
l’estate
sbaragliando certezze,
dello stupore azzurro
per la sete dei pesci
che trova ristoro
tra le tue braccia.
E dei tuoi figli,
quello che prima
è stato soltanto
una traccia.
Sproloquio sui modi e sulle età

Gli anni addosso
Mi si scollano di dosso gli anni,
vecchi francobolli attaccati a saliva.
Mi cade sulle spalle l’anno che garrivo
sulle spalle di mio padre, allegra e dritta,
regina di portamento sulle strade sgarrupate di paese,
tra la piazza e il cortile.
Mi scivola sul petto il 1994,
anno del primo amore incoronato, in un giugno di sabbia tiepida
e sementi. E molle di ubriachezza e di qualche cosa che sembrava intero
ascoltavo le canzoni di Battisti, ballavo le canzoni degli Smiths.
Cantavo le canzoni alla chitarra senza accordi sulle dita, senza note
allo spartito, muovevo dottor martens rossi a braccio,
sul palchetto scheggiato e liso alle feste d’Unità.
Dalle tempie rotola una carezza di madre,
la raccolgo nell’incavo del collo e ci poggio la testa,
in riposo. Dondolo piano, da un piede all’altro,
cercando quella fermezza di granito,
quel basalto di tenerezza quieta che non ho trovato dopo,
dentro nessun abbraccio, dietro nessuna barricata.
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Punto elenco per il 2016

- non ti muovere verso il traguardo: stai fermo lì e vedilo arrivare cambiando lo sguardo
- non dividere con gli altri quello che hai, molto meglio dividere il buono di quello che sei
- fai coriandoli delle certezze, nutri il dubbio offrendogli i tuoi pensieri scalzi e zero sicurezze
- spera di perderti e inciampare prima di arrivare in cima alla scalata : il viaggio che va liscio di bonaccia non insegna come fare quando c’è la mareggiata
- non rispettare a priori la misura, stai sopra o sotto e sempre fuori inquadratura
- non fare niente per fare cambiare opinione, cura il tuo punto di vista senza la boria della condivisione
- fai che la voce del verbo navigare serva non solo per il browser ma soprattutto a star per mare
- alimenta il pensiero divergente, non prendere parte alle dispute inutili, pur disprezzando certe opinioni, rispetta le gente
- guarda le cose da sotto in su che a star troppo in alto prima o poi si va giù
- tratta da uomo ogni piccino e aiuta ogni uomo a trovare il bambino.
Tiritera di Capodanno
Capodanno. Finisce un viaggio
e uno ricomincia. O forse è sempre lo stesso
ma è bello immaginare
una cosa che comincia.
Vorrei che il mondo si raddrizzasse un po’.
È un mondo strano: le anatre libere di migrare
e gli uomini no.
Vorrei diventare il pastello
di cera, ma bianco
che sul bianco non si vede
ma sul nero sa fare la neve.
Mi piacerebbe tonasse di moda
il valore della sfumatura
ripristinare il fascino timido del grigio
e ridare importanza alla misura. (altro…)
Notte e l’Oceano
Il vento si struscia sul mare: è un gatto nero, giallo di sguardo, contro la mano che gli allunga il cibo.
Solo il vento sa fare il mestiere del vento alla sabbia: livella. Porta via tracce come non fossero state, cambia contorni al mondo.
Il vento liscia l’evidenza e la trasforma, tratta le dune al modo della memoria con i ricordi.
Il vento e il tempo stanno a libro paga dallo stesso padrone.
L’onda ha il rantolio del tuono, la potenza della mano aperta a schiaffo.
Batte lo scoglio come chi miete fa con il grano
e ti sa spaventare:
un crollo di pentole dentro la notte.
Se t’avvicini lascia sulla bocca il sale,
al modo dei pistacchi sgusciati tra i denti
e dei baci ai primi appuntamenti.
L’imparzialità del mare
Se potessi stare a tu per tu col mare, gli chiederei ragione dell’imparzialità che mette in certi fatti tra gli uomini. Per quale legge sia costretto a pesare uguale sulla testa di chi scappa e sulla testa di chi, di quella fuga, fa commercio.
Chiederei perché non mette il sale per disinfettare certe ferite invece che bruciare gli occhi di chi li spalanca contro l’ultimo straccio di cielo.
Ma lui continua alla sua maniera, rendendo conto solamente al vento e al cambio delle lune. Lascia gli uomini a illudersi d’aver trovato il modo di domarlo, poi se vuole gonfia il petto dentro un’onda e cancella un’isola, figurarsi due barchette.
Se la terra si lascia mortificare di confini, il mare mette tutti al proprio posto, senza parteggiare per la preda o il predatore. (altro…)
Tra malva e arancione
A volte mi manca la carta. A volte le idee. Altre le parole. Qualche volta persino il tempo. Capita pure che manchi la voglia.
Dopo, mi guardo le dita. Mi guardo sempre le mani per scegliere le parole. Per questo, da un po’ di tempo in qua, metto lo smalto.
Sembra che i pensieri vengano giù più spediti, con lo smalto colorato sulle unghie. Mi piace color malva, di più. O mattone. Il color mattone apre il chakra dell’immaginazione. Secondo me.
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Ci sei dentro
Ho visto i muscoli della montagna. Sono striature scure dove crescono alberi che ad alta quota diventano cespugli bassi, erbe e muschi.
Ho scalato il fianco duro e verticale, oltre i suoi duemiladuecentocinquanta metri di protensione al cielo. Le ho sentito il battito del cuore, uno solo lento e lungo come il rintocco di una campana, lontana, di notte.
Ho appoggiato l’orecchio sulla sua schiena, ad auscultarne le intenzioni, mentre cercavo l’appoggio al piede e l’appiglio alla mano.
C’era un silenzio rotto dagli strappi amplificati dall’eco di qualche pietra che rotola per una camoscio in fuga, del sibilo della marmotta e del suono del corvo. Di scarponi che battono la terra e spostano ghiaia spessa.
La montagna l’ho pagata, per il suo tenermi addosso, in moneta di fatica e fiato che si fa breve, come la pausa dopo il punto che non va a capo.
Mi ha pagata lei con un senso di cuore che s’allarga e sterno che si apre, quando, alla fine di certe salite, si stendono orizzonti in dissolvenza, dopo lo strapiombo.
Si apre il sipario e buona la prima
Il mondo sarebbe un poco più leggero se ci fermassimo tutti, adesso. E buttassimo i sassi dalle tasche, setacciassimo i grumi dai pensieri, levassimo ste scarpe strette, sempre troppo strette.
Il mondo sarebbe un posto più onesto se ogni uomo somigliasse un po’ alle parole che dice.
Il mondo sarebbe più largo se nessuno reclamasse un posto acquisito per diritto di nascita e capisse, ora e per sempre, che la fortuna di nascere dalla parte giusta del mondo non ha merito, pure il proverbio lo sa, che la fortuna è cieca. Lo sa persino quel poveretto arrivato da lontano, ma così lontano che ha finito le scarpe, e ha mani magre che gli vedi le ossa, e sulla faccia la collezione di tutti i racconti che noi non vogliamo sapere. Lui sa che la fortuna è cieca, perché se gli venisse in mente che invece ci vede, gli toccherebbe di andarla a cercare per ficcarla su un barcone e lascarla in balia dei pescecani.
Sarebbe più largo, il mondo, se non ci sedessimo sulla nostra cittadinanza con l’arroganza di un bullo sul tram, che mette il culo su due sedili per non farci stare nessun altro.
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