A Obra, in certi –rari- momenti di pace, l’anno scorso, quando i bambini erano appesi dietro ai sogni del loro sonnellino, mi piaceva andare su in cucina e mettermi a scrivere. Era fine estate: spalancavo la finestra e gli scuri e assaporavo il silenzio luminoso del pomeriggio.
Le giornate erano per lo più fresche e assolate, preludio settembrino, e mi piaceva avere per compagnia il ticchettio delle mani sulla tastiera, il vento che frusciava tra i rami degli alberi vecchi davanti a casa e qualche lontano canto di un gallo che ha smarrito il senso del tempo.
Ancora più in là, dalla strada che scende a valle, echi sguaiati di giochi e risate.
Ancora più in là, dalla strada che scende a valle, echi sguaiati di giochi e risate.
Là di fronte, mi osservavano precisi e attenti i miei monti, il Pasubio di fronte mi strizzava l’occhio.
Era bello sentire che pace, e sognarmi scrittrice – che costa, sognare.
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Era bello sentire che pace, e sognarmi scrittrice – che costa, sognare.