Nell’attesa di un nuovo Dpcm portatore di lockdown e dei risultati delle presidenziali americane, nelle ultime ore ho dovuto formalizzare la rinuncia a un viaggio in camper ottimisticamente pianificato alla fine dell’estate. E chissene, direte, e con ragione. Io lo so che non significa nulla, di fronte allo sfacelo che ci circonda. Lo so bene. Ma oggi lo stesso brucia un po’. Brucia perché è il cappello di una inquietudine più profonda che ha che fare con questa nuova indefinita palude temporale durante la quale il mondo sarà lontano, altro da me, irraggiungibile.
Tutto quel mondo con tutte quelle strade voci case incontri luci. E saranno lontane moltissime delle persone che amo. Sarà impensabile, a un certo punto del mattino, dire Ma guarda che bel sole, e uscire per un giornale e un caffè e due parole con qualcuno incontrato per caso. Non ci si può far nulla, solo trovare altri modi per mettere a frutto quello che c’è. Un modo per starci, in questo pantano, e attraversarlo. Con prudenza, con amore.
Non cedendo ai richiami dei professionisti del terrore né a quelli dei ciarlatani spacciatori di paccottiglia. Cercando di non farci annientare dall’ansia. Continuando a nutrire come possiamo la parte di noi che si alimenta di progetti e di sogni – una guida per un nuovo viaggio, un biglietto del treno che porta al mare, una notte in rifugio ad ascoltare le chiacchiere dei ghiacciai. Il nostro camper che cammina sulla strada grigia, mentre una musica bella viene dalla radio e i bambini di continuo ci chiedono: Quando siamo arrivati? Quando siamo arrivati?
(Quando siamo arrivati?)
Quando siamo arrivati? (Istanti rubati a #novembre2020)
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