1 gennaio
La fiducia nel futuro è una cosa facile, in un mattino di neve e sole in montagna.
L’augurio vero, è che si conservi sempre.
Felice 2025, che sia gentile!
3 gennaio
Ho meditato a occhi aperti, ieri mattina, negli attimi in cui nasce il giorno.
Ho guardato il cielo farsi e disfarsi di nuvole.
Le cime dei monti arrossarsi, coprirsi, scoprirsi, imbiondire, coprirsi ancora, venarsi d’azzurro.
E se fossero senzienti, le nubi?
Mi è venuta, da chissàdove, questa domanda.
E se fossero i pensieri degli uomini, o gli sms degli angeli, se fossero il modo in cui le montagne si parlano?
Se fossero i sogni che facciamo la notte, o le poesie degli alberi?
La mia valle è bianca oggi, oltre i vetri della cucina.
I prati sono coperti di neve, marchiata dalle nostre impronte, troneggiano cataste di legna davanti ai muri delle case. Le nostre voci -tutte, tutte le nostre voci- si rincorrono e si fanno eco, e dicono e raccontano tutte le cose che già sappiamo ma che non sappiamo ricordare.
Si fa strada dentro il freddo qualche cenno di stagione nuova: nel ghiaccio che si scioglie alla fontana, in qualche minuto più di luce, al pomeriggio.
Ma io voglio restare ancora qui, nel centro esatto dell’inverno.
Dove brucia il fuoco della mia stufa e le nuvole mi parlano e nel ghiaccio si conservano, uno a uno, gli atomi dei giorni.
4 gennaio
In quale misura mi mancasse Venezia l’ho realizzato non appena ci ho rimesso piede, dopo un bel po’ di anni che non mi capitava. Non credo ci sia al mondo città migliore in cui perdersi e ritrovarsi a ogni angolo, a ogni calle, a ogni campo, canale o strettoia.
E questa volta l’ho amata ancora di più, se possibile, grazie ai preziosi suggerimenti di Erika che mi ha suggerito quartieri che non avevo mai visitato, angoli silenziosi dove la calca non arriva.
Anche dormire al Lido è stata un’ottima scelta, a venti minuti di traghetto da piazza San Marco.
E il giro in traghetto all’alba e al tramonto, con la luce rossa che riverbera sulla laguna, è stato un modo sorprendente e magico per cominciare il nuovo anno.
16 gennaio
Ieri, quando sono uscita per portare i ragazzi a scuola, la temperatura era a meno otto e c’era la notte, ma poi la notte si è fatta da parte e a quel punto il mondo se ne stava accucciato per bene sotto una lastra bianca, tutto nascosto dal gelo.
Ho guardato il cielo -è uno spettacolo senza eguali, il cielo mattutino di gennaio- e insieme alla luna poco meno che piena, c’era appesa in alto una mongolfiera. Si vedeva in controluce la sfiammata vibrante che la fa volare – il suo cuore pulsante.
Pensavamo che il cuore fosse appannaggio dei viventi?
Mi sono chiesta chi fosse, a ridosso dell’alba, in un gelido mattino d’inverno, a solcare i cieli rosazzurri sopra le colline, a gareggiare con la luna per attirare gli sguardi dei corvi e delle poiane.
Anche gli occhi dei pochi passanti erano intenti lassù: dove va, da dove viene? Forse come me immaginavano giri del mondo, resoconti di altri tempi, cartoline dalla Cappadocia – montagne bianche e aguzze e paesaggi surreali.
Ci ho pensato anche dopo, insieme al primo caffè del giorno.
Bè, niente di speciale, in fondo: solo una mongolfiera.
Ma sono le piccole storie di ordinaria magia, a tenere insieme il mondo.
22 gennaio
Mi piace leggere gli sconosciuti come fossero libri.
Trovare le loro storie in un gesto, in un modo di muovere la mano. In un cappello, un lavoro, un orlo scucito dei pantaloni.
Mi piace sbirciare il titolo del libro che leggono e indovinare chi glielo abbia regalato – un amico un amante un figlio un rivale un amore lontano nel tempo.
Trovargli un passato e un futuro, persino, che giocare al narratore onnisciente è un vizio che ti prende la mano.
Mi piace imbastire altre storie, vivere vite non mie, vere e inventate. Mi incrimineranno per furto di identità, contaminazione o per eccesso di immaginazione – ma è il modo migliore per viaggiare da fermi, per essere e non essere, per uscire da me e ritrovarmi al bisogno.
29 gennaio
Gennaio è ai titoli di coda.
Intorno a casa si sprofonda nel fango perché le temperature si sono alzate di colpo. Altro che giorni della merla. La neve di stagione me la prendo in queste pagine, nel libro di Stefansson. Quella neve che pulisce il mondo e lo lustra, come la mollica con la migliore argenteria.
Quando esco presto al mattino, ancora imbevuta di sogni, lascio che i confini dei miei pensieri si sciolgano nella nebbia. A sera, asciugo la stanchezza al fuoco del camino.
In mezzo lavoro, cammino, medito, leggo, cerco mediazioni alle richieste dei miei figli, parlo con le amiche, scrivo, scrivo.
Il ragazzo e il postino affrontano le loro silenziose battaglie nella tormenta, con il conforto di una guida enigmatica e misteriosa. Forse più d’una. Recapitano messaggi da un capo all’altro del cammino. Ogni volta che possono bevono caffè. Così lontano, tutto questo?
Nemmeno un po’. Questo intreccio di mondi.
Quanti mondi. Quello che ci scricchiola sotto le scarpe, quello delle storie che incrociamo e quello delle storie che inventiamo, e anche quell’altro, quello a cui crediamo solo ogni tanto – più nella tormenta che altrove.
E alla fine, uno più uno più uno più uno dà come risultato sempre Uno: ma è uno tendente a infinito. È Uno fatto di strati che si distinguono meglio al buio. O nella neve fitta che fonde insieme terra e cielo.
***
“Bjarni: I morti non salgono sulle montagne, e non l’hanno mai fatto,
Hjalti: Ne ho sentite, di cose, nel corso del tempo, e conosco persone che ne hanno viste e vissute. E tutte quelle storie, non c’è da credere a quanto raccontano?
Bjarni: Le storie non sono la realtà.
Hjalti: Be’, e allora che diavolo sarebbero?
Bjarni: Non lo so”.
