Ottobre in campagne esibisce l’opulenza di due tondi che sono lune piene, bastoni nudi che reggevano pomodori, una pergola azzurra sotto cui sdraiarsi per veder nevicare gli alberi.
Ottobre in campagna è rumore di zoccoli sul battuto davanti alla stalla, fischi di corvi e tosse di bambini infagottati nelle prime giacche pesanti.
Sono chiome d’acero esplose di rosso in un mazzo di ore, come se nella notte le avesse accese una fiamma.
È la terra che si mette a riposo: saluta con un vestito a festa e si congeda sotto una coperta che crocchia e svolazza, sottana di donna corteggiata dal vento.
Questo mese è stato di attesa, quasi un preludio di letargo, o una prova di semina che s’annaffia a speranze e piccoli scongiuri che diventano mantra.
È stata camminate al fiume e serate lente davanti alla ricchezza sottovalutata di una stufa accesa e una cane che ci sonnecchia vicino.
È stato l’odore dolciastro di zucche, mio figlio che scrive la prima volta il suo nome, è stato la preparazione di un viaggio, che è viaggio anch’essa. È stata la notizia che “Ovunque tu sarai” farà un viaggio anche lui, e al principio dell’anno che viene sarà in Norvegia.
È stata la dolcezza di piedini di bimbo dentro calze antiscivolo, sul tappeto dove la sera leggiamo le fiabe.
Resistono rose rosse accanto a foglie in bilico.
(Noi tra un paio di notti si parte alla volta di Porto, per un tour nomade nella terra dei Lusitani.
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