Quando si viaggia con i bambini, niente è come sembra.
Niente è come sembra nemmeno quando si è a casa, a dire il vero, ma in viaggio si nota di più. Forse perché gli occhi loro, spalancati e spropositati come quelli dei Tarsius di notte, colgono dettagli che tu nemmeno al microscopio. E non è tanto quello che notano, ma il modo in cui lo decifrano, con un candore ineffabile e con una lucidità spietata. Vengono fuori sentenze surreali, dialoghi da sbacalire Ionesco, mezze magie che spalancano universi come scatolette di tonno Riomare.
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Il Portogallo attraverso gli occhi dei miei figli – Fotoracconto
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Obrigado Portugal
4 viaggiatori (22 anni l’età media), 1 volo e circa 2300 chilometri percorsi in auto, 8 diversi alloggi, 1 compleanno festeggiato durante, 3 libri appresso*: alcuni numeri del nostro giro in Portogallo di novembre.
Giorni on the road graziati del clima, alla scoperta di un Paese che va viaggiato a passi brevi. Perché la sua bellezza è negli incavi di pietra dietro un cortile, nelle pareti di azulejos, nei filari autunnali che accendono i fianchi molli delle colline.Gli ho voluto bene per le carezze sulla testa che i miei figli hanno preso a valanghe, da perfetti sconosciuti; per il proflo risoluto dei litorali inginocchiati contro la rabbia dell’Oceano che gli urla addosso.
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Per il castello che una custode ha aperto solamente per noi, per far salire i bambini sulla torre di vedetta a vedere la luce aranciata che s’appoggia ai muri di Trancoso. Per l’odore di baccalà e caffè, per la saudade che ti invita a ballare un fado e ti fa volteggiare in un tempo sospeso, in un tempo di nessuno, sul palco legnoso della tua solitudine.
Per l’incontro con la mia cuginetta e il suo fidanzato, che non vedevo da anni 4, e che ci ha raggiunti al Miradouro de Santa Luzia, a suo agio perfetto nella nuova vita lisbonese. Per le cose riviste a distanza di anni, frammenti da ripescare uno a uno sul fondale melmoso della memoria. (altro…) -
Ci sei dentro
Ho visto i muscoli della montagna. Sono striature scure dove crescono alberi che ad alta quota diventano cespugli bassi, erbe e muschi.
Ho scalato il fianco duro e verticale, oltre i suoi duemiladuecentocinquanta metri di protensione al cielo. Le ho sentito il battito del cuore, uno solo lento e lungo come il rintocco di una campana, lontana, di notte.
Ho appoggiato l’orecchio sulla sua schiena, ad auscultarne le intenzioni, mentre cercavo l’appoggio al piede e l’appiglio alla mano.C’era un silenzio rotto dagli strappi amplificati dall’eco di qualche pietra che rotola per una camoscio in fuga, del sibilo della marmotta e del suono del corvo. Di scarponi che battono la terra e spostano ghiaia spessa.
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La montagna l’ho pagata, per il suo tenermi addosso, in moneta di fatica e fiato che si fa breve, come la pausa dopo il punto che non va a capo.
Mi ha pagata lei con un senso di cuore che s’allarga e sterno che si apre, quando, alla fine di certe salite, si stendono orizzonti in dissolvenza, dopo lo strapiombo. -
Speciale Vallarsa
Ci sono cose che si fanno soltanto in montagna ad agosto. Ad esempio, le cene della contrada nel prato davanti a casa, ognuno cucina qualcosa, i bambini giocano con le bici e i palloni e se ne vanno in giro a cercare i ghiri lì intorno, che quest’anno ce n’è un’invasione.
A fine serata tutti –eccetto i bambini- si beve grappa, scegliendola tra una decina di tipi, più o meno amabile, e si intona (si fa per dire) Quel mazzolin di fiori e Vecchio scarpone.In montagna ad agosto i tuoi figli scalano alberi e tu pensi che era giusto ‘sta mattina, o ieri al più tardi, che su quei ciliegi ti arrampicavi tu, che allora avevi i codini e le ginocchia sempre spelate. Ora ci sali ancora, dietro tuo figlio, e lo guardi da basso, con le braccia pronte alla presa e il cuore che va a strappi. (altro…)
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Il mio Cammino di Santiago
Non sono venute risposte, durante il Cammino di Santiago, e nemmeno le domande. Solo qualche conferma e molti semi di riflessione, che sento muoversi nella terra fonda, mentre non ci faccio caso, e ci saranno i giorni per bucare la crosta di fango che li divide dal giorno.
E’ stato un viaggio condensato, troppo breve per entrare davvero nello spirito del cammino, per allontanarsi con onestà dalla prova fisica. Ma lungo abbastanza per vedere che mi piace: mettere un passo avanti all’altro forzando gambe e fiato, forzando i piedi a posarsi dritti, le ginocchia a non cedere, i pensieri a non contare i chilometri di mezzo tra te e un punto d’appoggio.
Ho capito che i dolori e la fatica sono ondivaghi, e quando credi di essere al limite il corpo risponde, a sorpresa, con un passo. E un altro ancora.
Ho visto che anche sulla strada per la bella Santiago, mentre ti sforzi di purificare la pelle in tossine e sudare via i ricordi che fanno zavorra, anche lì t’incazzi se il cielo si addensa in pioggia, o se un cane di passaggio, vagabondo quanto te, s’ingoia il sacchetto di cibo messo via per pranzo. Poi ci ridi. Dopo, quando avrai la pancia piena.Capisci che anche lì c’è chi allestisce la solita sfida tra sé e una pletora di avversari immaginari e sciorina chilometri e tempi di percorrenza, come alle corse campestri che da ragazza odiavo e che mi costringevano a fare, non certo per la potenza della falcata ma per l’ostinazione di arrivare al fondo.
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E anche lì c’è chi parte capace di non tornare, folle d’entusiasmo e di santa incoerenza, alla ricerca dei pezzi di un puzzle che prima o dopo, per qualche strada, in qualche vita, combaceranno per forza. (altro…) -
Terra di confine
La vita in Marocco è sulle terrazze. Anche a Essaouira. Salgo su quella del Riad dove alloggiamo, il mattino presto quando il sole ancora vacilla dietro la liena frastagliata dell’orizzonte, a ridosso dell’Oceano.Mi siedo e lascio fare al mondo.Case bianche e finestre blu fin dove arrivo a vedere, minareti contornati in mattone, spiaggia lunga distesa dove s’accavallano onde basse, regolari come sentinelle. Palme che imprimono le prime ombre precise nei muri chiari della medina. -
Lezioni di viaggio #2 – Uno stile di vita alternativo e lo stupore dei bambini
4 Uno dei luoghi che proprio mi affascina del Marocco, e della fetta di mondo che ho visto, sono i villaggi berberi.Read More
Abbiamo visitato quelli che si abbarbicano nelle valli in torno a Demnate. Li abbiamo attraversati in auto fiutando la direzione perché i segnali sono pochi e quasi incomprensibili; siamo andati avanti e avanti, fino a quando non abbiamo trovato la strada interrotta per lavori. In quei due giorni mi è sembrato di essere sospesa in un luogo fuori dal tempo.
Mi dà una strana sensazone pensare a quanti modi diversi ci sono di vivere. Come tra queste case di terra che si confondono con il paesaggio, che devi forzare l’occhio per metterle a fuoco in lontananza. Dove la gente vive senza agi, spostandosi a dorso di mulo. Dove le persone che incroci per strada, vecchi, adulti e bambini, non ti negano uno sguardo e un sorriso. -
Lezioni di viaggio #1 – Due buoni compagni di viaggio non dovrebbero lasciarsi mai (cit.)
Ho quasi 40 anni e pochissime certezze. Ma di una cosa sono sicura: ci sono periodi della vita in cui si impara di più, più in fretta. Molto spesso, questi momenti particolari coincidono con un viaggio, con il fatto di chiudere la valigia e uscire, anche per poco, dalla propria zona comfort.Read More
E anche le due settimane in Marocco mi hanno insegnato -o mi hanno aiutata a ripassare – un po’ di cose.
Qui le prime tre. -
L’alba a Demnate
Svegliarsi e attraversare una città straniera a ridosso dell’alba è comunque e sempre un’emozione.
E sta tutta lì, in quel primo caffè consumato in piedi contro il bancone, mentre fuori il cielo comincia a schiarire a est, oltre le mura ocra e centenarie della kasbah.Dalla piazza di spandono grida, arrotate da folate di vento caldo, insieme a odore di frutta, insieme a odore di brace, insieme a odore di mimosa. Fiorita e piena in novembre.
Uomini si radunano con lunghi bastoni, in attesa del furgone che li carichi per andare a lavoro, a battere gli ulivi. Per la strada s’affacciano donne con la tunica e il velo, sfrecciano taxi come auto della polizia. In alto, enormi nidi di cicogne accovacciati sulle cime dei minareti. Nessuno straniero in giro, né quel mattino né i giorni a venire: solo gente del posto disabituata alle mode d’oltremare. -
Lettera ai miei figli su un viaggio in Marocco
Succedono viaggi in cui capitano molte cose. Che ti rubino il telefono, di stare una settimana (beatamente) off line, di prendere tre multe.
Che ti accompagnino a fare una ricarica come se ti fossi persa nel bosco, che ti offrano ospitalità.
Succede di vedere una luce bambina (l’infanzia della luce) dalla terrazza in cui fai colazione. Capita di trovare un caldo secco e ventoso in una città enigmatica di mezza montagna, e sull’Oceano un tempo di sole e piogge, veloce come fosse Copenaghen.
Di fare un pezzo di viaggio insieme a tua sorella, che era un bel po’ che non si calcava insieme lo stesso pezzetto di mondo, ed è bello.E di spiare vicoli e stupirti di come certi angoli di mondo siano esattamente, come te li aspettavi. Uomini a dorso d’asino impigliati in qualche ragnatela che intesse il tempo per fregare il calendario e la sua presuntuosa progressione numerica. Donne avvolte in veli che sputano fuori a malapena gli occhi, ma occhi che lasciano una scia di colla quando si muovono.
E bambini così spettinati e belli che ti viene voglia di passargli le dita tra i capelli, per una carezza piccola. Poi li senti ridere – è una cascata di vetri rotti- e capisci che così sono belli: stupiti. E spettinati.