Lei è rimasta lì un mese, per dare una mano alla mia nonna materna, nella sua penultima estate di vita. Così ha dato ai miei zii un po’ di respiro, visto che si sono occupati di lei, con una dedizione quantomeno rara, 24 h al giorno per 365 giorni l’anno.
Maria, dicevo, fa di lavoro la badante, o quello che le capita. Pulizie, baby sitter, roba così, a seconda delle richieste del mercato. Ha spalle larghe, pelle chiara e occhi azzurrissimi, un’età intorno ai 60. Ha modi timidi e l’atteggiamento schivo di chi si sente sempre di troppo, di chi è abituato a sedere spesso in un angolo, ai margini di una vita familiare in cui si è semplici coadiuvanti. Manovali nella cura di persone. Perché lavare o portare a letto o sorreggere una persona anziana richiede davvero energie fisiche e mentali. Forza. Muscoli. Braccia energiche. Allenate quasi quanto la pazienza.
Un pomeriggio eravamo nel cortile dietro a casa, al sole di agosto, tranquille perché nonna e bambini erano impegnati nel sonnellino del dopo pranzo. Così ho chiesto a Maria che cosa l’avesse portata in Italia dalla Moldavia, suo paese di origine.