Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

  • E se fossero senzienti, le nubi? (istanti rubati a #gennaio2025)

    On: 3 Febbraio 2025
    In: istanti rubati
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    1 gennaio
    La fiducia nel futuro è una cosa facile, in un mattino di neve e sole in montagna.
    L’augurio vero, è che si conservi sempre.
    Felice 2025, che sia gentile!

    3 gennaio
    Ho meditato a occhi aperti, ieri mattina, negli attimi in cui nasce il giorno.
    Ho guardato il cielo farsi e disfarsi di nuvole.
    Le cime dei monti arrossarsi, coprirsi, scoprirsi, imbiondire, coprirsi ancora, venarsi d’azzurro.
    E se fossero senzienti, le nubi?
    Mi è venuta, da chissàdove, questa domanda.
    E se fossero i pensieri degli uomini, o gli sms degli angeli, se fossero il modo in cui le montagne si parlano?
    Se fossero i sogni che facciamo la notte, o le poesie degli alberi?
    La mia valle è bianca oggi, oltre i vetri della cucina.
    I prati sono coperti di neve, marchiata dalle nostre impronte, troneggiano cataste di legna davanti ai muri delle case. Le nostre voci -tutte, tutte le nostre voci- si rincorrono e si fanno eco, e dicono e raccontano tutte le cose che già sappiamo ma che non sappiamo ricordare.
    Si fa strada dentro il freddo qualche cenno di stagione nuova: nel ghiaccio che si scioglie alla fontana, in qualche minuto più di luce, al pomeriggio.
    Ma io voglio restare ancora qui, nel centro esatto dell’inverno.
    Dove brucia il fuoco della mia stufa e le nuvole mi parlano e nel ghiaccio si conservano, uno a uno, gli atomi dei giorni.

    4 gennaio
    In quale misura mi mancasse Venezia l’ho realizzato non appena ci ho rimesso piede, dopo un bel po’ di anni che non mi capitava. Non credo ci sia al mondo città migliore in cui perdersi e ritrovarsi a ogni angolo, a ogni calle, a ogni campo, canale o strettoia.
    E questa volta l’ho amata ancora di più, se possibile, grazie ai preziosi suggerimenti di Erika che mi ha suggerito quartieri che non avevo mai visitato, angoli silenziosi dove la calca non arriva.
    Anche dormire al Lido è stata un’ottima scelta, a venti minuti di traghetto da piazza San Marco.
    E il giro in traghetto all’alba e al tramonto, con la luce rossa che riverbera sulla laguna, è stato un modo sorprendente e magico per cominciare il nuovo anno.

    16 gennaio
    Ieri, quando sono uscita per portare i ragazzi a scuola, la temperatura era a meno otto e c’era la notte, ma poi la notte si è fatta da parte e a quel punto il mondo se ne stava accucciato per bene sotto una lastra bianca, tutto nascosto dal gelo.
    Ho guardato il cielo -è uno spettacolo senza eguali, il cielo mattutino di gennaio- e insieme alla luna poco meno che piena, c’era appesa in alto una mongolfiera. Si vedeva in controluce la sfiammata vibrante che la fa volare – il suo cuore pulsante.
    Pensavamo che il cuore fosse appannaggio dei viventi?
    Mi sono chiesta chi fosse, a ridosso dell’alba, in un gelido mattino d’inverno, a solcare i cieli rosazzurri sopra le colline, a gareggiare con la luna per attirare gli sguardi dei corvi e delle poiane.
    Anche gli occhi dei pochi passanti erano intenti lassù: dove va, da dove viene? Forse come me immaginavano giri del mondo, resoconti di altri tempi, cartoline dalla Cappadocia – montagne bianche e aguzze e paesaggi surreali.
    Ci ho pensato anche dopo, insieme al primo caffè del giorno.
    Bè, niente di speciale, in fondo: solo una mongolfiera.
    Ma sono le piccole storie di ordinaria magia, a tenere insieme il mondo.

    22 gennaio
    Mi piace leggere gli sconosciuti come fossero libri.
    Trovare le loro storie in un gesto, in un modo di muovere la mano. In un cappello, un lavoro, un orlo scucito dei pantaloni.
    Mi piace sbirciare il titolo del libro che leggono e indovinare chi glielo abbia regalato – un amico un amante un figlio un rivale un amore lontano nel tempo.
    Trovargli un passato e un futuro, persino, che giocare al narratore onnisciente è un vizio che ti prende la mano.
    Mi piace imbastire altre storie, vivere vite non mie, vere e inventate. Mi incrimineranno per furto di identità, contaminazione o per eccesso di immaginazione – ma è il modo migliore per viaggiare da fermi, per essere e non essere, per uscire da me e ritrovarmi al bisogno.

    29 gennaio
    Gennaio è ai titoli di coda.
    Intorno a casa si sprofonda nel fango perché le temperature si sono alzate di colpo. Altro che giorni della merla. La neve di stagione me la prendo in queste pagine, nel libro di Stefansson. Quella neve che pulisce il mondo e lo lustra, come la mollica con la migliore argenteria.
    Quando esco presto al mattino, ancora imbevuta di sogni, lascio che i confini dei miei pensieri si sciolgano nella nebbia. A sera, asciugo la stanchezza al fuoco del camino.
    In mezzo lavoro, cammino, medito, leggo, cerco mediazioni alle richieste dei miei figli, parlo con le amiche, scrivo, scrivo.
    Il ragazzo e il postino affrontano le loro silenziose battaglie nella tormenta, con il conforto di una guida enigmatica e misteriosa. Forse più d’una. Recapitano messaggi da un capo all’altro del cammino. Ogni volta che possono bevono caffè. Così lontano, tutto questo?
    Nemmeno un po’. Questo intreccio di mondi.
    Quanti mondi. Quello che ci scricchiola sotto le scarpe, quello delle storie che incrociamo e quello delle storie che inventiamo, e anche quell’altro, quello a cui crediamo solo ogni tanto – più nella tormenta che altrove.
    E alla fine, uno più uno più uno più uno dà come risultato sempre Uno: ma è uno tendente a infinito. È Uno fatto di strati che si distinguono meglio al buio. O nella neve fitta che fonde insieme terra e cielo.
    ***
    “Bjarni: I morti non salgono sulle montagne, e non l’hanno mai fatto,
    Hjalti: Ne ho sentite, di cose, nel corso del tempo, e conosco persone che ne hanno viste e vissute. E tutte quelle storie, non c’è da credere a quanto raccontano?
    Bjarni: Le storie non sono la realtà.
    Hjalti: Be’, e allora che diavolo sarebbero?
    Bjarni: Non lo so”.

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  • nel cuore dell’inverno c’è un fuoco (istanti rubati a #dicembre2024)

    On: 3 Febbraio 2025
    In: istanti rubati
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    1 dicembre
    Dicembre comincia così.
    Sveglia presto, galaverna, terra dura come asfalto, cavalli, galline, lavori nella stalla, Eliandro che mi offre i suoi guanti perché ho scordato i miei, una luce rosa e diffusa, lo sbuffo bianco delle bestie, il loro fiato caldo.
    Un inizio niente male, a parte le mani ghiacce.
    E dopo tutto questo, che buono il caffè e che dolce lo yoga…

    4 dicembre
    Dicembre porta, al mattino, i vetri della macchina ghiacciati. Quando la sera mi scordo di infilarla sotto al portico, devo liberarli con una paletta in plastica da cucina che tengo apposta nel vano della portiera.
    Le dita mi si fanno di vetro e bruciano, e l’aria che entra nel naso frizza nelle narici e ogni volta sono certa di sentire odore di neve.
    Sicuro, qualcosa è in cammino.
    Ho letto che i cani percepiscono il tempo in modo diverso da noi perché il loro senso guida è l’olfatto e sentono l’odore di cose e persone a lungo, dopo che se ne sono andate. In qualche modo, quindi, persone e cose continuano a esserci anche quando non ci sono più.
    Io credo che siamo anche noi come loro. Che abbiamo un senso che ancora non ha nome che ci fa stare con quello che non si vede più, o non si vede ancora: con la neve che da qualche parte, con il mattino di aprile che verrà, con chi era qui ed è andato via.

    11 dicembre
    C’è una luce nel cuore del buio,
    nel cuore dell’inverno c’è un fuoco.
    Mi sono svegliata stanotte con questa frase in mente. O una cosa del genere, perché i sogni venuti dopo l’hanno reimpastata un po’. E dopo c’era New York in un albergo pieno di stanze e dentro un parcheggio alberato e io dicevo Vedi, che pace, New York, è così facile questa città, non è mica Shanghai.
    Mi sono alzata con il buio abbarbicato ai vetri e ho ripensato quella frase sputando dentifricio nel lavandino. Il mattino è cominciato dopo, ero in treno, è cominciato di piatto e arancione sui tetti delle case.
    Per caso ho alzato gli occhi dal libro e l’ho visto.
    Mentre poi cammino per una Torino lenta e con gli occhi acquosi, non ancora presa dalla frenesia prefestiva, ripenso all’oasi di quiete nel cuore di New York e penso a quanto spesso mi porto a zonzo brandelli di sogno, a tenermi compagnia sulle strade del giorno.

    20 dicembre
    Se ci fosse un premio per il miglior girovagare, lo prenderemmo noi.
    Chi lo ha detto che serve sempre una meta, un obiettivo, una destinazione? Quella è per i videogiochi e per i navigatori satellitari.
    Il più delle volte basta e avanza una direzione.

    27 dicembre
    A te che da 13 anni mi insegni il coraggio, il piacere dell’avventura e la caparbietà.
    Auguri, perché duri in te la tenacia e quello sguardo che rende il mondo un posto più luminoso e giusto.
    Auguri, mio Cuore grande!

    31 dicembre
    I giorni non lo sanno, che significato avranno. Loro si susseguono senza intenzioni nè presentimenti. Che siano il primo o l’ultimo dell’anno: loro vanno.
    Le ultime settimane sono state di quelle che devi comprimere e schiacciare per farci stare dentro tutto.
    Giorni pieni di impegni e liste infinite di cose da fare.
    Così, quando penso a qualcosa che vorrei adesso, mi viene in mente un tempo vuoto, un’estesa prateria dove cavalli pascolano beati senza altro dovere che non sia muovere la coda.
    Però poi penso che i miei giorni sono stati così intensi (anche) perché tante sono state le persone a cui pensare, con cui festeggiare, le amiche da incontrare, gli amici con cui brindare. E allora, sai cosa?, va bene così.
    Non c’è davvero niente che sia linfa come le relazioni sane e amorevoli. Non c’è nulla che nutra di più, che riempia, sazi, rimpinzi.
    Sono le relazioni il manubrio che aiuta e a volte salva l’equilibrio sul filo sospeso che è la Vita.
    Auguri perché nel cuore ci sia lo spazio per accogliere e perché i giorni abbiano il significato profondo dei legami che sapremo stringere e coltivare.
    Felice anno nuovo a tutti!

     

     

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  • Per quando ho bisogno di semplificare (istanti rubati a #novembre2024)

    On: 3 Febbraio 2025
    In: istanti rubati
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    6 novembre
    (Per quando ho bisogno di semplificare)

    In questo freddo che viene al mattino mentre le finestre sono bagnate dall’umido e dalla condensa e mi copro con strati di vestiti e le dita picchiano sulla tastiera e una musica lenta aleggia nella stanza, io sono.
    Mentre mi lavo i denti davanti allo specchio, senza guardarmi, e dall’altra stanza mio figlio mi chiama e il gatto si struscia contro la porta, io sono.
    Mentre mi spoglio del pigiama e a piedi scalzi attraverso la stanza e la moka gorgoglia sul fuoco in cucina, io sono.
    Nell’odore del caffè e in quello dell’incenso dentro una chiesa, nell’odore della terra bagnata che dal basso striscia alle mie radici, nell’odore di ruggine e nell’odore del muschio e nelle voci che mi chiamano dal cortile mentre i corvi planano sui prati gialli e una gazza saltella sulla ringhiera del mio balcone, io sono.
    Mentre parole si formano sotto le mie dita, parole che vengono da lontano, chissàdove, e solo chiedono un tramite di falangi e carne per essere accompagnate sul foglio: io sono.
    È tutto qui: un soggetto e un verbo all’indicativo presente.
    Non c’è niente di difficile.

    11 novembre

    (Per quando ho bisogno di trasformare)

    Questo fine settimana sono stata a un seminario.
    Un seminario in un bosco.
    Abbiamo parlato di trasformazione.
    Stamattina, sulla strada verso la stazione c’era uno di quei nebbioni che ti fanno dubitare che esista ancora, un mondo dall’altra parte.
    Mi sono detta che sarebbe bello, saper trasformare l’invisibile in visibile. I simboli in interpretazioni. I messaggi segreti in dichiarazioni di intenti.
    Decriptare i codici che non sono destinati ai cinque sensi.
    Hai presente, qui rumori che senti nel buio, quelle sensazioni che ogni tanto ti scuotono e tu in quei momenti lo sai, che esiste un mondo oltre il muro di fumo ma poi, un istante dopo, non sei più tanto sicura… Sarebbe bello cambiare in certezza questo sentire, mi sono detta, mentre guidavo ai trenta all’ora.
    Ma la trasformazione, ci hanno spiegato, avviene nel cuore, un respiro alla volta. E la mente deve stare al suo posto, entro i confini che le sono assegnati.
    Intanto, sul fiume, nasceva oltre il grigio una noce di luce sorprendentemente rosa e arancione.

    16 novembre

    Oggi, al cinema, questa frase: “A volte i cuori delle persone si parlano a loro insaputa” (Il robot selvaggio).
    Il mio e il tuo, sono 14 anni che non tacciono un istante.
    Auguri, vita mia ♡
    #14anni

    21 novemre

    Osservo la nebbia addossata ai crinali dei colli, i filari appena svestiti giù a valle, un lampo di rosso – e la nevicata gialla che trema sui rami e rinfranca.
    Vorrei farne immagine, poesia, dipinto, disegno, intuizione.
    Ma poi nello sguardo raccolgo ogni cosa, e mi basta.

    29 novembre

    Il tecnico della lavastoviglie continua a latitare. Lavo i piatti a mano, concentrandomi sul fatto che lavare i piatti concentrandosi sul lavare i piatti è un’azione mindfulness. Mi consola solo più o meno.
    E vado a correre. Quindici minuti, venti. Fa freddo e non ho mai voglia quando è il momento di infilarmi stivaletti e giaccone ma dopo sto bene, lo so. Anche questo, lì per lì, mi consola più o meno.
    E scrivo. Ma le parole non si piegano al ruolo che scelgo per loro, si sparpagliano sul foglio come tanti disertori incolpevoli e le frasi si trasformano in rivoli sciolti, affluenti liberi in cerca del mare dove lo vedono loro.
    E leggo troppi libri insieme (romanzi, saggi, manuali di scrittura, dispense sullo yoga) e cerco compulsivamente idee per i regali di Natale e cerco di incastrare tutti gli impegni che mi portano nel mondo, e quelli che invece mi vogliono qui, a osservare il letargo che si prepara per me. Qui a fare tana nello spirito del bosco, nelle mie stanze di terra e sonnambula quiete.
    E dicembre è alla porta e bussa e mi chiama con la sua voce di abete e campane, e io rispondo da qualche punto lontano di me – nonostante il lavello pieno di piatti e la testa affollata di imperativi e il foglio denso di appunti che mi portano il mare – io rispondo, e dico E sia, e lascio che sia tutto com’è, tutto precisamente come dev’essere.

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  • Come si fa mattino (istanti rubati a #ottobre2024)

    On: 3 Febbraio 2025
    In: istanti rubati, la mia vita e io
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    1 ottobre
    Scrivere poesie è rallentare i pensieri e i battiti del cuore -uno a uno- intrecciarli con la pazienza degli uccelli, per farne nido dentro il silenzio.

    8 ottobre
    Mi parlano, le sere d’ottobre.
    Sarà la speciale qualità della luce, più densa prima di arrendersi, e finire.
    Queste sere che mi metto in balcone e le gazze giocano sulle tegole del tetto di fronte e i cavalli ondeggiano sull’erba come ombre sfocate.
    Cerco parole per dire questa specie di pace, questa specie di fatica – e non le trovo. Le avrà rubate la gazza, scambiando per pietra preziosa una carabattola luccicante di nessuna importanza.

    Mi parlano, loro, le sere di ottobre.
    Mi dicono: fermati. Togli. Una cosa alla volta. Rastrella l’inutile. Stai ferma.
    Senti.
    E mi mostrano il modo: quella luce che si fa riassorbire dal cielo.
    E quanto coraggio c’è, in quella resa.
    In ogni resa: tutto il coraggio del mondo.
    14 ottobre

    Comincia una nuova avventura, la chiameremo Avventura del sentire.
    Del fermarsi a fare silenzio.
    Fare silenzio come si fa il pane, come si fanno gli alberi, da dentro. Come si fanno cesti di giunchi intrecciati.
    Come si fa notte, più fredda e nera prima del mattino.
    Come si fa mattino.

    17 ottobre

    È notte di luna piena, quella in arrivo. Luna piena in Ariete.
    La luna più grande e potente dell’anno, dicono.
    Ma non la vedremo, noi qui, il cielo è coperto in lungo e in largo da nuvole spesse. E piove. Come piove. La immagineremo, la Luna di Sangue, rossa per i sacrifici animali di tutti i tempi. La sentiremo, col sesto senso delle streghe, dei lupi mannari.
    Proveremo a stare al buio, sapendo che la luce –
    e a fare quello che conta.
    E cosa, allora?
    Questo: spremere e strizzare quello che c’è, estrarre dal buio quel tanto di luce che basta a vederci le mani, e poi i piedi, poi la mattonella su cui i piedi poggiano e poi lui, lei, quegli altri che come noi vagano, annaspano, procedono a tentoni, strizzando e spremendo – o provando.
    E poi questo: prendere l’ombra con tutte le mani, tenerla, farne ristoro.

    23 ottobre

    Dicono: il dolore è una vanga che dissoda l’anima
    perché la vita possa far crescere i suoi frutti migliori.
    Dico: se il dolore dissoda voglio essere terra arsa, un grumo duro e secco, che sfarina.
    Se il dolore ammorbidisce e concima io voglio essere pietra, arido sale o granito.
    Non voglio lacrime e scavare solchi, ad addolcire l’arsura dell’erba.
    Il sole asciutto brilli a mezzogiorno sulla mia testa
    vuota
    vuota
    come vuota è la mente del tordo quando il cacciatore imbraccia il fucile, come vuota è la mente del tonno quando l’esca gli viene vicina.
    Dico: se il dolore rende migliori è alla versione peggiore di me che mi aggrappo
    e chiudo gli occhi, le dita a sigillo e non guardo
    e non sento lo spavento del mondo che mi preme addosso.

    25 ottobre

    Ci sono momenti che mi sembra di aver capito tutto.
    Per fortuna durano pochissimo.

    28 ottobre

    Cadono foglie sulla mia testa, quando cammino nel viale. Nei giornali e in tv cadono bombe. Autunno strano. Piove quasi ogni giorno e pure se smette il cielo è un cuscino imbottito di grigio.
    Leggo Christian Bobin e Ron Rash. Guardo Shameless e Il racconto dell’ancella, cerco oggetti su Vinted e Subito, provo a liberarmi di oggetti che non mi servono più.
    Il mattino presto medito seduta in mezzo alla stanza.
    Medito? Forse. Vedo con gli occhi chiusi il profilo molle degli alberi e le tegole oltre i vetri da pulire. Vedo tutte le cose che ho da fare, in fila a reclamare attenzione, si spintonano per saltare un turno, strusciano i piedi, come turisti davanti ai musei.
    Le caccio con un tic del sopracciglio, ma tornano.
    Un figlio dal dentista, la riunione a scuola dell’altro, mandare la mail, aspettare quell’altra, mettere i ceci in ammollo, non ho ancora preso il caffè, la spesa, sguardo al terzo occhio, il nuovo tatuaggio, pulire i vetri.
    Un altro tic del sopracciglio, svaporano.
    Per poco.
    La sera, poi, davanti alla tv, prendo l’uncinetto, intreccio.
    Penso a questi giorni così, dove cadono foglie invece che bombe, dove ho uno spazio per stare ferma e zitta, dove mi appunto di comprare cereali e lane, dove il 27 arriva lo stipendio, dove la stufa accesa brilla nel cuore del buio, il divano come una zattera.
    Dove piove e piove ma per adesso gli argini tengono.
    E provo senso di pericolo e di scampato pericolo – e pena – e incapacità di capire – e sollievo e vergogna per provarlo – e gratitudine.
    Ho finito una coperta, ordinato una lana mohair, cominciato una sciarpa a punto canestro.

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  • L’orologio fermo dice: stai dove sei (istanti rubati a #settembre2024)

    On: 9 Ottobre 2024
    In: istanti rubati, la mia vita e io
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    4 settembre
    Mi si è fermato l’orologio, nella notte prima di venire al mare. Per me, che tutto è segno, simbolo e sincronocità, il messaggio è piuttosto esplicito e non cambierò la pila almeno fino al rientro.
    Detto questo, l’occhio cerca il polso ennemila volte al giorno.
    Lascia stare, mi dico. Non è così importante. Di cosa hai voglia adesso? Bagno, gelato, libro, panino, orizzonte?
    Il dopo lo vedremo.
    Ho pensato che devo essere gentile con settembre. Trattarlo con cura, come un delicato da stendere al sole senza stropicciarlo troppo, senza rimpinzarlo di piani e progetti e buone intenzioni come sempre sono tentata di fare.
    Punto la sveglia prima dell’alba per uscire a camminare e provo a non programmare niente. Mi fermo quando ho voglia di caffè o quando una particolare luce giallastra cattura lo sguardo.
    Che ore sono? I ragazzi si saranno svegliati? Avranno fatto colazione?
    Lo sguardo corre al polso. Inutilmente.
    L’orologio fermo dice: stai dove sei.
    Ho pensato che devo essere gentile, con me, a settembre. Con lo smalto che metto male e si gratta via con la salsedine, con le doppie punte e la pigrizia. Con i pasti alla come ti salta in mente, l’abbronzatura a strisce e il caffè di troppo.
    Ho pensato che a settembre devo essere gentile con me e con quello che mi succede intorno – che forse basta spostare lo sguardo e vederlo.
    6 settembre
    I ragazzi sono andati soli a camminare sul lungomare. Mi hanno chiamata dopo un po’ da un numero sconosciuto dicendo che avrebbero tardato: hanno salvato una beccaccia di mare incastrata tra gli scogli e, ascoltando i consigli di un passante, l’hanno portata in una certa spiaggia dove il bagnino avrebbe chiamato un’associazione per la cura degli animali selvatici.
    Mamma, aveva il cuore a mille, mi hanno detto. Non riusciva più a usare le ali.
    Le camminate da soli sul lungomare fino al paese vicino è una delle loro conquiste dell’ultimo anno. Altra novità è poter restare a casa da soli mentre noi mamme usciamo a camminare.
    Usciamo a camminare, quindi, e parliamo per lo più di loro. Della scuola che comincia, delle cose di loro che ci fanno ridere o arrabbiare. A volte con il cuore alleggerito per la nostra nuova libertà, a volte con l’istinto di cercarli con la coda dell’occhio, abituate come siamo ad averli sui nostri passi.
    Sul quadernino che porto sempre con me annoto le cose che fanno (le lunghe nuotate con la maschera, saltare le onde, la caccia ai granchi lungo gli scogli, le lotte con gli asciugamani arrotolati), per ricordarle quando non le faranno più.
    Loro, i ragazzi, sembrano non curarsi troppo di questi cambiamenti. Li osservo e mi pare di vederli armeggiare con ali nuove, ancora troppo goffe o ingombranti per saperle spiegare a dovere.
    Loro sembrano non pensarci affatto.
    Oggi c’è da tornare alla spiaggia per sapere come sta la beccaccia.
    23 settembre

    L’anima è una lucciola in autunno, dicono.
    Facciamola brillare.
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  • Nulla in me dubita della tua presenza (istanti rubati a #agosto2024)

    On: 9 Ottobre 2024
    In: istanti rubati, la mia vita e io
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    1 agosto
    Scendere nell’orto prima di cominciare la giornata, in estate, è un rito che mi va comodo.
    Scendere con la bocca ancora impastata dai sogni, i piedi negli stivali, la maglia a maniche lunghe nonostante il caldo già prepotente, per non farmi rosicchiare dagli insetti.
    C’è un esercito di insetti, tra i fiori delle zucchine, tra le file di pomodori. Ti fischiano nelle orecchie come fuochi d’artificio.
    Nel silenzio dell’alba, ogni cosa sembra al suo posto. Forse per questo la natura ci affascina tanto. Anche l’ape che ti punge fa il suo lavoro. L’hai spaventata, hai invaso il suo territorio, lei si difende come sa: niente di personale.
    Forse per questo la natura, a volte, tranquillizza: a differenza delle faccende tra umani, ogni cosa segue il suo corso. E il modo in cui vanno o non vanno le cose non dipende da niente che non sia la loro essenza – piegarsi al vento, nutrirsi di pioggia. Rigenerarsi con la luce del sole.
    Non c’è colpa, né senso di colpa, né aspettativa, scopo o frustrazione. Solo lasciarsi vivere e morire e poi rinascere. Ogni cosa al suo tempo, nel presente – una musica esatta.

    10 agosto
    Che poi è facile, se ci pensi.
    Quello che abbiamo è questo sentiero, persone con cui fare dei tratti, un cielo sulla testa che delle volte dice sole e altre tempesta. Altre volte ancora se ne sta azzurro e distante, fa finta di niente.
    E abbiamo queste gambe che è meglio far andare e scarpe da scegliere robuste. E abbiamo voci che ci scortano lungo la strada e che il più delle volte ci riportano a casa.

    14 agosto
    Pensare un nuovo tatuaggio.
    Il bosco.
    Preparare il tiramisù per un ferragosto in cortile.
    Famiglia.
    Il primo caffè del mattino in bottega o sul balcone.
    Cognetti – Giù nella valle.
    Appunti di viaggio.
    Amici. Le birre al laghetto.
    Camminare.
    Meditare sul pavimento di legno, di fronte al Pasubio e le sentinelle di pietra.
    I pasti condivisi.
    Chandra Livia Candiani e Mariangela Gualtieri.
    Ricordare.
    Le serrature del silenzio, la preghiera del ruscello.
    La notte, un nero mare capovolto punteggiato di stelle.
    Moquette d’erba sotto i piedi.
    Nel letto coi bambini, le parole prima di dormire.
    Mi inchino al Dio dei giorni semplici – con la fronte a terra benedico ogni minuscola sterminata grazia.

    19 agosto

    Tu e io, una notte in rifugio, camminare al tramonto. E poi all’alba. La superluna blu di agosto giallissima e quasi piena e tutte le nostre parole – parole che vengono facili, qui, lontano da tutto. Tu che mescoli storie da bambino e riflessioni da uomo, tu che racconti con la voce quasi da ragazzo.
    Mangiare come lupi, dormire come sassi – il vocabolario dello stare bene è preso in prestito dal bosco.
    Come sempre perderci, noi due (anche questa una quasi tradizione), arrabbiarci un po’ nell’erba bagnata, alta che ci arriva ai fianchi, Te lo avevo detto che non era questa la strada. E poi trovare un segno, la rotta, la via – una riga rossa e una bianca su un tronco. Rieccoci sul sentiero che ci riporta a casa.
    (Perché domani, ovunque tu vada, sappia riconoscere sempre il sentiero che ti riporta a casa).
    27 agosto

    Salire al rifugio Fraccaroli è un rito dell’estate – uno dei tanti eppure uno dei più significativi.
    La sveglia prestissimo, la prima parte della salita nella pancia scura e ancora fresca del bosco e poi venire alla luce sulle pietre chiare, sbiancate dal sole.
    La merenda -pane e cioccolata- alla prima bocchetta, quando la vista spazia dall’una all’altra valle, al rifugio infilare le ciabatte, i pasti abbondanti, guardare salire la nebbia, la birretta rigenerante, le gambe a pezzi, il belato lontano di un gregge, il tramonto lento, lento, che non arriva mai – il giorno che non vuol finire.
    Ogni volta le stesse domande su altitudine, chilometri, distanze, la camerata rumorosa, tre piani di letti a castello, al ritorno surfare sul ghiaione.
    Quell’allegria annebbiata, storie di montagna, la polenta e il vino e sempre dire tra noi che la prossima estate magari si cambia meta, magari si dorme in un altro rifugio, magari… e sempre sapere che intanto la prossima estate è qui che ritorni. Perché i riti celebrano il tempo e gli restituiscono senso.
    28 agosto

    Quando un nube
    inghiotte i monti
    roccia cielo terra
    tutto svanisce
    – ma solo agli occhi.
    Oltre il visibile
    tu ci sei.
    Nulla in me dubita della tua presenza.
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  • Scarpe robuste e cuore in ascolto (istanti rubati a #luglio2024)

    On: 12 Agosto 2024
    In: istanti rubati, quando la montagna era nostra
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    3 luglio
    È stato un onore incontrare chi, attraverso le sue parole, ha dato nuova vita veste e linfa a “Quando la montagna era nostra”. È divertente e un po’ straniante pensare che la mia microscopica e selvaggia valle trentina possa essere scoperta tra le polverose strade del Cairo o su una spiaggia assolata di Sharm El Sheikh.
    Il bello delle storie, dei libri: avvicinare luoghi geograficamente distanti. Avvicinare le persone. Fare incontrare.
    È già moltissimo, no?

    4 luglio
    Te la ricordi, la Bambina che c’è in te?
    Quello spirito affamato e libero che ti fa meravigliare, che ti fa emozionare, che crede ai miracoli: qual è l’ultima volta che ti ha parlato?
    Già, perché dopo anni a urlare, sgolarsi, cercare la tua attenzione, lei incrocia le braccia e si mette muta in un angolo. Perché continuare a insistere? Nessuno l’ascolta più.
    Lei dice: Guarda, è là che vuoi andare.
    E tu rispondi: Troppo lontano.
    Dice: È da quella cima che avrai la vista che cerchi.
    E tu: Troppa fatica
    Ancora: È questa la strada da prendere per incontrare quel che ti serve.
    E: Troppi ostacoli.
    Sempre così: Non ho gambe abbastanza forti, non ho abbastanza tempo, non sono abbastanza coraggiosa, non sono abbastanza intelligente.
    Il tempo passa e la Bambina zitta.
    Non li capisce tutti i tuoi limiti, lei che vedeva al buio e inventava universi.
    Le paure le conosce, quelle sì, ma non comprende perché non sei disposta a usare quel briciolo di coraggio.
    Usarlo come uno sgabello, il coraggio: mettertelo sotto i piedi e arrivare a guardare oltre il muro che le paure ti hanno costruito intorno.
    Non le capisce, tutte le rinunce.
    Come se non fossimo al mondo per trovare un equilibrio a forza di inciampi.
    Come se non fossimo chiamati qui per spalancare gli occhi e abbracciarlo tutto, questo vasto folle spaventoso mondo.


    5 luglio
    Dopo una settimana in città, tra strade trafficate e mezzi strabordanti, questo era quello che mi serviva: una mattinata di silenzio e solitudine.
    Sarà l’età, certo, ma che privilegio vivere in un posto che mi somiglia – semplice, disordinato, verdazzurro, selvatico e imperfetto.


    18 luglio
    13, 14 anni.
    Estate.
    Fiume torrente pozza.
    Schizzi.
    Amici.
    Costume o mutande, piedi scalzi, fango nei capelli.
    Afa, zanzare a mazzi, graffi e lividi, ma chissene.
    Mamma, non ci facciamo male, restiamo ancora un altro po’.
    Il sole che si impiglia tra i rami e indietreggia, la sera un solletico a passo di formica.
    Domani niente scuola, si tira tardi.
    Abbiamo tutto il tempo del mondo.
    (C’è qualcuno di noi che non abbia un pezzo di sè ancora impigliato in quei giorni là?)


    22 luglio
    Due giorni tra monti e mare con Eliandro e non si può dire che ci siamo annoiati. Se raccontassi tutto quello che ci è successo probabilmente non ci credereste (e fra l’altro non ne uscirei nel migliore dei modi).
    Fra il resto: una notte in una baita nel bosco, chilometri e chilometri a piedi tra monti e mare, l’attacco di un ghiro, oggetti persi e ritrovati, viaggi in treno fuoriprogramma, una corsa in farmacia, altri oggetti persi e ritrovati, colpi di scena, strade chiuse e rallentamenti vari… praticamente una gita sceneggiata da Quentin Tarantino.
    Abbiamo imparato un po’ di cose, tipo: non avvicinare gli animali nel bosco, per quanto apparentemente docili e indifesi. Ma anche che c’è in giro un sacco di gente solidale e pronta a darti una mano e che figo quando te ne accorgi!
    Abbiamo imparato che vale la pena vivere qualche inconveniente per incontrare nuove storie e per spalancare gli occhi su un’alba che filtra tra il fogliame e fa luccicare il blu del mare laggiù, da qualche parte al fondo dello sguardo.
    Insomma, se vuoi incontrare il Mondo: scarpe robuste, cuore in ascolto e camminagli incontro.
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  • Tutta questa fatica quando bastava nascere gazza? (istanti rubati a #giugno2024)

    On: 30 Luglio 2024
    In: istanti rubati
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    5 giugno
    Giugno è una cupola azzurra, un coperchio di vetro: se ci guardi attraverso intuisci i misteri del cielo.
    La sera, quando scendo a chiudere il pollaio, le gazze sono tutte a becchettare nel prato, prima di rintanarsi nel loro nido-fortezza di fronte alla finestra della mia camera da letto. Le loro piume nereblu brillano sul verde.
    Sta per chiudersi il cancello delle scuole e spalancarsi il portone dell’estate – un altro ciclo si chiude, e il mio cuore è in bilico tra peso e leggerezza, basta un sussulto per farlo scivolare dalla parte sbagliata.
    Per non parlare delle altre cose, le cose che succedono nel mondo e io mi sento così lontana, perché se solo mi soffermassi a pensare di esserci così vicina, invece, tutto quello che sta là si rovescerebbe dentro e intorno, e non ci sarebbe più argine che tiene, e finirei sott’acqua con i pesci.
    Non è sempre un buon momento, per tenersi vicini al mondo. Certi giorni bisogna stersene vigliacchi e distanti.
    Quando lo sento, il cuore, che barcolla e tentenna, scendo nel prato e osservo. I cavalli, Ophelia la puledrina, le minilepri curiose, le formiche sui tronchi, le galline e i corvi che planano bassi.
    Li osservo e mi chiedo: tutta la vita a meditare, cercare la pace interiore, fermare le oscillazioni della mente… Tutta questa fatica quando bastava nascere gazza?
    Forse sbaglia chi parla di reincarnazione: forse la prossima vita, se in questa ci saremo evoluti abbastanza, rinasceremo elefante o scoiattolo.
    Giugno è una cupola azzurra, mi sdraio nel prato e mi perdo. Oltre il coperchio di vetro sono uccello nuvola mosca – un istante soltanto.
     
     
    12 giugno
    Del mio esame di terza media, ricordo con esattezza di aver copiato durante lo scritto di matematica.
    Un esercizio proprio non veniva – non abbiamo mai avuto un rapporto idilliaco, i numeri e io.
    Loro chiedono precisione, io mi appello alla levità della vaghezza.
    Oggi, lo scritto di matematica tocca a Lemuele. Proprio adesso, in queste ore.
    Lo immagino seduto al banco, mentre rosicchia una biro e pensa un po’ all’esercizio e un po’ guarda l’orologio. So che la sua mente scalpita, è già via, all’estate che lo aspetta, ai giorni senza libri e senza sveglia.
    Lo immagino e immagino io com’ero alla sua età e lui com’era il primo giorno di asilo, il sacchettino a quadretti e le pantofoline, e il primo giorno della prima elementare, lo zaino troppo grande e lo spazio tra i denti, la tabellina del 3 e quella del 7 e le figurine all’edicola dopo la scuola, e mi sembra chiaro, lapalissiano, che si tratta di un inghippo spazio-temporale: un errore di calcolo di proporzioni bibliche.
    Che forse pure Dio, c’ha problemi con la matematica.
    Socchiudo gli occhi e sono di nuovo su quel banco in formica – la biro rosicchiata, i prof alla cattedra, il protocollo da riempire, quelle cifre che mi sfuggono.
    Come si trova l’area del cerchio?
    Ho il cuore che frulla come il bastone nella mani di una majorette e le mani sul foglio sono quelle di mio figlio.
    Tranquillo, amore mio, anche se un pigreco ti sfugge, scoverai il modo di far quadrare il cerchio e troverai che la vita non risponde a nessuna formula esatta, ma a un continuo ricalcolo – sfibrante e bellissimo.
    Io resto ferma a guardarti da qui, dal centro esatto e inscalfibile del Sempre, in barba al correre del tempo e alle leggi della fisica.
     
     
    13 giugno
    Orale dell’esame di terza media
    femmine vs maschi
    (trova le differenze)
    La ragazzina in attesa del suo turno agli orali:
    ripete la tesina alle amiche fidate, in ordine cronologico, alfabetico, crescente, decrescente e trasversale, per disciplina e per prossimità geografica, su un piede solo e con le mani legate dietro la schiena, la traduce in altre lingue, ripete date e nomi allo sfinimento e immagina collegamenti tra le materie ripescando dai ricordi scolastici dalla prima elementare in poi.
    Il ragazzino in attesa del suo turno agli orali:
    “Vabbè, intanto che aspetto mi rilasso con un videogioco”
    (si scherza, naturalmente. Fanno così tanta tenerezza, questi non più bambini e non ancora ragazzi che, a guardarli in un momento di vulnerabilità come gli istanti prima del primo esame della loro vita, si allarga il cuore).
     
     
    18 giugno
    “Le porte dell’estate dell’inverno son bagnate”
    – è proprio il caso di dirlo (o cantarlo).
    Sono giorni di pioggia e sole, tra un esame, un concerto, un ritiro di meditazione. Giorni di panni stesi in balcone e ritirati in fretta, di Demon Copperhead, di giri in moto, di corse con gli stivaletti cercando l’ombra intorno a casa, di pratiche di yoga gentili, sotto gli alberi, coriandoli di luce e insetti.
    Sono i giorni del primo telefonino di mio figlio, del suo primo motorino – sbucciarsi per bene le ginocchia in cortile, prima di affrontare la strada, sbucciarmi per bene il cuore prima che lui affronti il mondo.
    Sono giorni di notiziacce che viene voglia di bruciare i giornali, e di sere lunghe, dolci, una coperta soffice di luce sui prati, un’onda verde e viva.
    Tra tre giorni è estate, il Maestrone ha appena compiuto gli anni e non smetto di cercare il mondo negli angoli di casa, e non smetto di cercarmi nei libri e nei poeti, nelle parole delle sue canzoni – e non smetto di cercare.
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  • Una boccata di verde e papaveri (istanti rubati a #maggio2024)

    On: 30 Luglio 2024
    In: la mia vita e io
    Views: 248
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    5 maggio
    Domenica di maggio.
    Yoga. Napoleone e i combustibili fossili. Tesina sull’Infinito. Zuppa di ceci e cavolo nero. Uncinetto. Milan Kundera.
    Una boccata di verde e papaveri.
    E il naufragar m’è dolce in questo mare.

    8 maggio
    Quando all’alba mi sono svegliata, stavo per lanciarmi con la zip line. Le persone che si buttavano prima di me avevano smorfie di preoccupazione e una volta appese remavano nel vuoto, annaspavano sventolando le braccia come se fossero loro a dover decidere la direzione e l’andatura.
    Stamattina, dopo giorni di pioggia, il cielo è asciutto. Nuvolo ma le previsioni dicono: migliorerà. In stazione, poco prima che partisse il treno, due donne e una ragazza si sono messe in posa per farsi fare una foto, abbracciate. A volte salutarsi prima di un treno è un salto appesi a un filo. Molte cose lo sono – in certi casi lo sappiamo prima, in altri lo scopriamo poi. Quello che si può fare è regolare bene l’imbragatura e aver fiducia nel filo.

    9 maggio
    Quello che vuol dire, per me, stare bene.
    Stai bene è quando vedi, in ogni giorno che comincia, un luccichino di speranza.
    Una cosa anche minuscola, come quando ti siedi sulla riva di un fiume e un raggio di sole lo tocca e si sbriciola e una di quelle briciole ti sfarfalla tra le ciglia e tu socchiudi gli occhi e sai che di quella scintilla puoi fare qualcosa di buono.
    Stare bene è una cosa piccola, ma neanche poi tanto, a starci attenti.

    22 maggio
    Certi giorni mi sembra che si sia congelato un certo dialogo che intrattenevo con me stessa. Con una certa parte di me che trascende la ragione e arriva a vedere oltre il muro, sopra il tetto, dietro le porte chiuse. Come se quel canale si fosse ristretto, infeltrito. Le parole che prima cadevano a pioggia adesso devono farsi piccine, per passare attraverso. Giungono a me rinsecchite, infeltrite, apparentemente inusabili. Intraducibili.
    Mi vengono meglio altre cose, al momento. Lo yoga, l’uncinetto. Fare ricerche su disparati argomenti. Fare cose con le mani, con il corpo. Sgarbugliare nodi, cercare l’equilibrio sulle mani. Ascoltare. Andare nell’orto a controllare la crescita delle zucchine e dello scalogno. Forse questo non è il tempo della messa a fuoco. È un tempo bislacco, fuori stagione come queste piogge che sembrano non finire.
    Ma ogni cosa verrà quando e come deve, mi dico. La natura sa come far germogliare il seme. Forse non serve che lo sappia anch’io.

    23 maggio
    In treno, la donna seduta di fronte a me attacca discorso.
    Parliamo del più e del meno, poi lei si interrompe, si scusa, dice che la sua memoria ogni tanto fa cilecca.
    La rassicuro, dicendo che anche la mia…
    “Eppure” dice, con tono benevolo, “lei dovrebbe essere un poco più giovane di me, CREDO”
    “…”
    “Quanti anni ha? Io ne ho 77 .”
    A quel punto, mi son detta che evidentemente la memoria è l’ultimo dei miei problemi.
    28 maggio
    Sulla vecchiaia (mia), parte seconda.
    Sono in bagno davanti allo specchio, un filo di matita e mascara.
    Entra mio figlio, dice: “Mamma, sai perché a me piacciono tanto i videogiochi?”
    “No, perché?”
    “Per lo stesso motivo per cui tu ti trucchi”
    “Ovvero?”
    “Per sfuggire alla realtà”
    (E meno male che i figli so’ pezz’ e core)
    30maggio
    Continui a cercare fuori.
    Invece che sentire.
    Svisceri, compari, investighi, cerchi febbrilmente conferme e rassicurazioni.
    Perché tutto questo affannarsi?
    Il fiore sboccia senza nessun calcolo.
    Il bruco non legge nessun manuale, per farsi spuntare le ali.
    Il gabbiano non studia le leggi gravitazionali, prima di spiccare il volo.
    Volgi lo sguardo all’interno, e ascolta.
    Lasciati vivere.
    Lasciati diventare.

     

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  • a sentire la Vita che va celebrata (istanti rubati a #aprile2024)

    On: 9 Maggio 2024
    In: istanti rubati
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    18 aprile
    mi regalo perline e del filo per fare orecchini
    mi regalo di chiamare i miei figli bambini
    anche se il tempo tesse il suo arazzo
    e toccherà chiamare il bambino
    ragazzo

    mi regalo del tempo vicino a chi amo
    che l’amore è la madre di quello che siamo
    ma è pure il padre il nonno e il fratello
    l’amore è la cura e allevia il fardello

    mi regalo un siero che pialla e rimpolpa
    le rughe son belle però a mia discolpa
    io dico non serve volerle più in fretta
    le aspetto tranquilla con una birretta

    mi regalo un incontro con la cartomante
    anche se forse non servirà a niente:
    il futuro lo posso senz’altro aspettare
    quel che vorrei è capire il presente

    mi regalo dei vuoti da riempire al momento
    col cuore ben desto e il telefono spento
    e giorni animati come i cartoni
    che la sera sei stanco ma vincono i buoni

    non festeggio quest’anno
    mi son ripetuta
    ma festeggiare è anche solo
    restare seduta
    magari in un prato a fine giornata
    a sentire la Vita
    che va celebrata.

    25 aprile
    Sarebbe già tanto potersi liberare
    delle corazze inutili
    degli inestetismi
    delle cattive abitudini
    di tutti i fascismi

    delle malelingue e della malasorte
    della paura delle linee che vengono storte
    di quel che va stretto
    di tutto il non detto.

    Sarebbe già molto dire addio
    a chi non dà ascolto
    alle vuote pretese dell’io
    ai dettami insensati della rabbia
    a chi sale in barca e non vuol remare
    ai sogni atrofizzati dentro una gabbia:
    apri la porta, lasciali andare!

    Sarebbe già abbastanza
    spremere la sostanza
    dei giorni e conservare la polpa:
    disperdere al vento
    le acrobazie dell’ego
    e tutti i sensi di colpa.

    28 aprile
    Ci sono giorni che per intensità valgono mesi.
    Ci sono legami che per intensità diventano Famiglia.
    Abbiamo battuto bicchieri e ballato nella neve, abbiamo riso e cantato e mischiato lacrime alla birra, ci siamo scambiati aneddoti come figurine, ci siamo incontrati, ritrovati e riconosciuti e ci siamo abbracciati forte da tenerci in piedi. Abbiamo mescolato incazzatura e gratitudine in parti quasi uguali.
    Sono usciti Ti ricordi? a fiume, e pure rabbia – rabbia che ribolliva come lava dietro le parole e poi anche incredulità e quel po’ di pace che nasce dai cuori che si toccano.
    Se ne sono andati i nostri giorni giovani, ci è sembrato di capirlo adesso – ma non sono passati invano e quello che hanno lasciato sta fuori dalla giurisdizione del tempo. E quello che hanno lasciato certamente basta per tenere il nostro fuoco acceso.
    Le nostre divinità di pietra non hanno smesso di sorvegliarci i passi.
    E noi c’eravamo tutti. Ma proprio TUTTI.



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