Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

Mappa in mano e pedalare. A Copenaghen

copenaghen Sono stati tre giorni pieni, intensi, in una città nuova di zecca e piena di stimoli come Copenaghen. Nordica, ariosa, colorata, caratteristica, invitante.
Siamo partiti di notte come ladri, Federico e io, la scorsa settimana, senza l’entusiasmo che precede il viaggio, un po’ per via del debito di sonno, ma soprattutto all’idea di lasciare i bambini. Sì, perché forse l’ho già detto, ma ogni volta ho la conferma: quando hai figli diventi loro schiavo. In presenza e in assenza, è un fatto.

 

A ogni modo: superati i sensi di colpa, comunque già messi in preventivo al momento della prenotazione del volo, ci siamo imbarcati nel nostro viaggio-regalo, felici come bambini il giorno della gita a scuola.

 

copenaghencopenaghenIl tempo non è stato proprio dalla nostra, ma la città sì.
Ci ha accolti a braccia aperte e noi ci siamo lasciati coinvolgere.
L’abbiamo girata in lungo e in largo, senza risparmiare muscoli e fiato. Il primo giorno a piedi, il secondo e il terzo in bici.
(Tra parentesi, un appello: va bene che al Nord siete tutti spilungoni, ma pensateci ai nani come me e prevedete un tipo di bicicletta che mi permetta di appoggiare un piede in terra senza lanciarmi in acrobazie degne di un’artista da circo.
Tra freno-pedale e sproporzione dei miei umili arti, mi sono sentita il fantozzi della situazione: l’unica creatura sopra i 24 mesi di vita che in Danimarca non si muovesse agevolmente sulle dueruote (a bombazza, proprio)).

 

Così, pioggia e vento come compagni di viaggio, via sfreccianti da un capo all’altro della città: Sirenetta (l’unica corta come me, peraltro), Museo Nazionale, Tivoli non hanno più segreti per noi.
copenaghen, tivoliAbbiamo mangiato aringhe affumicate, bevuto birra come i danesi (cioè: tanta).
Abbiamo sfidato la movida notturna fino a ore improbabili (l’una di notte, poi un vichingo del posto ci ha fatto notare che ci stavamo addormentando sul tavolino del locale).
Abbiamo sfidato ogni pista ciclabile controvento, sorseggiato disinvoltamente bloody mary.
E chiamato i nonni a ogni ora per verificare che i bambini non sentissero troppo la mancanza
(loro, eh, mica noi. Ho capito che Federico era messo peggio di me quando, senza apparente ragione, si è messo a parlare di Lemuele e Eliandro con un barista spagnolo).

 

Abbiamo pedalato sotto la pioggia e nell’aria gelida, con maglione, sciarpa, giacca di pelle e stivali. Mentre teenagers danesi ci superavano con canotte e infradito.
Evvabbè.
copenaghencopenaghen, ingresso christianiaDue cose da annotare, per il giorno che ci tonerò.
La prima, i parchi, soprattutto Frederiksberg have: laghi navigabili, stradine perse nel verde, ninfee, cigni e anatroccoli, pagode. Un paradiso, rilassante e magico.
E poi Christiania. Sì perché sono fricchettona dentro e hippy, anche con la mia veneranda età, poco da fare.
E perché loro sono bellissimi (quasi tutti, come dappertutto): multietnici, artisti, idealisti, di ogni età, entusiasti, colorati, innovativi. E ho pranzato in un localino del quartiere, dove il piatto del giorno vegetariano era la fine del mondo, e la tavola te la apparecchi e te la sparecchi tu. Mentre gli avventori al tavolo vicino parlano francese, tedesco e un dialetto indiano.
Tu non capisci un cacchio e sei felice, perché lì si incrociano destini di gente che ha voglia di vedere il mondo, e magari, anche, di migliorarlo un po’.
Free Christiania, dico anche io.

 

E rieccoci a casa, nell’angolo di mondo che è bello ritrovare al fondo di un viaggio.
Con questi due piccoli dissidenti a cui vorrei tanto insegnare il valore del diverso e l’importanza del vedere le cose da un’altra latitudine.
Impareranno. Per ora sfoggiano orgogliosi le loro magliette con la nave dei Vichinghi e Hard Rock Copenaghen.

 

Il jolly è: assaggiare, ficcanasare, annusare, immaginare, improvvisare.
Mappa in mano e pedalare.

 

Mi hanno segnalato Copenaghen su Monocle (grazie La Rejna)

 

Altri scatti qui:

 

copenaghen, sirenettain bici a copenaghen

 

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