occhi.

    11 maggio
    I campi sono pieni di papaveri rossi. Non ricordo di averne mai visti tanti cone quest’anno.
    Li attraverso a piedi per mandar via lo sfarfallio che ogni tanto sento tra lo stomaco e il petto. Per farlo star buono cammino, oppure scrivo.
    Quello sfarfallio mi dice sei inquieta, ma anche: sei qui, sei viva. Non ci piace che ce lo si ricordi, perché la frase si completa così: sei viva ADESSO. Chissà dopo. Chissà domani o tra quarant’anni. Non ci piace che ci si ricordi la caducità. Nemmeno con il coraggio lucido e intaccabile di Michela Murgia. Le sue parole mi accompagnano da giorni. Pungono, eppure consolano. A volte le parole possono farsi vita, possono farsi forza. Se non è un miracolo questo. Le ripasso mentre attraverso campi di papaveri rossi, i petali di carta velina, un palpito nel verde, mazzi fugaci di cuori accesi. 
    (E penso: grazie, anche per questo: “l’Aldilà non è un luogo ma uno stato sentimentale” – semicit.).

    16 maggio
    Faccio spesso uno stesso sogno, in salsa diversa.Sono in un posto nuovo, per lavoro o altri motivi non chiariti. Mancano pochi giorni al rientro a casa e realizzo di non aver visto quasi nulla. Perché?, mi chiedo. Perché non sono andata oltre questa via, quartiere, paese? Perché sono stata così pigra, timorosa, inconsapevole?
    E a quel punto devo recuperare, fare presto.Mi sveglio sempre con la stessa sensazione di incompiuto e delusione. Avrei potuto, avrei dovuto…E con la stessa, implacabile domanda: non è il mondo un luogo di cui avremo visto sempre troppo poco?
    (Solo quel “tornare a casa”, in qualche modo, mi consola…).

    25 maggio
    Visto il meteo non sembrerebbe, ma sono le ulltime settimane di scuola.
    Pare possibile? Un altro anno di mattinate sui banchi, odore di inchiostro e panini tirati fuori nell’intervallo, di atomi-fiumi-regni-genitivi-carlomartello, di ripasso disperato prima che la prof entri in classe – ma oggi interroga o non interroga?
    È passato un altro anno e ne sono passati parecchi dal mio, ultimo anno.Giusto la settimana scorsa ci siamo riviste, con le compagnie del liceo. Ti racconti i figli, le ultime cose al lavoro, i prossimi viaggi, quel giorno che in stazione hai beccato il vecchio bidello o la tale di terza b al bar, e ripassi i ricordi comuni (la gita a Rimini, i capelli nella foto di fine anno e le orrende spalline sotto le magliette). Ma sotto sotto, tra le pieghe di tutti i discorsi, negli spazi tra le parole, tra le risate, è tutto un chiedersi: ma come è andata che siamo qui? Che tutto questo è passato? Che è passato così tanto da quando è passato?
    Il tempo è un gatto, mi dico. Un momento ce l’hai seduto in braccio a farti le fusa che sembra non doversene andare mai più, potresti giurarlo che non se ne va. Un momento dopo è sparito – un balzo flessuoso: resta una sensazione stupita di vuoto e la maglia piena di peli.



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