Esco scalza attraverso questo autunno che mi crocchia sotto i piedi. È un autunno nuovo, come nuova è la consapevolezza che mi serve concime per pensieri e una bussola che dia indicazioni di massima -là nasce il sole, là galleggia l’equatore- e non un rosario sgranato di nomi di strade, nomi di piazze, nomi di santi e di navigatori.
Nuovo è il correttore per travestire le occhiaie da segni d’espressione, quelli che non t’invecchiano ma ti rendono interessante, nuova è la Lonely Planet che sta nella borsa e mi promette che parto presto, che c’è ancora tempo per immaginare, prima di salpare, c’è ancora tempo per costruire un’idea che anticipa il viaggio, ma che è già viaggio anche lei.
È nuova, ma non più così tanto, questa soddisfazione quieta che mi sveglia il mattino e mi accompagna sul treno, dopo che ho lasciato un nido di corpi piccoli addormentati e gorgoglianti di sogni e attorcigliati tra le coperte e piume di cuscini e un braccio ancora allungato dove è rimasta la traccia della mia sagoma sprofondata sotto il lenzuolo.
È nuova ma è vecchia di sempre questa smania che mi prende in autunno, un po’ come in primavera –il fascino delle mezze stagioni- ma che ogni anno mi sembra più accesa, più mia, più rossa e arancione.
Sarà che l’autunno è nuovo ogni volta e io pure, per volergli somigliare, mi sento cadere insieme alle foglie, ma è un cadere che ha quasi niente di triste e tutto di lieve, come lieve è il volo, spostato da brezza sottile.
Sarà che l’autunno è nuovo ogni volta e io pure, seppure con una fame di leggerezza che è la stessa da sempre, più annosa del mondo.
Esco scalza e nuova e con una bussola antica e mi immagino in volo, navigante a ridosso di un cielo gentile, che visto da dentro ha molto da dire.
Esco scalza e nuova e con una bussola antica e mi immagino in volo, navigante a ridosso di un cielo gentile, che visto da dentro ha molto da dire.
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