Alla bellezza annunciata di una cattedrale
preferisco la dolcezza inattesa di una tovaglia e un paio di calzini stesi in un vicolo,
il miracolo della simmetria di un aranceto,
la grazia scomposta di un fico d’india sul ciglio della strada.
Alla boutique con gli specchi ai muri
preferisco l’osteria di chi fa scempio di vino e ballate,
ai grandi corsi lucidati dal passaggio dei turisti scelgo la bettola dei rigattieri,
gli scogli dove pescatori solitari misurano la profondità del lancio
e la corrosività di un ricordo.
Mi piace il pane morsicato,
il grembiule della donna affacciata sul viale,
la tazzina di caffè lasciata vuota sul tavolino.