Da quanto non la vedevo. Forse un anno. Arranca su per il prato, gambe abbronzate e una coda malfatta. Si trascina dietro una mezza risata, ma si vede che qualcosa non va: oggi è il giorno che parte. Fa così da quando è piccola, era sempre triste al momento di tornare in città.
Adesso s’aggira sul bordo della valletta, e con la luce che l’accende da dietro è più minuta, un po’ più sottile. Sta trafficando con la macchina fotografica, gira le ghiere come ne sapesse. Ma io so che improvvisa. Le piacerebbe fermare l’istante, far finta di non dover partire. Fermare i raggi bassi che le si accucciano sulle spalle dritte, sulla maglietta stropicciata.
Le piacerebbe, in un click, stanare l’antidoto alla malinconia. Avrebbe voluto saperlo fare già da bambina, mentre quelli coi suoi anni navigavano l’attimo senza badare alla rotta. Lei no, s’accaniva sul dopo, intravedeva lo spegnersi delle luci finita la festa. Avrebbe dato tutti i giocattoli e i libri per tenersi per sempre un Natale.
Saltella nell’erba e si sdraia: guarda lontano poi zumma su Cima Carega. Le piace il controluce e non sa le distanze. Mi gira intorno, lo so che adesso arriva. Non è mai partita senza venire da me. Sospira, fa un conto con le dita delle mani, come per tenere a mente qualcosa. Passa un tordo, armeggia veloce per fermargli il volo, ma è tardi.
Ecco che arriva. Mi getta le braccia al collo; si sfila i sandali logori e mi si arrampica addosso a piedi nudi. Non è più ragazza, ha perduto da un pezzo l’agilità di gatto. Si appollaia nell’incavo del mio tronco e con mano leggera accarezza la mia pelle rugosa. Corteccia sbrecciata e rami che andrebbero potati: anche un melo invecchia, a suo modo. Non dice niente ma io lo so che sta pensando agli anni andati, quando si rifugiava tra le mie fronde per vezzo o per gioco. Quando s’arrampicava ai rami più alti per misurarsi il coraggio.
Pensa a questo, mentre si scorre tra le dita le foglie. E pensa che oggi riparte. L’aspetterò come aspetta un cane fedele, perché in questa valle aspra e angolosa abbiamo entrambi le nostre radici.
Vorrebbe restare ancora, non lo dice ma io lo so. Aspettare almeno un altro tordo per fermargli il volo. Ma è tardi.
Tags: albero, dino buzzati, il sgereto del bosco vecchio, montane, radici, tempoMa due o tre volte, quella notte, ci fu anche il vero silenzio, il solenne silenzio degli antichi boschi, non comparabile con nessun altro al mondo e che pochissimi uomini hanno udito. Dino BUzzati