Andar per negozi con pupo a seguito, parliamone.
L’altro giorno, armata di tanto buon umore e qualche (magro) risparmio, dopo aver sistemato Lemuele dai nonni, sono partita con una volenterosissima amica e con Eliandro alla volta di un noto outlet piemontese. Già nutrivo qualche dubbio sul fatto di ricordare COME SI FA a spendere soldi in abiti e accessori per me. Sì, perché dopo circa due anni -24 mesi- di gravidanze e post partum con allattamento, ho perso l’abitudine a indossare qualcosa che non sembrasse l’accappatoio di barbapapà.
Per fortuna, una volta arrivata davanti alle vetrine l’istinto prende il sopravvento e mi guida con certezza verso il possibile bottino. Purtroppo, perfettamente sincronizzato, prende il sopravvento anche l’appetito di mio figlio, così la prima tappa è al bar per la poppata, della durata doppia delle sue solite, giusto perché il tempo è contato.
Soddisfatta la fame, si parte alla ricerca di un fasciatoio e dopo qualche chilometro all’inseguimento di indicazioni utili, anche questa pratica viene espletata con successo (nonostante la logica conseguenza della doppia poppata).
Allora via, ci si può lanciare negli acquisti, è il momento delle mamme. Però, già dal primo negozio, mi rendo conto che spendere ’sti benedetti soldini in qualcosa di sensato sarà più difficile del previsto. Non so chi ricordi quel programma tv in cui il concorrente aveva una discreta somma di denaro da spendere in un supermercato in un tempo cronometrato, e più riusciva ad accatastare nel carrello, più portava a casa. Ecco. Qui il gioco è entrare e uscire dal camerino mentre la mia amica ninna il pupo, nel più breve tempo possibile per permetterle di fare la stessa cosa. Perché per mio figlio, che già è uno dei più mansueti al mondo, stare fermo nel passeggino per più di un minuto e trenta secondi equivale a dramma senza ritorno. Per assicurarsi la pace, bisogna assicurargli il moto perpetuo. Così spulciamo magliette e gonne tra le offerte cullando il baby con un piede, poi strisciamo alla cassa stringendo i capi in una mano, il passeggino nell’altra e il portafogli tra i denti.
Inutile raccontare di come la situazione peggiori al moltiplicarsi delle borse degli acquisti. La mia amica e io sembriamo due sherpa trapiantate dalle vette himalayane alla patria del consumismo.
Insomma, non passa molto tempo che si comincia a sudare. Adesso quasi quasi siamo contente che Eliandro abbia di nuovo fame, così ci si riposa un po’. Entriamo in un bar con lui urlante come lo stessimo scuoiando (mentre la sola tortura a cui lo abbiamo sottoposto è stata la prova dei berretti). Gli porgo velocemente la tetta, mentre i vicini di tavolo mi guardano con una faccia un po’ così. (E pazienza, non si può piacere a tutti).
Poi via di nuovo, in un trillare di telefoni, ché nonni affidatari degli altri figli e mariti ci cercano per sapere che fine abbiamo fatto.
Allora di corsa, mi serve ancora un paio di pantaloni. Ed ecco che arriva lo schiaffo morale: “la 40 non veste più”. Questo per dirla in modo carino. Tradotto significa che pure se sto in apnea ’sti stradannati pantaloni proprio non li abbottono, nemmeno se provo con una serie completa di contorsioni yogiche.
E sarà pur vero che “hai da poco partorito il secondo”, sì sì, ma intanto tu nel camerino coi minuti contati, tuo figlio che strilla lì fuori, un paio di pantaloni fichissimo e in saldo della tua vecchia taglia calato a metà gamba, vorresti sfondare il vetro a testate.
E pazienza, nei prossimi giorni, doppio tapis roulant. Oppure mi perfeziono nel nuovo triathlon femminile: fare step cullando un pupo e cantando con l’altro.
Per oggi basta così, siamo in ritardo e ci sembra di aver fatto la sauna, si torna a casa felici, ché una bella giornata tra amiche è impagabile, nonostante fatica e disavventure a profusione.
Nota a margine. Acquisti per i pupi: un berretto a testa. Ma gli stanno che è una meraviglia, eh. (Madri snaturate!)
Il jolly è: solidarietà femminile (e una nutrita carta di credito)
Tags: (dis)organizzazione, jolly, pupi, shopping, vetrine
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[…] paio d’ore di carovana da casa mia, ho deciso di darmi allo shopping on line. Anche perché alle ultime esperienze di giri di acquisti con pupi a seguito era probabilmente preferibile una mezza giornata in […]
Sì, sì….ricordo tutto perfettamente! Era esattamente così!! Ora è leggermente diverso: io mi nascondo dietro i vasi di fiori mentre loro provano stoffe assurde in colori da ccciovani che insistono a chiamare “vestiti”. Ci devo andare anch’io per due motivi: 1) non hanno ancora la patente e il taxi è necessario per raggiungere i centri commerciali più a buon mercato 2) gli passo da sotto il mio vaso di fiori un bancomat, con precise istruzioni per l’uso, soprattutto riguardo al totale finale battuto. …Tutto sommato era più semplice qualche manciata di anni fa, dove te la cavavi con una tetta fuori, la consapevolezza che quella taglia è roba di qualche “figlio fa” e un berrettino buffo che loro non erano ancora in grado di denigrare poi tanto…
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ahah! in effetti mi era già venuto il sospetto che ogni età avrà le sue grane… in effetti il berrettino non lo denigrano ancora, ma che lotta farglielo provare!
avrai provato la 40 in un negozio 0-12. Mi offro volontaria per la prossima missione shopping con pupi, basta che non propini un berretto anche a me =)
venduto! per te niente berretto ma un bel paio di moffole!
io nella 40 non ci stavo neanche a 12 anni 😀
cmq la prox volta devi portarli tutti e due altrimenti dove sta il vero divertimento?
😀 Barbara, ma io già sono alta un metro e un fagiolo… almeno le proporzioni!
sì certo, una gita con tutti e due ci sta… ma aspettiamo il papà, per non martoriare le amiche!