Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

Emilio

On: 26 Gennaio 2015
In: la mia vita e io, viaggi
Views: 3580
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emilio e federico

 

Mattino di gennaio in montagna. Un gennaio un po’ anomalo, a dirla tutta, che come clima ricorda più un marzo clemente. Dopo una buona colazione, Federico e io ci avviamo a scoprire i dintorni di Chamois. Sfidiamo una strada lastricata di ghiaccio, io batto un paio di culate,  nonostante il mio sangue montagnino, per via di stivaletti non proprio adatti a una spedizione antartica e l’amica Nikon che mi pencola al collo.

 

suis, chamois
suis, chamois
suis, chamois
suis, chamois
suis, chamois
suis, chamois
suis, chamois

 

Arriviamo alla borgata Suisse (o Suis) , la più antica di Chamois. Mi basta un’occhiata per farmi sopraffare dalla magia del luogo. Poche case in pietra, piccoli cortili,  profumo di legna che brucia nei camini.  In un delirio di sogni a occhi aperti mi immagino in una di queste cucine con un caffè nero lungo e qualcosa da scrivere.

 

In un attimo sono ostaggio di quella smania che mi prende, quando sono in un posto nuovo che mi piace, di esplorare ogni anfratto, ogni centimetro di terreno.  Ci si fa incontro un gatto,  mi si struscia sulle gambe, ci affianca. Secondo me ha qualcosa da dirci. Lo seguiamo e ci porta dritti davanti a casa di un anziano signore coi capelli bianchi e lo sguardo acceso. Sembra uscito da un film fantasy, mentre con qualche pezzo di legna appena tagliata sotto il braccio, inveisce contro la nebbiolina che invade la valletta. “Tempo selvatico!” ripete dimenando in aria la mano libera. E senza troppi preamboli ci invita a entrare in casa sua. Senza troppe formalità accettiamo e un attimo dopo siamo nella sua cucina piccola e calda accanto alla stufa.

 

suis, chamois
suis, chamois
suis, chamois
suis, chamois

 

Dai ritagli appesi al muro capisco che in zona Emilio è una celebrità, per essere da molto anni il solo residente e resistente in quella borgata.  Tutta una vita lì a fare il contadino e realizzare gerle e cesti da artista.
Ci racconta poi molto dei suoi tempi andati e quando ci dice di non aver mai visto il mare,  mi viene voglia di farlo salire in macchina e portarcelo, anche solo un paio d’ore. Ma mentre racconta della luce della sua terra, di quella borgata abbandonata ma generosa,  della fisarmonica da suonare per mandar via la nostalgia, gli occhi gli si accendono ancora. E a guardarci dentro sì, si vede l’oceano.
Grazie Emilio.

 

Il jolly è: guardare il mondo con gli occhi (saggi) d’altri.
E soprattutto: guardate la storia di Emilio, un documentario di Joseph Péaquin, qui.

 

emilio

 

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One Response to Emilio

  1. […] Loro mettono i box, tu porti la gente in giro. Sarebbe mica male, no? Abbiamo parlato a lungo con Emilio, nel calduccio della sua cucina, ma questo merita un post a […]

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