Camminare da sola dentro al nulla. Che poi non era proprio il nulla, anzi, a ben pensarci c’era tutto. C’era la terra rossa bruciata dal sole, panorami brulli, piccoli cespugli e piante basse, mai viste prima, disseminate in giro. Parlo dell’Isla de lobos, la vera scoperta del mio viaggio alle Canarie.
È un isolotto di meno di una quindicina di chilometri di perimetro, a pochi chilometri da Fuerteventura.
L’isola è disabitata dagli anni ’80, quando ci vivevano il guardiano del faro e la sua famiglia. Mi chiedo che cosa abbia significato vivere li, in mezzo al niente, con il perenne sottofondo sonoro delle onde sfrante sugli scogli e le grida di gabbiani. Riuscite a immaginare?
Qui è nata anche la scrittrice Josephina de Pla, di cui sto cercando qualche testo tradotto in italiano (ammesso che ce ne siano).
Adesso c’è un piccolo ristorante per i turisti che ogni giorno arrivano in traghetto, che a un prezzo onesto e con una vista impareggiabile offre paella e pesce appena pescato.
Comunque. Quando sono stata lì, questione di pochi istanti e sono entrata nel mood giovani esploratori alla riscossa. Però era impossibile avventurarsi per quelle strade impervie con bimbi e passeggino. Federico ha capito guardandomi negli occhi e ha detto “Vai pure”. That’s ammore.
Si è fermato coi monelli in una piccola caletta e mi ha lasciato una mattinata libera. Anzi due, per la verità, perché ci siamo tanto innamorati di quel posto che ci siamo tornati una seconda volta.
Così sono partita: io, la macchina fotografica e una bottiglia d’acqua. Ecco, era una vita che non camminavo a lungo, da sola, in un posto mai visto. Ne ho assaporato ogni angolo, ogni scenario inatteso in cima a una salita, ogni apertura impensata dietro una curva.
Sono arrivata al Faro, ho provato a inventare nella mente la vita di chi ci ha lavorato per anni. Sono salita in cima al vulcano, a vedere quanto è grande il mondo, anche quello che si vede da un’isola così piccola. Ho raccolto conchiglie – chissà da quanto sono qui – pietre laviche, piccole bianche ossa di gabbiano. Lisce.
Non so perché ho amato tanto quel posto. Forse perché non c’ era in giro praticamente nessuno, per gli angoli nascosti e bellissimi, o per le tante storie che suggerisce, sussurrate con la lingua del mare. O forse, chissà, ci sarò già stata in un’altra vita.
Sì che mi sono sentita, a ogni passo, infinitamente piccola nell’infinitamente grande. E profondamente grata.
Il jolly è : ogni volta che si può, uscire dal seminato.
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