Non esiste un nome per tutto. Non c’è un termine preciso, affilato come un bisturi, per sezionare le sensazioni, né macchina fotografica che possa fermare e descrivere ogni stato d’animo.
Non c’è una misura per le emozioni, niente scala Richter o Mercalli che riesca a misurare quanto un uomo sappia stravolgerti il cuore, per esempio. Non c’è categoria o insieme di tag che sappia dettagliare il significato di un post. Non c’è un nome per ogni sfumatura di colore e forse ci sono stati d’animo che non possiamo capire perché non hanno un nome proprio. La vita è piena di cose senza titolo. O magari ce l’hanno in un’altra lingua, dove probabilmente mancherà qualche altra cosa. (Noi mica ce l’abbiamo la saudade o la weltanschauung, per esempio).
Fior di filosofi si sono interrogati nei secoli di quanto la lingua determini la realtà. E viceversa. Di certo ci sono forme di amore che sono impossibili da delimitare, da raccontare. Per questo mi sembra assurdo tutto questo gran parlare di quando e quanto una donna si innamori del proprio bambino.
Chi dice di amare il proprio figlio appena concepito, chi da molto prima che nascesse, chi da quando viene alla luce e chi sostiene che è un processo che dura secoli, un amore che cresce col tempo.
Probabilmente è vero tutto e niente. Certo, ogni storia è a sé. Ma l’affetto per il proprio figlio ha tante di quelle sfumature che è impossibile da raccontare e ancor più da classificare. Per me è stato un germoglio, all’inizio. Un seme duro e quasi doloroso come una pietra. Una noce fatta più di paure che di bene, di speranza prima che di amore. E un istinto di protezione che veniva fuori a ogni passo; quando sul tram qualcuno si avvicinava sbadatamente alla mia pancia sobbalzavo, e senza rendermene conto le mie mani erano sul ventre. Avevo paura di luoghi che normalmente non mi incutono nessun timore. Avevo paura che qualcuno potesse nuocere a quella promessa di vita che portavo in me.
Non era ancora amore oppure lo era? Non so dire. Qualunque cosa fosse è cresciuta nei mesi, era diversa ogni giorno, ma sempre con quel nucleo profondo e capace di assorbire tutti i miei pensieri, capace di prosciugarmi di qualunque cose non fosse per il mio semino-di-mela.
Il giorno del parto, in tutti e due i casi e in modo abissalmente diverso, è stata una lotta, LA sfida, è stata carne che esce dalla carne, sangue e affanno, terrore e desiderio acceso, è stata forse la sola guerra che si combatte per vivere, e non per morire. È stato il dolore più profondo e più fecondo, è stata la vita che grida alla vita. Era già amore? Forse.
Quando ho avuto il mio bambino tra le braccia, sporco di me, più affranto di me, nudo e vulnerabile come un naufrago, che cosa ho provato? Come posso dare un nome a questa battaglia vinta da due esseri che si incontrano la prima volta? E che allo stesso tempo per la prima volta si abbandonano? Che rinunciano al loro essere una cosa sola?
Non glielo so dare, un nome. Non lo trovo o non esiste. E non so chi sia in grado di farlo, perché è un sentimento lieve come un soffio di burro sul cuore e acuto come uno staffile di ghiaccio.
So solo che adesso, giorno per giorno, quel qualcosa senza nome è come un blob, un impasto che lievita e occupa piano piano ogni spazio di me, e nel trasformarsi MI trasforma. I miei figli mi conquistano ogni giorno e a tratti anche mi allontanano, per la paura che mi fa questo tipo di amore. Che non ha nome e non lo so riconoscere come qualcosa di già provato, perché è un’emozione che non sapevo esistesse.
Non mi interessa definirlo, né ingabbiarlo con le parole. Ma solo viverlo.
Il jolly è: inventare le parole che mancano, che poi è la specialità dei bambini (ad esempio mi piacciono Bodò e deliranza e sarebbe bello se davvero gli Inuit avessero tantissimi modi per raccontare la neve ).
Tags: alicenelpaesedellemeraviglie, amore, cose senza titolo, deliranza, inuit, jolly, lewis carroll, maternità, parole, parto, saudade, weltanschauung
Ho letto con gran sorpresa su Focus che nel periodo della gravidanza anche i nostri partner producono un ormone che si chiama prolattina che li rende più amorevoli.Non so se lo sapevate?!?!
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ne ho sentito parlare, sì. miracoli della natura! 😉
ciao arrivo dal blog di Lucy e mi sono persa tra le righe di questo post. Meraviglioso. Non esiste una regola rispetto all’essere mamma. Si arriva attraverso percorsi diversi.
Io non sono una mamma chioccia ma credimi stravolgerei il mondo per i miei figli, in particolare per l’ultimo che è arrivato con gli annessi e connessi in età matura! Buona domenica
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grazie per essere passata di qui e per esserti soffermata su questo scritto. molto lieta di fare la tua conoscenza.
a presto
È’ amore a 360 gradi. Non c’è dubbio. Ecco io sono una di quelle mamme che lotterebbe contro il mondo intero per i propri figli….sono una di quelle mamme che non abbandonerebbe mai la speranza….un po’ come i genitori di Sofia….che che se ne dica….ecco credo proprio che io mi comporterei come loro…..chiederei aiuto al mondo intero per i miei figli…..x che li amo più di qualsiasi altra cosa la mondo.
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sì, non credo che ci siano modi diversi di essere madre se non lottare fino all’ultimo residuo di forza per i figli, anche quando credevi di averla finita tutta
Il bello dell’essere mamma è stupirsi spesso dell’amore che proviamo verso i nostri figli, della sua intensità e della sua unicità.
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già, fa parte del kit mammesco. e a pensarci bene lo riempie quasi completamente 😉
e se la parola fosse semplicemente VITA…..slegata da ogni misero condizionamento mentale e piena solo dell’amore che sappiamo????
vitavitavita….amoreamoreamore
un bacio elo
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ma quanto mi piace, vista così! semplicemente Vita.
grazie
ciao FIOLY,come sempre i tuoi post sono favolosi,li leggo tutto di un fiato,mi commuovo tutte le volte!!!continua cosi…un abbraccio e un GRAZIE…
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no Annie, mille volte grazie a te. i tuoi commenti carichi di affetto mi fanno bene, davvero.
un abbraccio grande
Proprio ieri sera, accompagnando Gabriele verso il sonno profondo, ho sentito il cuore esplodere di amore. Un sentimento mai provato prima, che, come dici tu, si sta espandendo come un blob. Lo lascio fare… 😉
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sì dai, crogioliamoci in questo blob… cosa c’è di più bello!?
Beh… che dire… effettivamente non ci sono parole per descrivere ciò che proviamo per i nostri bambini, quel senso di appartenenza nonostante ormai non si sia più -per lo meno apparentemente- tutt’uno.
Io ho avuto una pessima gravidanza e inconsciamente ho tentato -invano- di non affezionarmi troppo a quella creatura che cresceva dentro di me, perchè avevo paura di perderla. Ho cercato di concentrarmi sul dolore che provavo, tentando di dimenticare a cosa fosse legato. E’ stato un amore profondo, ma che si è costruito col tempo e ora mi pervade in un modo così totalizzante che davvero fa paura!
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io credo che non sia da tutti riconoscere i propri sentimenti contrastanti come hai fatto tu, soprattutto in un momento tanto delicato come la gravidanza. vuol dire, io credo, aver fatto un gran lavoro su se stessi ed essere poi pronti ad accogliere quello tsunami di emozioni che viene dopo, come e quando vuole lui
grazie per le tue parole 🙂
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ma garzie a te per averle apprezzate
Hai ragione, è davvero difficile definire il sentimento così speciale che ci lega ai figli… questo amore così pieno, stravolgente, incondizionato… pena e delizia. Uno spunto di riflessione molto interessante.
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pena e delizia, sì. molto più complesso di come lo si immagina “prima”…
grazie Marilu
(sai che mi sono sognata qualche notte fa di fare delle creazioni come le tue? vuol dire che mi hanno colpita parecchio…)
Allora lanciati, sono facili, ma danno soddisfazioni!
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sì sì, mi sa che il prossimo ritaglio di tempo lo impiegherò così!;)
Wow mi sono commossa leggendo questo intensissimo post.
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Sara grazie, e complimenti per il vostro sito pieno di progetti originali!