“Mamma, mi prendi in braccio? Tu sei la più forte.” Lo isso all’altezza del mio viso, gli metto il naso tra i capelli e il collo, dove profuma di buono. Fingo di non aver riconosciuto la lusinga per risparmiarsi qualche passo , e lui non saprà che tante volte me lo tiro addosso perché di quell’abbraccio ho bisogno. Per provare la sua guancia contro la mia, per strofinargli il naso sotto il giaccone e sentire la sua pelle accaldata dalle corse.
La mamma non si stanca e non invecchia. È fatta di materiali diversi, tutti incorruttibili: di latte per la fame di “quando eravamo piccoli”, di capelli da tormentare tra le dita in attesa del sonno, di pelle morbida da usare per cuscino in caso di stanchezza, di gambe come leve delle giostre, per farsi sollevare mentre lei stesa sul letto ci dondola come aeroplanini braccia-spalancate.
La mamma può fare i bambini. Schiere di fratellini e sorelline a cui dare nomi improbabili (che detto da me, vabbè. NdA). Nella pancia ci sono beni di conforto, giocattoli per fronteggiare la noia di nove mesi al buio, qualche libro con le figure, pistole di Spiderman, anche se a lei le pistole non piacciono, ma tanto sono finte, non uccidono mica peldavvelo.
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