Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

  • La scuola che insegna gli abbracci

    On: 14 Settembre 2016
    In: la mia vita e io, lettera
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    primo giorno di scuolaProvo a ricordare il mio primo giorno di scuola. Avevo un grembiulino nero con il colletto bianco e i capelli lisci fino alle spalle tenuti indietro con le forcine. Credo fosse quella mattina che ho fatto delle foto in cortile, una sulle scale con Chicca, il cocker, una con la tartaruga Camomilla.
    Sorridevo accucciata, un sorriso un po’ tirato, senza denti, una mano sulla schiena dura del carapace. Se avessi potuto, l’avrei portata con me.

    Quello stesso sorriso un po’ incerto, pericolosamente in bilico tra entusiasmo e timore lo aveva Lemuele l’altra mattina. Lo aveva nella foto in pigiama fatta nello stesso posto del primo giorno di asilo, sul mobile della cucina con dietro le piastrelle gialle, nella foto in cortile, insieme al cane, insieme a suo fratello che si mangia una mela e che sta per ricominciare l’asilo. Che lo bacia, quando si salutano, perché lo sanno entrambi che per la prima volta vanno nello stesso posto, e che un po’ si mancheranno.

    Della mia aula ricordo il banco in formica verdina con le gambe di ferro nero, la maestra davanti alla cattedra, la mamma che mi accompagna alla sedia. Non saprei dire, esattamente, le emozioni. Di sicuro il disagio di un ambiente nuovo con regole imprevedibili, la sensazione, solo intuita, di un percorso lungo e già tracciato come binari. L’orgoglio di essere finalmente grande, la paura di essere già grande, la confusa e fastidiosa percezione dell’irreversibilità del tempo – la ritrovo in Lemuele ed Eliandro che la sera, quando sono stanchi, mi si accoccolano addosso e mi dicono Voglio fare una magia e restare sempre piccolo, e tu sempre giovane.

    Quando mi ha abbracciata per saluto, mia madre, non ha pianto, non davanti a me almeno. So di aver desiderato intensamente che tornasse presto a prendermi. Ho pensato che fosse solo mia, tutta quella eccitazione, mia madre poteva stringermi forte e poi uscire tranquilla nel mondo che conosceva bene, in attesa di tornare ad aspettarmi lì fuori; era solo mia quella specie di elettricità che mi faceva credere di avere un frullatore al posto del cuore.

    All’ingresso della scuola di Lemuele ho risentito quell’odore, quello lì che ha solo il primo giorno di scuola. Chissà cos’è: libri nuovi, la plastica delle copertine, il tremolio che fanno tanti cuori insieme, pure quello deve avere un suo odore.

    L’ho visto entrare in classe trascinando lo zaino con le rotelle, guardarsi intorno, scegliere un posto, forzare un sorriso dentro un’altra fotografia – ormai rassegnato a convivere con la mania di sua madre di trattenere, nel solo modo che sa.
    L’ho visto cercare suo padre con lo sguardo, cercarmi la mano prima che andassimo via. L’ho visto fare gli occhi grandi, gli occhi suoi già grandi e adesso enormi, per ingoiarsi le lacrime, per non farle straripare.
    È riuscito, e sono riuscita io.
    L’ho abbracciato e gli ho mostrato di essere tranquilla, pronta a uscire in un mondo che conosco bene, e poi a tornare lì, a ripescarlo in quel mare di pesciolini con gli zaini grandi e gli occhi enormi, un mare di pesciolini con il mare che gli brilla tra le ciglia.

    Tra qualche anno saprà che mi sarei voluta aggrappare a quel banco e non andare via, perché il mondo che conosco meglio è quello che mi ha insegnato lui.
    Io ho saputo in quella stretta che a volte deve passare tanto, tanto tempo per capire un abbraccio, e lo capisci solo dentro un altro abbraccio.

    Un giorno lui saprà che l’altra mattina, tra quei banchi odorosi di prime volte, avevamo i cuori stretti dentro lo stesso frullatore.

    -Buona avventura, Occhi Grandi!

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