Caro Natale Babbo
ti scrivo anche quest’anno
a cavallo di un anno che sta per finire,
ma per una volta non son qui a domandare:
ci sono cose che vorrei restituire.
Vorrei che la magia
che mia madre mi ha insegnato
la ritrovassero intera i miei figli
e imparassero a farla durare
come tempo supplementare.
Vorrei che la pazienza di mio padre
potesse diventar bottino
e io usarla come prezioso seme
per far fiorire il comune giardino.
Vorrei dare a qualcuno la dolcezza
di quell’infermiera
che in un momento di bufera
ha saputo fermarmi il pianto
con una carezza.
Vorrei che le valanghe di amore ricevuto
rendessero fertile
lo spazio e il tempo
avuti in sorte,
come un terreno dopo che ha piovuto.
Vorrei che la vita
mi insegnasse a non temere la morte:
non so se sarà vita eterna
viaggio per Chissà-Dove
o reincarnazione
ma vorrei riuscire a vedere
che non esiste separazione.
Vorrei che i gesti di gentilezza
praticati a casaccio
diventassero la regola
in tutto ciò che faccio.
Vorrei mettere a frutto il tempo
perché è il dono più grande che ho avuto
insieme a questo mondo ancora sconosciuto
insieme a questo cuore,
fragile insolente sprovveduto,
– sempre in cerca di nuovo splendore.