Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

  • Istanti rubati a #ottobre2017 (strategie d’equilibrio)

    On: 27 Novembre 2017
    In: istanti rubati, la mia vita e io
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    Perdere un po’ l’equilibrio, o, diciamo così, la giusta prospettiva. Succede, no?
    Succede e nemmeno è sempre un male. Serve a reinventarsi, a rimettere a fuoco i contorni, ridefinire le traiettorie.
    È un processo, sbilanciarsi e ritrovare una misura nuova, sempre precaria, sempre perfettibile. Ognuno, per farlo, ha le proprie strategie.

    Le mie: leggere.
    Leggere mi permette di prendermi per mano e portarmi in giro. Dentro e fuori me stessa, ma dentro e fuori miracolosamente combaciano. Leggere è evasione ma anche riapprodo a quello che siamo, riconquista, scavo. Scavo che, quando va bene, ci porta in una parte di noi che non sapevamo esistesse – eppure era lì. Silenziosa.

    Poi: scrivere.
    Pescare in fondo, grattare con l’unghia. Fino a creparla, smangiarsela, fino a che la patina di indifferenza cede e lascia vedere: come il ghiaccio che ad alta quota scopra un lago di montagna. Tu hai solo l’unghia e il ghiaccio è spesso. Ma gratti. E gratti. E poi chissà, forse arrivi all’acqua, se il punto è quello buono e la forza che ci metti è quella giusta.
    (Ottobre è stato il momento di mettere lo smalto, che mi sembra dia brio ai pensieri, e limare le unghie, che si rinforzino un po’.)

    Quindi: organizzare un viaggio.
    Va bene una gita, un giro, un’uscita. Da fare domani, tra un anno o dieci.
    Basta una mappa per sapere come perdersi e un po’ di immaginazione per sapere dove cercare.

    L’altro modo di ri-bilanciarmi è: prendere i miei figli per mano – uno da una parte e uno dall’altra – e andare nel bosco. Sui sentieri ritorti tappezzati di rampicanti o sui solchi profondi che gli attrezzi agricoli lasciano a bordo campo.

    Uno per mano, e riecco il mio centro.
    Ci voleva tanto?

    Urliamo -vieni qui, è pericoloso, guarda là! è stato lui!-  a tratti cantiamo, litighiamo, ci pestiamo senza volerlo i piedi, spaventiamo i cavalli quando a sera torniamo a casa, un po’ stanchi, un po’ sudati. Li spaventiamo sbucando all’improvviso mentre quelli – i cavalli- se ne stavano placidi a pascolare nei paddock e sentendoci arrivare corrono via sgroppando e alzando terra con gli zoccoli, come se da qualche parte ci fosse stato uno sparo.

    Insomma, in questo ottobre, in questo autunno, ho fatto le cose che faccio, in un modo o nell’altro, da sempre.  Leggo, scrivo, mi ormeggio alle mani delle persone che amo.
    Mentre pestiamo tappeti croccanti di foglie secche penso che la vita è un elenco disordinato di azioni che ci tengono in piedi, mentre formiamo una catena di mani per stare in equilibrio.

    ottobre 2017
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  • Istanti rubati ad aprile2017 (Di piccole cose e stupori e cose che ho scritto)

    On: 11 Maggio 2017
    In: il progetto, istanti rubati, la mia vita e io
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    Monferrato, PiemonteLasciarsi sorprendere non è cosa da tutti, bisogna imparare.
    Aprile è specialista nel lasciarti indovinare il tempo, puntare gli occhi al cielo il mattino – oggi sarà sole o sarà pioggia?
    Mi sono lasciata sorprendere anche io, qualche volta, in questo aprile. Da un compleanno -il mio- che mi coglie ogni santo anno completamente impreparata, e sì che oramai un po’ di allenamento l’ho fatto. Ammesso poi che ci possa preparare ad avere un anno in più, a ricevere auguri senza commuoversi troppo, a fare (o meglio a non fare) bilanci.
    Mi sono lasciata sorprendere da una festa di compleanno molto speciale -non mia- festeggiata un martedì notte in un bosco allestito per l’occasione, con un furgoncino per distribuire birra fredda, zuppa di ceci e torta di nocciole e luci, e un bel falò, e palloncini colorati appesi ai rami degli alberi.
    Mi sono lasciata sorprendere da una covata di pulcini che abbiamo adottato per un po’, dalla trilogia di Kent Haruf attraverso le strade di Holt, da una pasquetta inaspettatamente soleggiata con gli amici, dalle trovate dei bambini, da una ricorrenza festeggiata in famiglia con un pranzo e poi una gita al lago – breve, ma bella, come le cose improvvisate in un giorno di primavera.

    E così a metà di quel pomeriggio di primavera montarono a cavallo e, come viaggiatori nel vasto mondo, Bobby in sella e Ike dietro, si allontanarono. (Kent Haruf, Canto della Pianura)

    kent haruf

    Mi sono lasciata sorprendere persino dalle tante ore che sono riuscita a passare davanti a una tastiera a battere e ribattere i soliti tasti. A limare, spostare, tagliare, aggiungere, modificare, definire, sostituire, mettermi le mani tra i capelli, alzarmi e guardar fuori -piove o non piove? Esce il sole?- accarezzare il gatto e aggiungere ceppi nella stufa in cucina, che il sole vabbè, ma in casa fa freddo. E poi ancora, da capo, gli stessi tasti, levare, sintetizzare, ricalibrare. La virgola lì non ci sta, proviamo col punto.
    Mi ha sorpreso sentirmi sbalzata indietro, agli anni dell’università, le notti prima degli esami, i sabati e le domeniche a vagare per casa in pigiama e a riempire la moka di caffè. Rispetto ad allora mancavano le sigarette a segnare le pause, gli amici spettinati e stravaccati sulla poltrona in camera mia con grossi libri aperti sulle ginocchia e matite per sottolineare.
    Mi ha sorpreso, in qualche modo, ogni frase che ho scritto e poi riscritto perché prima di farlo non sapevo precisamente nemmeno io cosa volessi raccontare. Oppure sì, ma soltanto confusamente. Soltanto approssimativamente. Adesso invece è quasi tutto lì, quello che volevo dire, che potevo dire. E ogni volta mi sorprende.

    Intanto siamo a maggio, si veleggia verso l’estate, nonostante le piogge insistenti in questa parte di mondo. Non scoraggiamoci, non certo per il meteo. Alleniamoci, invece, diventiamo campioni di stupimento.
    (Che dite, il sole: esce o non esce?)

    Il vento soffiava sui campi piatti, aperti e sabbiosi, sui campi di grano e sulle stoppie di granturco, sulle praterie dove scure mandrie di bovini pascolavano nella notte. Ai due lati della strada le fattorie si stagliavano alla debole luce azzurra dei lampioni nei cortili, case sparse e isolate nella campagna buia, e in lontananza, alla fine della strada, le luci di Holt non erano che un bagliore sul basso orizzonte. (Kent Haruf, Crepuscolo)

    Monferrato, PiemonteMonferrato, PiemonteMonferrato, Piemontepulcinosorellemyfamilymy familyla mia scrivaniaMonferrato, Piemonte
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  • Come nasce una storia. Di pesci, oceani e del nuovo romanzo

    On: 21 Marzo 2016
    In: il progetto, l'emozione in ogni passo, la mia vita e io
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    barcaScrivere è stare su una barca sospesa su niente. Tu butti le reti, e non vedi, e ai primi pesci gli levi l’amo col dubbio di fargli male, di rovinarli quando li metti nel secchio, di non saperli cucinare con il fuoco giusto. Come il Vecchio nella sua lotta forsennata al mare, quel mare nemico e alleato, che si struscia contro la chiglia con la sua indifferenza di mollusco, che restituisce sassi e resti di guerre spuntate lontano.
    Tu stai sulla barca e remi in una qualche direzione, non è chiara sempre, un po’ t’aiuta il vento e un po’ ti risospinge, ogni frase un senso che aggiunge, scandaglia, definisce. Confonde.
    Te ne vai navigando a vista.

    A furia di gettare le reti si impiglia qualcosa che ti pare grosso, che tira e scalcia e fa resistenza. Quando allenti la presa delle volte ti segue, accompagna il flusso, ti ripaga della fatica e del sudore con un guizzo fuor d’acqua: uno solo e dura un momento, ma gli vedi le squame di quel riflesso perfetto, sotto i raggi del sole, e riconosci in quel salto una smania che ti corrisponde, che ti esplode in gola per la bellezza d’averlo visto, per il desiderio di fermarlo.

    Delle volte vedi un movimento a fior d’acqua, solo una scia che si accenna, vene viola su mani anziane, e ci butti le reti, le braccia, i pensieri, in un corpo a corpo che sfinisce e rinvigorisce a un tempo. Se riesci a trattenere lo slancio e la forma, se quello che ti trovi sotto gli occhi ha un senso, forse è una storia. Una storia che racconta di quella tua sortita per mare, della casualità dell’incontro con una creatura marina, del vento di quel giorno, e della luce che piove sulla barca. Ma racconta pure di come hai imparato a pescare, di tutte le volte che hai rappezzato le reti, di un vecchio che un giorno ti ha prestato la sua canna e i suoi calli, e delle mappe che il sale, ogni volta, disegna sulla tua pelle quando s’asciuga. Mappe di luoghi che forse, un giorno, incontrerai.

    Ecco, se qualcuno mi chiedesse come nasce la storia da raccontare in un libro direi questo: nasce dopo molta paziente attesa, dopo un incontro fortuito con un’impressione, dopo la lotta con una creatura che ti sfugge e ti appartiene. Ma nasce anche prima, molto prima: insieme all’albero che ha dato il legno per costruire la barca con cui vai per mare.
    Ecco quel poco che ho capito. Perché così succede, ed è facile e miracoloso come veder nascere una pianta da un seme.

    Così è nata la storia di “L’emozione in ogni passo“. Mi è venuta nella testa a sorsi brevi e pezzi che hanno combaciato in fretta, in uno sforzo di assemblare scorci che non volevo perdere, significati che mi serviva chiarire a me stessa, parole che mi sarebbe piaciuto ascoltare.
    Non c’entra nulla con pesci e reti ma ha a che fare con un cammino. Un cammino reale e metaforico che è stato mio, ma che può diventare di tutti.
    Se vi va, gettate l’amo: dal 13 aprile abbocca in tutte le librerie.

    Il jolly è: “L’emozione in ogni passo”, Giunti editore. Se volete, curiosate qui.

    L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla. Italo Calvino
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  • Tra malva e arancione

    On: 29 Settembre 2015
    In: sproloqui
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    alba sul mareA volte mi manca la carta. A volte le idee. Altre le parole. Qualche volta persino il tempo. Capita pure che manchi la voglia.

    A volte, c’è troppo di tutto.
    Poi allungo il collo, supero scrivanie con lo sguardo. Oppure il tavolo della cucina o il sedile di quello seduto di fianco sul treno. Tuffo gli occhi nella luce. Per scrivere, meglio fioca. Meglio cieli gonfi di neve, nuvole di caffelatte dove inzuppare il pane.

    Il cielo oggi è quello d’un’estate pallida. Ma tanto pallida che lo capisci, che ormai è già via.

    Dopo, mi guardo le dita. Mi guardo sempre le mani per scegliere le parole. Per questo, da un po’ di tempo in qua, metto lo smalto.
    Sembra che i pensieri vengano giù più spediti, con lo smalto colorato sulle unghie. Mi piace color malva, di più. O mattone. Il color mattone apre il chakra dell’immaginazione. Secondo me.
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  • (Un luogo e un modo) dove il tempo non c’è

    On: 16 Maggio 2014
    In: la mia vita e io
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    obra di vallarsa

     

    A Obra, in certi –rari- momenti di pace, l’anno scorso, quando i bambini erano appesi dietro ai sogni del loro sonnellino, mi piaceva andare su in cucina e mettermi a scrivere. Era fine estate: spalancavo la finestra e gli scuri e assaporavo il silenzio luminoso del pomeriggio.

     

    Le giornate erano per lo più fresche e assolate, preludio settembrino, e mi piaceva avere per compagnia il ticchettio delle mani sulla tastiera, il vento che frusciava tra i rami degli alberi vecchi davanti a casa e qualche lontano canto di un gallo che ha smarrito il senso del tempo.
    Ancora più in là, dalla strada che scende a valle, echi sguaiati di giochi e risate.

     

    Là di fronte, mi osservavano precisi e attenti i miei monti, il Pasubio di fronte mi strizzava l’occhio.
    Era bello sentire che pace, e  sognarmi scrittrice – che costa, sognare.

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  • Scrivere è malattia

    On: 19 Febbraio 2014
    In: sproloqui
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    scrivereTroppo da scrivere. Troppo, certi giorni. L’enciclopedia definitiva, altro che Diderot.
    Riscrivere il mondo, in fiorentino.
    Una poesia, per l’amore del cielo, tutto il mondo è fuffa, senza poesia.
    Quante ricette, da scrivere. Mescolando gli ingredienti, rigorosamente sbagliati, annacquati, affumicati, invertiti. Inventati.
    Poi qualcosa che ti faccia ridere. Ma ridere così a crepapelle da scompisciarsi, da tossire fuori lo stomaco a forza di attacchi di riso.
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  • Lasciamoci ispirare #7 – Come fare l’amore

    On: 20 Novembre 2013
    In: sproloqui
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    si scrive per aggiusare di luce i giorniSi scrive per mettere a posto.
    Come un bravo artigiano
    isola il guasto
    per dare alle cose
    l’ordine giusto.

    Si scrive per aggiustare di luce
    i giorni,
    come l’imbianchino che stucca
    e traduce colori e contorni.
    Come il fotografo che all’occorenza
    trucca.

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  • La genesi di una tentazione e una richiesta di aiuto

    On: 22 Aprile 2013
    In: il progetto
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    un libro e un mazzetto di fioriCosa serve per scrivere un libro.
    Serve l’amore per una storia, io credo. Una storia che nasce piano nella tua testa e cresce, se trova terreno fertile, si arrampica attraverso i neuroni e invade i pensieri. La innaffi di intuizioni brevi e lunghi voli pindarici. La nutri con le tue ore di dolore e tempo rubato a pensieri più lievi.

    Una storia che sta dietro le parole, si inerpica  tra gli spazi vuoti, si nasconde tra le espressioni che scivolano giù sulla carta come segni inventati.
    È un susseguirsi di immagini mentali con un loro ritmo, una musica dentro che parla di danze lontane, balli tribali sulla terra cruda, e walzer improvvisati sotto la luce della luna.

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