Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

Come si fa mattino (istanti rubati a #ottobre2024)

On: 3 Febbraio 2025
In: istanti rubati, la mia vita e io
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1 ottobre
Scrivere poesie è rallentare i pensieri e i battiti del cuore -uno a uno- intrecciarli con la pazienza degli uccelli, per farne nido dentro il silenzio.

8 ottobre
Mi parlano, le sere d’ottobre.
Sarà la speciale qualità della luce, più densa prima di arrendersi, e finire.
Queste sere che mi metto in balcone e le gazze giocano sulle tegole del tetto di fronte e i cavalli ondeggiano sull’erba come ombre sfocate.
Cerco parole per dire questa specie di pace, questa specie di fatica – e non le trovo. Le avrà rubate la gazza, scambiando per pietra preziosa una carabattola luccicante di nessuna importanza.

Mi parlano, loro, le sere di ottobre.
Mi dicono: fermati. Togli. Una cosa alla volta. Rastrella l’inutile. Stai ferma.
Senti.
E mi mostrano il modo: quella luce che si fa riassorbire dal cielo.
E quanto coraggio c’è, in quella resa.
In ogni resa: tutto il coraggio del mondo.
14 ottobre

Comincia una nuova avventura, la chiameremo Avventura del sentire.
Del fermarsi a fare silenzio.
Fare silenzio come si fa il pane, come si fanno gli alberi, da dentro. Come si fanno cesti di giunchi intrecciati.
Come si fa notte, più fredda e nera prima del mattino.
Come si fa mattino.

17 ottobre

È notte di luna piena, quella in arrivo. Luna piena in Ariete.
La luna più grande e potente dell’anno, dicono.
Ma non la vedremo, noi qui, il cielo è coperto in lungo e in largo da nuvole spesse. E piove. Come piove. La immagineremo, la Luna di Sangue, rossa per i sacrifici animali di tutti i tempi. La sentiremo, col sesto senso delle streghe, dei lupi mannari.
Proveremo a stare al buio, sapendo che la luce –
e a fare quello che conta.
E cosa, allora?
Questo: spremere e strizzare quello che c’è, estrarre dal buio quel tanto di luce che basta a vederci le mani, e poi i piedi, poi la mattonella su cui i piedi poggiano e poi lui, lei, quegli altri che come noi vagano, annaspano, procedono a tentoni, strizzando e spremendo – o provando.
E poi questo: prendere l’ombra con tutte le mani, tenerla, farne ristoro.

23 ottobre

Dicono: il dolore è una vanga che dissoda l’anima
perché la vita possa far crescere i suoi frutti migliori.
Dico: se il dolore dissoda voglio essere terra arsa, un grumo duro e secco, che sfarina.
Se il dolore ammorbidisce e concima io voglio essere pietra, arido sale o granito.
Non voglio lacrime e scavare solchi, ad addolcire l’arsura dell’erba.
Il sole asciutto brilli a mezzogiorno sulla mia testa
vuota
vuota
come vuota è la mente del tordo quando il cacciatore imbraccia il fucile, come vuota è la mente del tonno quando l’esca gli viene vicina.
Dico: se il dolore rende migliori è alla versione peggiore di me che mi aggrappo
e chiudo gli occhi, le dita a sigillo e non guardo
e non sento lo spavento del mondo che mi preme addosso.

25 ottobre

Ci sono momenti che mi sembra di aver capito tutto.
Per fortuna durano pochissimo.

28 ottobre

Cadono foglie sulla mia testa, quando cammino nel viale. Nei giornali e in tv cadono bombe. Autunno strano. Piove quasi ogni giorno e pure se smette il cielo è un cuscino imbottito di grigio.
Leggo Christian Bobin e Ron Rash. Guardo Shameless e Il racconto dell’ancella, cerco oggetti su Vinted e Subito, provo a liberarmi di oggetti che non mi servono più.
Il mattino presto medito seduta in mezzo alla stanza.
Medito? Forse. Vedo con gli occhi chiusi il profilo molle degli alberi e le tegole oltre i vetri da pulire. Vedo tutte le cose che ho da fare, in fila a reclamare attenzione, si spintonano per saltare un turno, strusciano i piedi, come turisti davanti ai musei.
Le caccio con un tic del sopracciglio, ma tornano.
Un figlio dal dentista, la riunione a scuola dell’altro, mandare la mail, aspettare quell’altra, mettere i ceci in ammollo, non ho ancora preso il caffè, la spesa, sguardo al terzo occhio, il nuovo tatuaggio, pulire i vetri.
Un altro tic del sopracciglio, svaporano.
Per poco.
La sera, poi, davanti alla tv, prendo l’uncinetto, intreccio.
Penso a questi giorni così, dove cadono foglie invece che bombe, dove ho uno spazio per stare ferma e zitta, dove mi appunto di comprare cereali e lane, dove il 27 arriva lo stipendio, dove la stufa accesa brilla nel cuore del buio, il divano come una zattera.
Dove piove e piove ma per adesso gli argini tengono.
E provo senso di pericolo e di scampato pericolo – e pena – e incapacità di capire – e sollievo e vergogna per provarlo – e gratitudine.
Ho finito una coperta, ordinato una lana mohair, cominciato una sciarpa a punto canestro.

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