A casa mia le cose erano diverse.
Là ci stavano sentieri fatti con i sassi e sabbia e bordati d’erba verde
e il confine tra il cortile mio e quello del vicino
era fatto da una riga disegnata in terra,
disegnata per essere saltata.
Poi è venuta gran confusione
e la famiglia che ci abitava accanto è andata via per prima.
Andata dove, chiedevamo noi bambini,
Andata dove.
È rimasta una linea disegnata in terra
e nessuno -e niente- dall’altra parte.
La gran confusione deve aver mischiato tutto,
perché dopo sono venuti sentieri fatti d’acqua
-sentieri d’acqua, ci crederesti?,
una scia mobile attraverso il mare.
Non c’erano più i miei passi sulla sabbia ma lo stare in equilibrio
su una barca
e non c’era più la traccia, solo blu davanti gli occhi.
E dietro e tutto intorno. Un blu che qualche volta diventava nero.
Ora vivo in un Paese dove i limiti sono tracce in fil di ferro:
non per essere saltati
ma per dire la differenza tra chi sta qui
e chi sta dall’altra parte.
Non cuce, il confine, ma strappa
come la forbice col filo
come la distanza col passato,
e quel che vedo è un muro alto
e reti
e non so cosa c’è dall’altra parte.
Non so più
se c’è, un’altra parte.