Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

  • Seconda tappa: il percorso (La storia di una storia. In quattro tappe)

    On: 31 Maggio 2017
    In: il progetto, un luogo a cui tornare
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    Dicevamo che tutto è cominciato da tre personaggi e una notte di pioggia.
    Per scrivere “Un luogo a cui tornare” sono partita da qui, da queste coordinate, da questi pochi segni che davano inizio alla mia traccia sul foglio bianco. Appena un abbozzo a matita. Accennato.

    Da lì, poi, non so quante volte ho sbagliato strada. Perché è così che succede: fai un pezzo, la vegetazione è troppo fitta, ti impantani, i sentieri si inabissano, non capisci più nulla. Ti accorgi che stai girando in tondo o ti trovi di fronte un muro, troppo liscio per essere scalato. E torni indietro. Alle volte bastano pochi passi, poco prima c’era un bivio che non avevi notato, basta imboccarlo.
    Alle volte, si tratta di cancellare giorni e forse settimane di marcia. Perfino mesi. Mi è successo più di una volta. Non dico che non sia penoso. È mortificante. Ti accorgi, o ti fanno notare, che ti sei perso. Allora senti male ai piedi, a tutte le giunture. Ti manca un po’ il fiato, adesso che ci pensi. Ti abbandona l’entusiasmo, ti piglia un soverchiante scoramento e hai solo voglia di gettare le scarpe da una parte e stenderti in un prato a guardare il cielo. E non pensarci più. Magari per qualche giorno è proprio quello che fai: ti sdrai sull’erba e resti fermo a guardare le nuvole, a guardare le stelle. A sgomberare la mente come adesso un vento potente fa con le nuvole che si sono addensate sopra la tua testa. Dici Basta, dici Chi me lo fa fare. Dici Non mi importa poi molto vedere cosa c’è alla fine della strada.

    Poi però. Riprendi in mano quella mappa tratteggiata a matita e pensi che non puoi lasciarla così. Fino a quel certo punto hai visto cose tanto belle -o almeno così ti sembra- che sarebbe un peccato non raccontarle. Andrebbe persa una certa radura sul limitare del bosco, dove al tramonto ombre in fila aspettano la notte. Si perderebbe quel crepuscolo sul lago che ti ha lasciata immobile a osservare l’albore del giorno, tra i riflessi sulla superficie azzurra e quasi ferma.
    Sarebbe un peccato. Così ti metti in piedi e riprendi la strada, qualche passo, scaldi fiato e muscoli. E ricominci. Non è sempre male sbagliare strada. Anzi. Succede che scopri angoli lussureggianti che non immaginavi nemmeno. Scopri parti di te, certe tue vedute del mondo.

    Per quanto possa sembrare strano, la scrittura influenza la vita. E viceversa (ma quello è più ovvio). Alle volte, qualcosa che succede nella tua quotidianità cambia il corso stesso della storia. Mi è capitato, mentre scrivevo questo libro. Una cosa per me molto importante, dolorosa. Ha deviato il tragitto e mi ha fatta restare molto più a lungo in un posto che credevo di attraversare in fretta, di sbirciare in lontananza, come un panorama visto dal finestrino di un treno. Invece no. Mi sono dovuta sedere lì, sulla riva di un certo fiume a guardare. A provare a capire perché, a sperare che passasse il male in fretta. A vedere se potevo imparare qualcosa da questo accadimento, visto che proprio non lo potevo evitare.

    Non voglio fare troppi misteri, solo provare a spiegare, prima di tutto a me stessa, come funziona mettersi di fronte a un foglio e provare a scovarci dentro un mondo tutto intero.
    La dannazione e la grazia di voler continuare la strada. La dannazione e la grazia.
    E alla fine, ecco. Sono arrivata là dove volevo e potevo. Dove mi hanno portata le gambe e il fiato che avevo a disposizione. Ho riguardato tutto da là e ho pensato che, comunque andrà da adesso in poi, per quel che mi riguarda ne è valsa la pena.
    Provo a raccontavi quello che ho visto all’arrivo. Presto, se vi va.

    L’inizio di questa storia, lo trovate qui
    La pagina dove aspettare insieme l’uscita del libro, qui: https://www.facebook.com/unluogoacuitornare

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  • “L’emozione in ogni passo”: ingredienti fondamentali

    On: 5 Aprile 2016
    In: il progetto, l'emozione in ogni passo
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    L'emozione in ogni passoOgni libro ha molti ingredienti, dosati con cura. Quelli che danno il sapore, quelli utili a legare, quelli che servono alla lievitazione.
    Ve ne racconto alcuni di “L’emozione in ogni passo”, in libreria da domani, mercoledì 6 aprile. Lo farò senza troppa serietà, giocandoci un po’, per non correre il rischio di prendersi sul serio. Nulla più che una carrellata di spunti, giusto un assaggio.

    Pervasive come l’albume nelle meringhe ci sono due voci femminili. Alma è una giovane donna alle prese con: il sogno di avere un libreria tutta sua, un quaderno dalla copertina azzurra su cui tiene traccia delle proprie intuizioni, un uomo che somiglia alle cose che dice (e che, in confidenza, somiglia pure in tutto e per tutto al mio fidanzato).
    Frida è una psichiatra che ha abbandonato la professione dopo un fatto che l’ha costretta a mettere in discussione i propri strumenti di analisi e il mondo per come lo conosceva fino a quel momento.

    Nonostante non si tratti di un thriller, ci sono due tipi di inseguimento. Da una parte Alma ripercorre le tappe di un viaggio fatto anni prima dalla persona che ama, o che crede di amare, in un rito catartico e contrario di allontanamento, nello sforzo di dare un senso o un taglio -in ogni caso di trovare una misura- al sentimento che la lega a lui.
    Frida invece, rabdomante nella memoria altrui, segue le tracce del marito perduto, nello strenuo tentativo di ricostruire l’esistenza dell’uomo attraverso i ricordi di chi lo ha conosciuto, e allo stesso tempo di restituire un senso alla propria.

    Ci sono alcuni luoghi che mi hanno segnata. I paesaggi del Monferrato che abito, macchiati di vigne e querceti, modellati appena dal lavoro dei contadini. Sono terre vagamente selvatiche, dove è bello trovare campi e boschi incolti, angoli silenziosi e disabitati.
    E c’è un po’ di Portogallo, la saudade dell’Alfama lisbonese, la forza evocativa dei menhir di Evora, la magia dei vicoli di Porto, intenti a scendere a rotta di collo e in ordine sparso fin giù a bagnarsi nel Douro.

    C’è un personaggio liberamente ispirato a Carlo Urbani, eroe contemporaneo, primo medico ad aver riconosciuto la Sars. Ho provato a immaginare come si faccia a mettere insieme un impegno in Medici Senza Frontiere con una moglie, una famiglia. Ho provato a indovinare cosa provi un uomo con una missione troppo grande per una vita sola.

    Come già in “Ovunque tu sarai” c’è ampio spazio per le coincidenze, uvetta passa per il panettone. Ma più ancora, questa volta, per le coincidenze mancate. Quelle che vedi dal fondo, dalla fine, quando una traccia si palesa e trovi il filo conduttore, che riconosci sorridendo, e che conferma soltanto che ciò che serviva era crederci forte, più forte.
    Scrive Erri De Luca: «Destino, secondo definizione, è un percorso
    prescritto. Per la lingua spagnola è più semplicemente
    arrivo».

    Ci sono i libri, in questo libro, parole scappate a certe pagine per popolarne altre. Per diventare fiato e toni di un’altra voce. Perché questo sanno fare bene i libri: essere i trampolini per altre storie.

    Infine, ma soprattutto dal principio, c’è il pandispagna che regge il resto, sotto la panna e gli strati di crema: il Cammino di Santiago. Quella strada che esce dalla mappa su cui è traccia per diventare fatica, incontri, scoperta, dialogo con se stessi.
    Ho fatto un pezzo del Cammino la scorsa estate e ho provato a raccontare come a un certo punto smetta di essere luogo fisico per diventare “altro”: una distorta dimensione spazio- temporale governata dalla sincronicità, dalla ricerca intima, dalla pienezza di sé.
    Si smette di marciare soltanto e si comincia sentire, semplicemente.

    Il Cammino è un virus: ci ha contagiati tutti. Ci ha coperti di
    segni invisibili, un vaiolo dell’anima che è anche un principio
    di guarigione. Arrivi qui e ti immagini capace di attraversare
    il mare, finalmente vedi che il suo mestiere non è dividere, ma
    cucire insieme terre distanti; carezzi le tue piccole cicatrici
    e riesci a sentire il principio, dentro la fine. Nella pelle che
    s’accartoccia intorno a un taglio c’è una prova di resilienza e
    ogni segno nuovo sul corpo ha una ragione precisa d’essere,
    come gli anelli che nel tronco segnano l’età di un platano.

    Ecco, questo è il momento in cui mi preparo a sbriciare le facce pronte ai primi assaggi, con un misto di emozione e curiosità.
    Ho raccontato un tratto della mia strada sperando che vi nasca il desiderio di fare un pezzo di cammino insieme. Vi aspetto seduta accanto a certe tavole di pietra all’aperto, all’ombra di una radura con le gambe penzoloni in una pozza d’acqua fresca, a risposare il cuore.

    Il jolly: buon viaggio a “L’emozione in ogni passo”, buon viaggio a noi.
    Altri ingredienti qui.
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  • Come nasce una storia. Di pesci, oceani e del nuovo romanzo

    On: 21 Marzo 2016
    In: il progetto, l'emozione in ogni passo, la mia vita e io
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    barcaScrivere è stare su una barca sospesa su niente. Tu butti le reti, e non vedi, e ai primi pesci gli levi l’amo col dubbio di fargli male, di rovinarli quando li metti nel secchio, di non saperli cucinare con il fuoco giusto. Come il Vecchio nella sua lotta forsennata al mare, quel mare nemico e alleato, che si struscia contro la chiglia con la sua indifferenza di mollusco, che restituisce sassi e resti di guerre spuntate lontano.
    Tu stai sulla barca e remi in una qualche direzione, non è chiara sempre, un po’ t’aiuta il vento e un po’ ti risospinge, ogni frase un senso che aggiunge, scandaglia, definisce. Confonde.
    Te ne vai navigando a vista.

    A furia di gettare le reti si impiglia qualcosa che ti pare grosso, che tira e scalcia e fa resistenza. Quando allenti la presa delle volte ti segue, accompagna il flusso, ti ripaga della fatica e del sudore con un guizzo fuor d’acqua: uno solo e dura un momento, ma gli vedi le squame di quel riflesso perfetto, sotto i raggi del sole, e riconosci in quel salto una smania che ti corrisponde, che ti esplode in gola per la bellezza d’averlo visto, per il desiderio di fermarlo.

    Delle volte vedi un movimento a fior d’acqua, solo una scia che si accenna, vene viola su mani anziane, e ci butti le reti, le braccia, i pensieri, in un corpo a corpo che sfinisce e rinvigorisce a un tempo. Se riesci a trattenere lo slancio e la forma, se quello che ti trovi sotto gli occhi ha un senso, forse è una storia. Una storia che racconta di quella tua sortita per mare, della casualità dell’incontro con una creatura marina, del vento di quel giorno, e della luce che piove sulla barca. Ma racconta pure di come hai imparato a pescare, di tutte le volte che hai rappezzato le reti, di un vecchio che un giorno ti ha prestato la sua canna e i suoi calli, e delle mappe che il sale, ogni volta, disegna sulla tua pelle quando s’asciuga. Mappe di luoghi che forse, un giorno, incontrerai.

    Ecco, se qualcuno mi chiedesse come nasce la storia da raccontare in un libro direi questo: nasce dopo molta paziente attesa, dopo un incontro fortuito con un’impressione, dopo la lotta con una creatura che ti sfugge e ti appartiene. Ma nasce anche prima, molto prima: insieme all’albero che ha dato il legno per costruire la barca con cui vai per mare.
    Ecco quel poco che ho capito. Perché così succede, ed è facile e miracoloso come veder nascere una pianta da un seme.

    Così è nata la storia di “L’emozione in ogni passo“. Mi è venuta nella testa a sorsi brevi e pezzi che hanno combaciato in fretta, in uno sforzo di assemblare scorci che non volevo perdere, significati che mi serviva chiarire a me stessa, parole che mi sarebbe piaciuto ascoltare.
    Non c’entra nulla con pesci e reti ma ha a che fare con un cammino. Un cammino reale e metaforico che è stato mio, ma che può diventare di tutti.
    Se vi va, gettate l’amo: dal 13 aprile abbocca in tutte le librerie.

    Il jolly è: “L’emozione in ogni passo”, Giunti editore. Se volete, curiosate qui.

    L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla. Italo Calvino
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  • Uno spaccato sul pendolarismo estremo

    On: 13 Novembre 2013
    In: la mia vita e io
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    unospaccatoCosa fa la gente in treno. Mi guardo intorno adesso, sul Torino-Milano e vedo la più variegata umanità fare le cose più disparate. Accalcata come ad agosto sulle spiagge libere in Liguria.
    Un paio leggono, una gioca a ruzzle (ma che è, ‘n epidemia?). Un tipo qui vicino mi fa partita. Continua a muoversi sul sedile come se si stesse sgranchendo le braccia. In continuazione. Sembra la Pellegrino prima della gara per l’oro. Ha la fede al dito e mi chiedo come sua moglie la sera possa sedersi sul divano accanto a lui a guardare la tv. Per dire. Avrà la perenne sensazione di stare in palestra.
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  • Le scelte estreme di uno scrittore di strada

    On: 26 Aprile 2013
    In: ospiti
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    (fanculopensiero) copertinaE si chiese se l’uomo infine risolva qualche cosa,
    o siamo solamente qui
    per l’equilibrio delle stelle.

    A voi capita mai?
    Intendo l’irrefrenabile desiderio di aprire la porta dell’ufficio, durante una giornata di lavoro più pesante del solito, e richiuderla sonoramente alle vostre spalle senza pensare alle conseguenze.
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