È che ci sono emozioni che se per un po’ non le frequenti, poi te le dimentichi. Cioè, non è che proprio te le dimentichi, è che restano lì, appena assopite sotto la pelle, in attesa che qualcosa le riporti a galla.
Così quando ieri, dopo più di due anni, sono rimontata in sella è stato come tornare indietro di un bel po’. A prima delle due gravidanze, prima della vita qui in campagna, prima anche del fidanzamento col padre dei miei figli.
Erano sei o sette anni fa, quando reduce dal periodo peggiore della mia vita ho deciso di regalarmi qualcosa, che uno stimolo nuovo me lo dovevo. E ho pensato di realizzare il mio sogno di sempre, neanche tanto originale, quello di partire al galoppo in una prateria odorosa e con la colonna sonora di Lou Reed (giusto per rendere il quadro un pelo più accattivante). Ecco, così è nata questa passione, queste lunghe giornate in maneggio a imparare la postura e l’equilibrio in groppa, condividere spicchi di sole e temporali con gente che come me ci passerebbe un bel pezzo di vita, a cavallo. È stato ritrovare anche quel tanto di equilibrio interiore che avevo perduto tra corsie d’ospedale e pensieri che mi hanno scavato dentro un bel po’.
Era diventato l’appuntamento del week end, quello che aspetti per tutta la settimana fatta di ufficio e trantran torinese. Venire qui e vedere questo verde che proprio ti sboccia dentro gli occhi, questo pezzo di terra che l’uomo non ha ancora troppo torturato e queste persone che hanno voglia di parlarsi guardandosi in faccia e non solo attraverso email-telefono-chat. Ecco, era proprio quello di cui avevo bisogno.
Era tutto ciò di cui avevo bisogno, insieme al tempo, per lenire le ferite.
Poi, come da copione, mi sono fidanzata con il maestro di equitazione (mi è costato un bel po’ di tesserini, ‘sto baccaglio, ma se non altro ho imparato uno sport) e mi sono trasferita qui. Ma come saggezza popolare insegna, il figlio del ciabattino va in giro scalzo, e io ho di molto diradato le uscite a cavallo. Certo, la causa principale sono stati questi 18 mesi di gravidanza pressoché continuativi con relative fasi post-parto. Fatto sta che mi mancava parecchio, questa cosa di salire in sella e andare.
Ieri c’erano in giro le stesse cose di allora, a pizzicarmi i sensi: l’odore d’erba appena tagliata, l’abbaiare dei cani al nostro passaggio, il respiro affannato degli animali in salita, i cenni di saluto dei contadini che si riparano all’ombra. Anche gli stessi tafani, a dirla tutta. Ma lo stesso era perfetto.
È che ci sono mille modi per immaginarsi liberi, e per me una delle strade che portano a quella sensazione passa proprio da lì. È come fare un respiro profondo fin dentro le tue viscere, come vedere lontano senza che niente ti nasconda un pezzo di paesaggio. È quando galoppi e hai l’improvvisa percezione –dura un attimo- di non aver paura di cadere.
Sono sgraziata, con la mia schiena inarcata di ex ballerina di danza classica e con tutte le incertezze di chi comincia uno sport da adulto, eppure quando me ne vado a zonzo per i boschi col mio quadrupede mi sento esattamente come mi piace essere. Fiera, leggera, selvatica. In pace con quello che sono.
Risvegliare le belle emozioni assopite ha un solo effetto collaterale: crea dipendenza. Ora gli stivali da equitazione in ripostiglio non ce li rimetto.
Il jolly è: equilibrio. Come mi ha insegnato Federico, (a cavallo) non è la forza che conta, ma l’equilibrio.
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