Una notte a più di 3000 metri dopo 1300 di salita. Lui che salendo, dopo molta fatica e qualche piccolo scoramento e con la meta già in vista mi dice “Mi sento il re del mondo”.Una notte in mezzo a marmotte e camosci, nel rumore di tuono che fanno le frane dai ghiacciai che ci sovrastano. Cercare la neve, camminarci scalzi. Al crepuscolo, leggere “La gabbianella e il gatto” sdraiati tra le rocce. Lasciarsi sorprendere da uno stambecco a pochi passi da noi, seguirlo su sentieri di pietra mentre la notte scende lentissima. Una partita a briscola dopo cena, ascoltare le avventure di alpinisti che sarebbero partiti nel cuore della notte per scalare Castore e Polluce. Immaginare come sarebbe, la faccia dei ghiacciai vista alla luce di una torcia, la paura che fa. Addormentarsi sotto coperte pesanti, abbracciati. Lemuele e io, la nostra prima vera avventura da soli. Immaginare le prossime, insieme, bellissime. Per sentirlo dire ancora “Mamma, mi sento il re del mondo”
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Montagna e il Re del Mondo (Istanti rubati a #luglio2020)
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Siamo creature dei boschi (Istanti rubati a #giugno2020)
Siamo creature dei boschi prestate alla civiltà.
Abbiamo linfa nelle vene e occhi color corteccia o foglia.
Di ramo in ramo saliamo sfidando la forza di gravità
e scendiamo fino al suolo sempre controvoglia.
Abbiamo il cuore tremante di certi cerbiatti,
la vista al buio della civetta,
ci dicono che siamo distratti
o facili prede di abbagli: ci incantiamo sui dettagli
che sfuggono a quelli che vanno di fretta.
Non ci manca la curiosità scanzonata del gatto,
il coraggio silenzioso del lupo,
non ci manca l’intuito e la prontezza allo scatto,
né l’audacia del balzo che sfida il dirupo.Siamo creature rupestri
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ma di tipo socievole,
ogni tanto ci pigliano per extraterrestri
per la nostra allergia alle regole.
Seduti a un banco, dentro a un ufficio o in un supermercato
sembriamo forse un po’ strani:
ma non puoi certo giudicare un pesce
dal modo in cui si muove tra i rami. -
Gelsi (Istanti rubati a #maggio2020)
In un principio d’estate
raccogliamo gelsi
nel viale di casa
dove abbaiano i cani.
Mentre nascosti tra i rami
ridiamo
-le bocche i denti macchiati
di viola-
sentiamo come sarà dura
domani
essere ancora e in una volta sola
così sporchi,
e contenti
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Tempo di compleanno (Istanti rubati ad #aprile2020)
Il giorno del compleanno è uno di quelli in cui, vuoi o non vuoi, si tirano le somme. O almeno si è tentati di farlo. E in un periodo così, per cui è difficile pure trovare un aggettivo, sono i dubbi a pesare di più. Pesano le cose che non so, che non sono chiare. Le cose che ho scordato e quelle che non ho mai capito. Quelle che mi pareva di aver compreso, ma poi. Pesa il timore per questa nebbia che a tratti inghiotte, a tratti indietreggia, che copre la visuale o la appanna, come in una mattina sulle cime, che guardi intorno e non ci trovi quel che c’era il giorno prima. Pesa certe sere la paura che ti s’infila nel piatto e sotto il cuscino, che fa traboccare il bicchiere. Pesa la fragilità, che per quanto la sai, non la sai mai abbastanza.Ma pesa anche un’altra cosa, che dall’altra parte della bilancia porta il piatto almeno in pari, almeno.
In questi giorni senz’aggettivo, pure da reclusa, con la voglia di abbracciare chi non posso, di organizzare un viaggio, di infilare i piedi in mare, ordinare un caffè al bancone di un bar, seduta sullo sgabello, tornare ai miei monti.
Nonostante tutte queste cose, non c’è giorno che io non apra gli occhi pensando che questa vita è proprio quello che – potendo scegliere – sceglierei. E questa sì è una benedizione.
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Lettera ai miei figli sulla paura (Istanti rubati #marzo2020)
Vorrei per voi giorni senza ombre, strade senza crepe pronte ad accogliere i passi. Vorrei cibo genuino, aria pulita, ambienti incontaminati e la promessa di nessun male. Vorrei tenervi al riparo da tutto, ma non posso. Quello che posso fare, è provare a insegnarvi che la paura è paura in ogni parte del mondo, che ogni madre vorrebbe per i propri figli quello che io desidero per voi. Che è parte di ciò che ci rende uguali. E umani. E vulnerabili.
Posso spiegarvi che il nemico non sono i cinesi untori o gli africani sui barconi. Che non è dall’altro che bisogna proteggersi, ma dal suo spavento, e dal nostro, quando prende il sopravvento. Non sono i muri e le barriere a salvarci, ma il rispetto. È la cura per il più debole, per il più esposto. Proteggendo gli altri, statene certi, ci prendiamo cura di noi stessi. E viceversa.
Credete alla paura ma non cadete nella rete di chi la strumentalizza per manipolarvi. Ogni paura ha uguale dignità, ogni persona in pericolo ha diritto di essere soccorsa e accolta.
È umano l’istinto alla sopravvivenza, senza quello ci saremmo estinti. Riconosciamone uno uguale in chi scappa dalle guerre, dalle bombe, dagli agguati, dalla fame, dalla solitudine. Prendiamoci la responsabilità delle nostre scelte e, vi prego, restiamo fuori dalla logica della caccia all’untore, di chi con ferocia punta il dito, dalla ricerca perpetua del capo espiatorio.Se ha un significato la paura, come il dolore, è insegnare riconoscimento e rispetto per la paura e il dolore degli altri. Altrimenti, ogni cosa è vana.Una società è un organismo che va protetto intero. Parte da un corpo, si allarga a famiglia, a comunità, a paese. Vi auguro di vedere lontano e sentire che ciò di cui siamo parte è infinitamente più grande di quello che vogliono farci credere.
Non costruiamo piccoli privilegi sulla pelle di chi non ha diritti.
Non rubiamo l’acqua che qualcuno beve per annaffiare il nostro giardino recintato di vanagloria.
Non è garantita la vita, nessuna vita. E queste sono per una madre le parole più difficili da pronunciare. La sola cosa da fare è celebrare la fragilità, senza diventarne schiavi.In questi giorni non facili io spero che impareremo tutti qualcosa, per lasciarvi un domani almeno un po’ più solidale, almeno un po’ meno cannibale. Che la minaccia di una epidemia -che non riconosce confini tracciati sulle mappe e non presenta i documenti alle dogane e se la ride dei fili spianti- ci aiuti a tenere a mente l’imprevedibile volubilità delle fortune umane.
Vi auguro la paura che serve e il coraggio che basta.
Vi auguro la lucidità per riconoscere il pericolo e le mosse per contrastarlo. Vi auguro di avere sempre abbastanza voglia di vivere da non abituarvi, mai, all’angoscia vostra e a quella altrui.
E l’equilibrio per restare in piedi, anche quando la terra oscilla, e la forza per allungare una mano a chi l’equilibrio lo ha perso – è il solo modo, credo, per sperare in una mano che prontamente si tenda verso di voi, se capiterà un inciampo.
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Viaggio in Georgia (Istanti rubati a #febbraio2020)
22 febbraio
Quando ho trovato un’offerta di volo per Tbilisi e ho deciso di approfittarne, senza quasi nemmeno saperla posizionare sulla carta geografica, mai avrei pensato di trovare tutta questa bellezza. È una città piena di mistero, angoli da scoprire, gente accogliente e buon cibo. Se vi capita, fateci un pensiero.23 febbraio
Affittato un fuoristrada, cantato viaggiando, visitato un’antica città scavata nella roccia, attraversato paesi fantasma, perso la rotta e ritrovata, assaggiato dei dolci che sembrano candele ripiene di frutta, cercato di tenere a bada l’ansia nei posti rari in cui funziona il wifi, arrivati a un monastero (javi) all’incrocio di due fiumi a quell’ora del giorno che affetta il cuore a fettine sottili e che ti lascia lì a domandarti se faccia più male o più bene e mentre sei lì che ci pensi il momento è passato, ma tu lo sai che non è passato davvero – tu lo sai che in qualche modo, da qualche parte, rimane.24 febbraio
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Abbiamo attraversato distese di sabbia colorata, strade sterrate, panorami deserti a 360 gradi, un campo s-minato. Siamo arrivati al monastero di Lavria, grotte scavate nella pietra e qualche monaco immersi in un paesaggio lunare. Sul confine con l’Azerbaijan, apparentemente alla frontiera sul nulla, due militari ci hanno chiesto da dove veniamo e, sentita la risposta, ci hanno chiesto se davvero la situazione sia così complicata, in Italia. E chi lo sa, avrei voluto rispondere. E ho pensato ecco com’è, per una volta, non essere figli della zona sicura e protetta del mondo.
27 febbraio
Conta il viaggio, più che la destinazione.Ma soprattutto contano le persone con cui scegli di andare.(Grazie Georgia) -
Tenersi i figli addosso (Istanti rubati a #gennaio2020)
La difficoltà di avere figli è che non hai più soltanto il tuo corpo di cui occuparti. Hai un’estensione di te in giro per il mondo, completamente fuori controllo. Come un vecchio re che si vede moltiplicate le terre da governare.
Se hai due figli, ad esempio, il mal di pancia può succederti in tre pance diverse. Hai sei possibilità di inciampare e molte più di prendere un’influenza, per dire.Forse per questo una madre vorrebbe tenersi i propri figli addosso, perché avere un corpo sparpagliato in giro mette agitazione. Forse per questo l’esercizio più difficile è imparare a lasciarli andare.
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Questo vi auguro: di risvegliare il senso di appartenenza alle meraviglie del mondo (Istanti rubati a #dicembre2019)
Natale 2019
Perché ognuno di noi sappia sentire l’unicità di ciò che lo circonda.Non bastano occhi, orecchie, naso o dita.Bisogna allenare il senso di stuporeper l’irripetibile bellezza di ogni cosa animata e inanimata.Ci accorgeremo allora della legna ammucchiata con curasotto una tettoia,di una finestra incorniciata di luci, di un caprifoglio sul muro,di un uomo in cerca di un cenno per dar sollievo alla solitudine,e persino di un fiore dentro la terra dura,in attesa di nascere.Vedremo nel cuore di chi ci vuole bene.Ci accorgeremo dei nostri passi uniti ai passidi chi attraversa con noi lo stesso pezzetto di strada.Questo vi auguro: di risvegliare il sensodi appartenenza alle meraviglie del mondo. Buon Natale.Perché ognuno di noi sappia sentire l’unicità di ciò che lo circonda.Non bastano occhi, orecchie, naso o dita.Bisogna allenare il senso di stuporeper l’irripetibile bellezza di ogni cosa animata e inanimata. Ci accorgeremo allora della legna ammucchiata con curasotto una tettoia,di una finestra incorniciata di luci, di un caprifoglio sul muro, di un uomo in cerca di un cenno per dar sollievo alla solitudine, e persino di un fiore dentro la terra dura, in attesa di nascere.
Vedremo nel cuore di chi ci vuole bene. Ci accorgeremo dei nostri passi uniti ai passi di chi attraversa con noi lo stesso pezzetto di strada.
Questo vi auguro: di risvegliare il senso di appartenenza alle meraviglie del mondo.Capodanno 2019/2020
Siamo fatti di storie. Storie che continuano e continuano, una dentro l’altra; questo 2019 era una? Erano 365? Una per ogni istante? Soltanto un pezzo senza principio né fine? La storia mia coincide a tratti con la tua, con quella di un uomo incontrato per caso in una città straniera, sulla riva di qualche fiume, in una radura ai piedi di una montagna. Forse mi ha fatto un cenno di saluto, quando ci siamo incrociati su una mulattiera stretta, sulla cengia erbosa che conduce in vetta. E in quel gesto ci sono tutte le cose che lui ha vissuto fino a quel momento, e le persone conosciute, perdute, amate, tenute, scordate. Nella mia storia, e nella tua, sono entrate anche loro.Siamo fatti della materia di cui sono fatte le nostre storie. Quelle di cui ci nutriamo: le ascoltiamo, le troviamo sulle pagine di un giornale, tra le parole dei libri, nei sogni la notte, al bar al mattino, mentre beviamo il caffè. Siamo ciò che di noi raccontiamo e anche la storia che vivendo intessiamo e che ci sopravviverà, che continuerà a camminare sulle gambe dei nostri figli, dei loro figli, di tutte le persone con cui abbiamo scambiato amore. Perché noi siamo storie e l’amore è il nostro propulsore più potente.
Auguro a tutti un 2020 di snodi importanti e felici, di giorni diversi e lievi che ci ricordino d’esser vivi, di parole facili da pronunciare, eppure vere, di fortunate corrispondenze – che nei libri sono forzature, ma che nella vita fanno la vita. Abitiamo il mondo con felicità imprudente e coraggioso ottimismo e aggiungiamo qualche riga felice alle pagine altrui. Ce ne verrà del buono perché, in fondo, siamo tutti nella stessa storia.Buon anno!
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Germania-Olanda: diario di viaggio (Istanti rubati a #novembre2019)
2 novembre
Quando si viaggia può capitare di dormire poco – appunto perché si viaggia, chilometri e chilometri di autostrade buie. Può capitare di svegliarsi stanchi e di trovare tempo brutto – pioggia battente, di quella che dopo un po’, a furia di camminarci sotto, ti senti dentro un uovo di ovatta umida. Può succedere che uno dei tuoi compagni di viaggio si svegli con la nausea, per esempio, e cominci a vomitare. Ecco, queste cose possono capitare a chi viaggia e a noi, in circa quarantotto ore, sono capitate tutte.
Eppure. Alzo gli occhi al cielo – bigio, tutto nuvole mobili e dense come galeoni fantasma – e faccio: oh.
Ed è un oh di soddisfazione e meraviglia. Perché un altro cielo a questo serve. A ricordare che non è difficile trovare nuovi occhi.
(E avere meravigliosi amici che ti aprono la loro casa certamente aiuta)
4 novembre
Il mio primo approccio con l’Olanda: Haarlem.
In un pomeriggio di luce straordinariamente autunnale, abbiamo parcheggiato, dopo vari tentativi, lungo un canale – un canale, una barca ormeggiata coperta di piante (una giungla! hanno urlato i bambini, o forse ero io). Poco convinti, abbiamo chiesto indicazioni a un passante. Sbagliato, ci ha detto.
Il parcheggio che abbiano scelto non andava bene per i non residenti.
Ma non si è limitato a questo. Quanto restate?, ci ha chiesto.
E senza domandare nulla in cambio ci ha offerto tre ore di parcheggio, pagando con la sua app.
Sono felice che vogliate visitare la mia città, ha spiegato vedendo la nostra faccia stupita.
Ecco cosa ci vuole a rendere il mondo un posto migliore: gesti di gentilezza praticati a casaccio.5 novembre
Assaggiare. Il primo kebab, nella Oude Zijde di Amsterdam. Un’arringa marinata nella piazza centrale di Haarlem. Un masala chai, ripensando alle strade terrose di Pushkar. Provare. Qualche parola in una lingua sconosciuta. Due minuti in una sauna. Un trenino da cui scorrono prati e pecore e prati.
Vorrei vi rimanesse questa curiosità, questa disposizione a osservare, a comprendere. La voglia di rosicchiare il mondo a morsi piccoli. Sapendo la fortuna di poterlo fare.
E così sentire come è piccola la porzione di universo che abitiamo. Minuscola e insignificante. E così preziosa.6 novembre
Rischio di innamorarmi di questo cielo acciaio caduto nei canali, dell’autunno aggrappato ai rami biondi, del sole che solo ogni tanto s’affaccia, per dire: Ci sono.
Rischio d’innamorarmi di questa città – un colpo di fulmine. Penso ci fossi venuta da ragazza; quanto tempo sarei stata a spiarla da una finestra – le strade d’acqua nella luce giallastra – l’avrei spiata muoversi piano e respirare, da dietro i vetri appannati, bevendo caffè bollente, ascoltando un Bolero. Forse, aspettando qualcuno.
Sarà per l’acqua che viene e che va, ma mi sembra il posto adatto, questo, per aspettare qualcuno.7 novembre
Voi
che siete il mio guscio di tartaruga, che siete il ritorno dopo la fuga.
Voi, il boccone di fiato dopo la corsa, voi il mattino, voi la vite che apre la morsa.
Voi che siete il balcone su cui s’affaccia il mio cuore, pieno di piante e di uccelli, e tutto è al contempo silenzio e rumore,
voi che, quando piove, siete gli ombrelli.
A voi dedico il viaggio, ovunque io vada,
perché senza voi
non avrei scampo nè pace – perchè senza voi: nè scarpe
nè strada.12 novembre
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Quasi tremila chilometri in auto, amici che ci hanno accolti con un abbraccio e aperto le case, un miscuglio di lingue, pioggia ma poca, Würstel e kartoffen, posti mai visti prima, tisane alla liquirizia, verbi da imparare camminando per le città, il grigio e il giallo, pane e salame e mele, il trenino per Amsterdam, un po’ di preistoria e il Neolitico, dank e dag, le playlist di Greta, i diari di viaggio la sera, waffle e cofee to go, le nuotate in piscina (e per fortuna non nei canali), la luce d’autunno, il mare del Nord, i miei avventurosi e meravigliosi compagni di viaggio.
Ecco: grazie. -
Diario di una settimana di volontariato in Grecia (Istanti rubati a #ottobre2019)
9 ottobre
Domattina parto per la Grecia.
Insieme a Greta, senza sapere bene cosa ci aspetti. Lo capiremo meglio nella riunione di domani sera, a Salonicco, dove ci diranno cosa faremo esattamente nei giorni prossimi nei campi per rifugiati. Mi sono preparata, in queste settimane. Al mio solito modo: leggendo storie (Pietro Bartolo, La frontiera di Leogrande, il bellissimo Appunti per un Naufragio di Enia -grazie Enza– Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda) e continuando nella mia personale mission impossible che è studiare inglese.
Se ho paura? No.
Se ho qualche ansia? Sì.
Quella che mi prende a lasciare i bambini per una settimana -Siete tristi?, gli ho chiesto, Per adesso no, mi hanno risposto, sibillini. E pure l’ansia di arrivare all’aeroporto di Bergamo senza perdermi, in tempo per il volo, nonostante qualche scherzetto che mi ha fatto di recente l’auto. (Ma Enaiatollah Akbari aveva dieci anni -forse- quando è partito a piedi dall’Afghanistan per arrivare a Torino. Posso farcela, no?).
Qualcuno mi ha detto che son scema. Qualcun altro ha sorriso e ha pensato: è scema. Alcuni amici mi hanno detto cose bellissime e immeritate.Qualcuno mi ha chiesto: Perché ci vai?
E chi lo sa. Per combattere la frustrazione dell’impotenza, credo. Per somigliare alla persona che vorrei diventare. Per dare qualcosa del tanto che ho. Per fare qualcosa con mia sorella. Per quella frase bellissima di Mahatma Gandhi: sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.
La nostra rivoluzione personale e minuscola comincerà domattina, quando sfrecceremmo alla volta di Orio al Serio, dopo aver chiuso il bagaglio contenente l’essenziale, portato i bambini a scuola, e preso un bel caffè. Anzi due.
Noi si va. Che forse, alla fine, mica serve sapere perché.(Se potete, aiutateci con la raccolta fondi al link qui sotto:
Non useremo il ricavato per noi, ma per dare una mano alle persone che incontreremo.
Se volete farci un piccolo regalo, condividete.
In ogni caso, augurateci buon viaggio)11 ottobre
Nei pressi di uno dei numerosi campi per rifugiati si sta realizzando uno spazio per accogliere attività dedicate a donne e bambini.
Oggi abbiamo contato e spostato innumeri scatoloni di pannolini, Greta ha fatto il cemento per costruire una panchina, io mi sono arrampicata sul ponteggio per dipingere il cancello di ingresso.
Stavamo per andarcene quando è arrivato un iracheno, avrà avuto una buona sessantina d’anni, trascinandosi un piede ulcerato che non stava nella scarpa (ha raccontato di un bombardamento e un bel po’ di operazioni, dopo). Le ragazze con noi lo hanno medicato e gli girava la testa. Gli abbiamo offerto un mandarino. Ci ha detto grazie a ogni spicchio con un sorriso così grande che io, per oggi, sono a posto così.
La nuova panchina è quasi pronta e il cancello è di un bel blu cielo.13 ottobre
Questa mattina abbiamo perfezionato le nostre abilità in cantiere. Greta ha continuato con la calce per le panchine che io ho poi scartavetrato, prima di passare a dare il bianco.
Nel pomeriggio abbiamo fatto ballare i bambini nel campo rifugiati. La maggior parte di loro, anche piccolissimi, erano lì da soli. A un certo punto sono arrivate due mamme con due bambini che avranno avuto un paio d’anni. Mostravano loro gli altri intenti a ballare, li incitavano a fare le mosse, li spingevano in mezzo al gruppo.
– Go go dance.
Insistevano, come se fosse importante che loro partecipassero a quell’ora di gioco. Come tutti i genitori, cercavano di fabbricare bei ricordi per i loro bambini. Un’ora di ballo in ciabatte sul cemento, in mezzo a tanti sconosciuti, in mezzo ai container che sono le loro case.
Go go, dance.
Io, nel frattempo, ho imparato le mosse per ballare Mister Policeman. Me le hanno insegnate i bambini.14 ottobre
Anche in un posto come un campo profughi si può piantare un rosmarino. Dipingere un muro di blu, fabbricare una panchina dove domani, forse, verrà qualcuno da molto molto lontano per riposare un momento.
Anche qui si può riempire un foglio di colore, appendere un disegno al muro del container chiamato casa, per renderlo più bello.
A volte sono cose davvero piccolissime a rendere il resto sopportabile. O persino un po’ più bello.15 ottobre
Questo pomeriggio abbiamo distribuito pannolini.
Non è semplice come sembra. Bisogna aver fatto prima un censimento dei bambini nel campo, conoscere le loro età per non sbagliare le taglie. Partire con una carriola stracarica, spingerla in salita. Bussare alle porte dei container.
– For babies.
Molti ti ringraziano con la mano sul cuore. Altri aprono la porta quel tanto che basta per lasciarti infilare il pacco di pannolini. Sorridono, o ci provano. Thank you. I ragazzini ti corrono appresso, vogliono salire sulla carriola. Chiamano, chiedono. Hanno voglia di dire.
Tornando verso l’appartamento, stanca, pensavo a quanto mi mancano i bambini, Federico, la mia famiglia. C’era un sole basso sulla strada polverosa, faceva caldo. Pensavo al divano su cui mi stravacco a casa, una serie tv, un libro vicino. Magari una birra.
Pensavo alla bellezza di rincasare la sera e a come sembri una cosa facile, la normalità. Una cosa tanto facile da non farci più caso.16 ottobre
Oggi sono stata con un’altra volontaria in un centro per minori non accompagnati e ho parlato a lungo con uno di loro. Viene dal Congo, è arrivato attraverso la Turchia per mare. Non ha nemmeno diciott’anni.
Tra le tante cose mi ha detto che è importante, per loro, poter passare del tempo con qualcuno. È una cosa che ricorderemo, mi ha detto, guardandoci e guardandosi intorno. Ha aggiunto È importante perché così non continuiamo a pensare alle cose che ci fanno paura.
Uscita da lì ho avuto voglia di piangere, ed era un pianto triste ma anche bello, credo, in qualche modo che adesso non saprei spiegare.21 ottobre
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Chissà chi lo ha detto: nella vita contano i giorni diversi. Quelli che si fanno ricordare, che escono dalla conta monotona della routine.
Di certo i giorni passati in Grecia appartengono a questa categoria. Me ne sono portata a casa di cose, un bel po’. L’energia contagiosa e coraggiosa degli altri volontari, ad esempio. Ragazzi e (soprattutto) ragazze giovani e già con le idee chiare, la mente aperta e libera, il genere di persone che fa ritrovare fiducia nel futuro dell’umanità. Coordinatori preparati, solidi; consapevoli che senza la loro presenza costante e continuativa in quei luoghi, nulla di quello che viene fatto sarebbe possibile – una vita spesa per la causa.
Mi sono portata a casa la luce di certi tramonti rossastri sul campo, dove centinaia di persone vivono dentro le tende e i container – tutta la fatica, il dolore, e quella luce bellissima; la stanchezza buona della sera, di quanto sai di aver fatto quel che è nelle tue possibilità. Mi sono portata a casa il sorriso sdentato di Mobina, il caschetto sbarazzino di Alisha, la dolcezza quieta di Mussummè, l’energia strabordante di Fatima, lo sguardo attento e incoraggiante di Josef -lui che incoraggiava me- e quell’uomo con un piede infetto, i tanti grazie che ci ha detto, il modo in cui li ha detti.
Mi sono portata a casa soprattutto immagini.
Due ragazze che camminano sulla strada accanto al campo riprendendosi con il telefonino mentre cantano una canzone lenta con una voce incredibile – incredibile, davvero. Le parole di chi mi spiega: mandano un video ai genitori per rassicurarli. Per mostrargli che stanno bene. Che non se la cavano poi male, tutto sommato.
E un’altra: la bambina che domenica scorsa, dentro il campo, indossava un tutù. Resterà nella mia mente per un bel pezzo, mi sa – sarà la mia bambina con il cappottino rosso in “Schindler’s List”. Non si trattava di un tutù sgualcito o raffazzonato, ma di un abitino di veli che pareva conservato con cura, pieno di paillettes luccicanti. Un tutù indossato per una festa o un saggio di danza. Chissà dove lo ha preso, mi sono chiesta. Se se lo sia portato da casa attraverso un viaggio indicibile, se sia arrivato tra gli abiti donati. Ho immaginato la madre che la aiuta a indossarlo, un braccio alla volta sotto le bretelline, per vederglielo sfoggiare su un polveroso battuto di cemento, tra ghiaia e sterpaglie, ballando sulle punte dei piedi al ritmo della musica che esce da una radiolina. Del resto, ho pensato, viene domenica anche in un campo rifugiati.
Grazie, allora. A Greta per essere sempre la miglior compagna di viaggio. Alle associazioni che mi hanno permesso di fare questa esperienza (La Luna di Vasilika – Onlus e Quick Response Team – QRT) e grazie a chiunque di voi abbia donato denaro, condiviso i nostri post o anche solo ci abbia pensate con un sorriso di incoraggiamento.
Sono stati giorni intensi e diversi. Di quel diverso che, davvero, allarga la vita.