Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

  • Istanti rubati a #novembre2017 (viaggio in Sicilia in pillole)

    On: 11 Dicembre 2017
    In: istanti rubati, viaggi
    Views: 2162
     1

    Sicilia 2017Viaggio in Sicilia in pillole – una al giorno

    Giorno 1
    Palermo – Cefalù

    Arrivare a Cefalù dopo un viaggio rocambolesco il giusto, arrivarci mentre il giorno conicincia a virare verso sera, con le onde che sbuffano e s’arricciano sulla sabbia chiara.
    Parcheggiare la macchina distante dall’appartamento e carichi, molto carichi, camminare a fatica riflettendo sul fatto che si cerca di viaggiare leggeri, e invece. E invece.
    Fare l’abitudine in poco tempo a una luce nuova, che c’è solo qui, mi ha detto un’amica. E a quella brezza tiepida che solletica e scompiglia, quella brezza che sempre, mi sembra, è presagio di innamoramento.
    Se c’è una lezione di viaggio, oggi, è: viaggia leggero. Punta all’essenziale.

    Giorno 2
    Castelbuono – Petralia Soprana – Cefalù

    I pensieri di oggi sono solo per te.
    “Di certo c’è un posto dove la legna non si finisce e il fuoco non si spegne”

    Giorno 3
    Pollina – Zafferana Etnea

    “Dev’esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto dove non soffriremo
    e tutto sarà giusto”
    Siamo partiti dal mare e siamo arrivati alle pendici dell’Etna, attraversando paesaggi nella nebbia, partendo dall’estate e lambendo l’inverno con i suoi strascichi brulli e tornando all’autunno infiammato di giallo.
    Labile come le stagioni sento in questi giorni la vita e sempre sempre sempre l’antidoto mi sembra uno, banale eppure senza alternative: stringersi alle persone che amiamo.
    Strada dopo strada, stagione dopo stagione. Anche quando folate fredde mescolano nuvoloni in alto, anche quando il vento confonde gli occhi di sabbia cinerina: sii lava capace di regalare lapilli di luce nella notte.
    Onora la vita, la lezione di oggi.

    Giorno 4
    Etna – Aci Trezza

    Oggi abbiamo camminato dentro una nuvola su un cratere dell’Etna, c’era una pioggia sottile come un diffuso aerosol. Alla distanza di dieci passi le persone non erano persone ma sagome appena più scure della nebbia.
    Ho mangiato biscotti duri che quasi mi hanno rotto un dente, prima di arrivare a questo posto senza tempo che è Aci Trezza – tutto il suo tempo sta dentro le pagine di un libro.
    I bambini si sono travestiti da fantasma e scheletro e sono entrati in tutti i locali del paese -tutti!- racimolando un bottino niente male. Mi sembra che la morale somigli a questo: strappare un sorriso con quello che fa paura, riempire di caramelle le tasche di un fantasma.
    E dentro la nebbia, allungare la mano e trovare chi vuoi tu. A dieci passi da te: la persona che vuoi tu.

    Giorno 5
    Aci Trezza – Siracusa

    Ad Aci Trezza ci siamo fermati sul molo vicino a un pescatore, mentre nuvole scure inghiottivano tutto e raggi di sole le bucavano come fili a piombo, facendo brillare scampoli di mare.
    Stava per andar via, quel pescatore – la moglie lo aveva avvertito che sarebbe venuto a piovere e ormai la previsioni non sbagliano. Invece si è fermato per far vedere ai bambini come si pastura e come si tiene la canna. Perché, per quanto ho visto, in Sicilia i bambini sono il futuro di tutti, e non una grana di chi li ha fatti.
    Mi è venuto in mente quel detto – Se vuoi salvare un uomo non regalargli un pesce, ma insegnagli a pescare – mentre grosse gocce hanno cominciato a cadere e ci siamo salutati come vecchi amici, noi e il pescatore, prima di correre al riparo.

    Giorno 6
    Siracusa

    Non c’è trucco non c’è inganno.
    A Siracusa vicino al Duomo oggi c’era un prestigiatore. Le sue mosse abili hanno incantato i bambini (come poco dopo un topo natante in mezzo ai pesci).
    Se credete nella magia, la magia vi trova sempre, ha detto il mago.
    Ecco dove oggi ho trovato la mia: negli angoli di pietre crude e imbiondite dal sole, vestite di rampicanti e piante grasse. Nel profumo di pasta alla norma annaffiata di bianco della casa. Nelle scommesse di fronte a un gatto che fa l’agguato al piccione (il gatto ha perso). Negli strappi di cielo tra i vicoli asfittici, finalmente azzurro dopo le piogge dei giorni scorsi.
    E nella telefonata di una persona gentile che mi ha detto, con altre parole:
    storie.
    Le storie sono la magia.

    Giorno 7
    Siracusa – Noto – Marzamemi

    Il trucco più inviolabile è quello che indovini e non vedi
    Noto è una granita al gelso all’ombra di una piazzetta, è la tenerezza spigolosa delle pietre gialle contro il blu del soffitto.
    Noto è un incontro -dopo anni- con un’amica. Nel tempo di mezzo, abbiamo fatto bambini e momentaneamente sospeso le gite senza altri passi a cui badare, senza mani piccole da tenere tra le mani. Ma restano i viaggi di allora, affidati alla geografia contraffatta e inalterabile della memoria.
    Dopo, un cielo improbabile su una distesa di ulivi e agrumeti, e ancora il mare. Il mare al tramonto, il più struggente dei mari su tutte le mappe.
    E lo spazio e il tempo non sono altro che un trucco -il più abusato e impenetrabile- da prestigiatore.

    Giorno 8
    Marzamemi – Modica

    Lasciati andare.
    Abbiamo lasciato Marzamemi che è il verso di una poesia che ho dimenticato, abbiamo attraversato una campagna di muretti bassi, fenicotteri, piante grasse e blu dove arrivano gli occhi.
    Ci ha accolti Modica con la fatica delle sue salite e gli scorci che tra due muri svelano universi di pietra.
    A metà di questo viaggio, ho trovato il mio mantra: Niente è perfetto e nulla è insuperabile.
    Lasciati andare!

    Giorno 9
    Modica – Ragusa – Realmonte

    Dalla Modica di Quasimodo all’Agrigentino di Pirandello, sostando tra le strade bianche di Ragusa, ascoltando Nirvana e Cure e leggendo -sui sedili dietro- Geronimo “Estinto”, sempre accompagnati da stormi multiformi di uccelli migratori.
    Ed è subito sera
    (Ma domani è un altro giorno)

    Giorno 10
    Realmonte – Scala dei Turchi e Valle dei Templi

    La piazza sul mare
    La Scala dei Turchi e la Valle dei Templi, prima col sole e poi con la pioggia – che palle la pioggia, correre e ripararsi sotto un ulivo, abbarbicati al tronco – ma dopo!
    La luce nuda spalancata di fronte.
    E tornare in un paese apparentemente anonimo ma poi dalla piazza centrale c’è una vista, una vista che ti ricorda qualcosa che hai perso.
    Qualcosa che avevi e che hai perso.
    E chiedi ai passanti -che non passano in verità ma se ne stanno assiepati a parlare- gli chiedi Per favore, una panetteria. E loro non ti dicono dov’è, si incamminano insieme a te.
    Non ho fretta, ti dicono. (Ecco cos’era che avevi e che hai perso).

    Giorno 11
    Realmonte – Marzara – Marsala
    Oggi non mi servono altre parole che queste. Parole che, come dice un’amica, hanno il potere di straziare il cuore.

    Una notte di giugno caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna d’olivi saraceni affacciata agli orli d’un altipiano di argille azzurre sul mare africano.
    Luigi Pirandello

    Giorno 12
    Marsala – Saline di Trapani – Castellamare – Scopello Visicari

    (Poi siamo arrivati in un posto incredibile…) Velocità di crociera su una strada non proprio scorrevole, la campagna che si srotola intorno coi suoi gialli, le viti e i pennacchi, nuvole bianche e panciute come dirigibili erranti.
    I bambini sui sedili dietro chiacchierano senza litigare, il sole batte sul mio finestrino e mi scalda mezza faccia. Stormi di uccelli si aprono a ventaglio laggiù. Tu guidi, io scrivo, l’autoradio manda una musica bella.
    Andiamo. Senza sapere precisamente dove.
    La semplicità del bene.

    Giorno 13
    Scopello Visicari- Riserva dello Zingaro – Erice

    Questa mattina era estate.
    Un’estate regalata in un giorno di novembre in cui era prevista pioggia.
    Abbiamo fatto una decina di chilometri tra rocce e mare, tenendoci per mano di fronte ai dirupi, dove la staccionata non c’era.
    Oggi pomeriggio al castello di Erice era autunno inoltrato. Con il vento che alza mulinelli di foglie nella luce interrotta dalla sera. Un vento che ulula, lucida gli occhi e che quasi spaventa. Pure me, che il vento lo amo moltissimo.
    Così ci siamo stretti un po’, per non volare via.
    È sempre un tenersi vicini, quindi.
    Stagione dopo stagione.

    Giorno 14
    Scopello Visicari – San Vito Lo Capo

    Incontri.
    Questa mattina ho fatto una passeggiata solitaria e mi ha accompagnata un cane randagio. Bianco con le macchie marroni e gli occhi un po’ tristi. (Ma forse tutti i cani hanno gli occhi un po’ tristi).
    È venuto a prendermi davanti alla porta di casa e mi ci ha riaccompgnata. Preciso come un fidanzato ai primi appuntamenti. Mi camminava davanti, faceva finta di disinteressarsi a me annusando in giro, e intanto mi aspettava. Come un innamorato troppo timido per dichiararsi.
    A un certo punto i cani erano due e mi hanno scortata girandomi intorno e frugando l’odore dei miei passi.
    Avevo letto cose di spiriti guida, di animali che sanno qualcosa di noi. Ricordo poco.
    Non importa. Quello che importa è che da questo viaggio mi riporto a casa il ricordo anche di lui.
    Del mio amico cane.

    Giorno 15
    Scopello Visicari – Palermo

    Bello partire per ritornare.
    Bello tornare, ma ripartirei.
    Un pezzo di Sicilia che ci terremo nel cuore -insieme a molto, molto altro- è  l’ultima casa che abbiamo abitato prima di tornare. Sospesa tra rocce e mare, circondata da pini, olivi, fichi di india e animali gentili. Una baita di montagna dove arriva l’odore di salmastro e un sentore di vento africano.
    Il penultimo regalo di Sicilia.
    L’ultimo regalo è stato, come al ritorno da ogni viaggio che si rispetti, la dolcezza un po’ malinconica e struggente di tornare a casa. Alla stufa accesa nella nebbia di novembre, vicino a cui sedersi e pensare: è stato bello.
    Altrochè, se è stato bello.

    In numeri

    4 viaggiatori, 1850 chilometri percorsi, 14 giorni di viaggio, 4 pieni dell’auto, 9 diverse sistemazioni notturne, 1 cambio dell’ora, svariatissimi colpi di tosse, molti incontri, un discreto mal di schiena, 3 libri e una guida, 6 bagagli, 1 crema viso e 1 ciabatta perse.

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  • Istanti rubati a #luglio2017 (Di cosa abbiamo bisogno)

    On: 2 Agosto 2017
    In: istanti rubati, la mia vita e io, lettera, viaggi
    Views: 3728
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    Estoul, Il richiamo della forestaAbbiamo bisogno di selvatico, della strada sterrata che si inerpica fino alla radura, dove non arriva l’asfalto con la sua simmetria di strisce bianche; delle tracce lasciate di notte da una volpe che si è avvicinata al paese; del grido fischiante di un nibbio o di quello notturno della civetta. Abbiamo bisogno del telefono che non prende, dell’auto che fino a là non arriva, dell’odore di resina che sporca i vestiti dei bambini mentre s’arrampicano sugli alberi.

    Le ho sempre sapute queste cose e le ho ripensate sulle strade sopra Estoul, mentre con mia sorella e i bambini si andava al Festival della Montagna, una bellissima festa tra i boschi, dove il dress code prevedeva piedi scalzi o scarpe da trekking e k-way per la pioggia.

    Abbiamo bisogno di parole, quelle dentro e quelle fuori dai libri. Ma devono essere parole piene, concrete. Come spiega Paolo Cognetti, devono essere i nomi delle piante che crescono ad alta quota, i verbi esatti per raccontare un’arrampicata, i luoghi geografici che descrivono un cammino. Devono fare un suono preciso, avere un peso specifico.
    Un mondo giusto è fabbricato con parole esatte.

    Abbiamo bisogno di incontri. Non quelli distratti alla fermata dell’autobus, quelli fatti di fretta alla cassa del supermercato – tutto bene da voi, sentito oggi che caldo, che tempo, e ieri quella grandinata.
    No, incontri: nuovi o vecchi, questo non importa, importa che ci sia la voglia di dividere qualcosa, oltre alle frasi sul clima inclemente, su chi scende o non scende alla prossima fermata. Può essere passarsi una borraccia o consigli di lettura, ballare in un prato mentre un gruppo fa le prove del suono per il concerto della sera, immaginare un progetto nuovo, ambizioso e visionario, prestare le bolle di sapone a un bambino.
    Alzare la faccia insieme per sentire le prime gocce di pioggia in fronte.

    Abbiamo bisogno di passi. Non dall’ascensore alla porta dell’ufficio, o dalla camera al bagno. Bisogna pestare erba, farsi strada tra i rovi e le spighe, sentire sassi sotto le scarpe, arrivare in cima alla salita, il cuore in gola, i muscoli molli. Sentire la potenza di questo corpo che scordiamo d’avere, sentire piena la forza e l’immensa grazia d’avere gambe affidabili.
    Gambe e cuore che ci portino: cos’altro conta?

    Abbiamo bisogno di semplicità. Roba facile come pane con dentro qualcosa che dia gusto, come acqua di fonte o magari un buon vino. Cose così.
    Sentire la mano dei miei figli dentro la mia, una per parte, mentre andiamo.

    Che altro serve. Tempo. Solo questo: tempo senza appuntamenti se non con se stessi, con la voglia di sedersi in un prato, appoggiare la schiena ad un albero. E stare.

    Come scrive Thoreu abbiamo bisogno di inesplorato. Vorremmo arrivare ovunque, vedere tutto, oltrepassare ogni barriera o confine. Scavare nei recessi terrori del sottobosco per scoprire una colonia di formiche, giungere a nuoto all’ultima isola, arrivare alla vetta un gradino sotto il cielo. Vorremmo arrivare ovunque ma ci serve sapere che resta qualcosa di inarrivabile. Ne abbiamo bisogno.
    Qualcosa da pensare soltanto, con il cuore che ci brucia in petto durante la salita o che se ne sta quieto in fondo agli occhi mentre con la schiena appoggiata al tronco guardiamo laggiù.

    Dai boschi di Estoul mi sono innamorata, una volta ancora, dell’inesplorato – che resiste.

    “Sono penetrato in quei prati la mattina di molti primi giorni di primavera, saltando da una duna all’altra, da una radice di salice all’altra, quando i selvaggi fiumi della valle e i boschi erano bagnati da una luce così chiara e luminosa da svegliare i morti, se si fossero assopiti nella tomba come alcuni immaginano. Non serve prova maggiore dell’esistenza dell’immortalità.” Henry Davide Thoreau, Walden

     Estoul, Il richiamo della forestaEstoul, Il richiamo della forestaEstoul, Il richiamo della forestaEstoul, Il richiamo della forestaEstoul, Il richiamo della foresta

     

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  • Istanti rubati a #maggio2017 (Non sono i sogni che fai, ma come li fai)

    On: 5 Luglio 2017
    In: istanti rubati, lettera, viaggi
    Views: 2212
     1

    Howth, IrlandaCamminare insieme a qualcuno parlando dei propri progetti mi sembra un bel modo di rinvigorire i sogni. Una specie di cura ricostituente per le proprie ambizioni.
    Non so se vi sia capitato. Essere in un bel posto, possibilmente tranquillo, ancora meglio se mai esplorato prima. Avere scarpe comode e una buona compagnia, una bottiglietta d’acqua e qualche ora a disposizione.
    L’ultima volta mi è successo a fine maggio, quando con Federico ci siamo regalati qualche giorno a Dublino. Durante quel viaggio, abbiamo dedicato una mezza giornata a Howth -una gita nella gita- un silente borgo di pescatori a ridosso delle scogliere.

    Dopo un pranzo a base di Guinness e fish and chips abbiamo preso a camminare in salita, senza meta, verso il punto più alto di quella collina, sotto il sole caldo del primo pomeriggio. Sbirciavo dentro i cortili delle case e ogni tanto mi voltavo indietro a cercare con gli occhi il mare. Ci siamo trovati in una strada in mezzo alla campagna, profumata e scoscesa.
    Parlavamo del più e del meno, di quello che avremmo voluto vedere a Dublino, del posto dove cenare, e cosa faranno i bambini, adesso, chissà se sentono la nostra mancanza. Al prossimo pub, ci fermiamo per una birra.

    Cosa vorresti, adesso, per la tua vita? Ho chiesto a Federico, come faccio spesso.
    Lui ha sospirato, abituato alle mie stramberie e a queste domande. E ha preso a dire. Camminavamo tra l’erba, a quel punto, c’era un odore buono di abeti e fieno, e, mi sembra, un coro di uccelli. Sotto di noi si apriva la tavola del mare e la distesa spianata dei desideri sbrilluccicava d’azzurro. Li avevamo davanti, giusto a un passo, ma raggiungerli non era così importante, in quel momento.
    Almeno non era importante come quello che c’era: un posto nuovo da attraversare vicini, quel buon odore nell’aria, i bambini a casa al sicuro e tutta quella strada.

    Tutta quella strada prima di arrivare al mare, così bello. Così bello visto da lì.

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  • Istanti rubati a marzo2017 (Impronte sulla neve e le distanze dell’amore)

    On: 6 Aprile 2017
    In: istanti rubati, la mia vita e io, viaggi
    Views: 2301
     1
    millegrobbe, trentino

    A marzo siamo stati in Trentino. Eravamo in una baita in mezzo alla neve e c’è stato sole, e nuvole solo ogni tanto. Tanto sole da accendere distese bianche intorno, come un mare di minuscoli specchi riflettenti.
    Abbiamo sciato, e un pomeriggio abbiamo deciso di fare una camminata con le racchette. Lì intorno ci sono pinete bellissime, e poi quella luce. Una passeggiata nel bosco era quel che ci voleva. Peccato che le racchette per i bambini al noleggio non ci fossero – forse non esistono, non so.
    Pazienza, abbiamo detto, ci si va tutti senza. Siamo partiti e proprio di fianco alla baita c’è una scuola per guidare le slitte coi cani. C’erano degli husky bellissimi, ci siamo fermati a guardali, a interrogare i padroni. E poi ci siamo avventurati. Prima la strada era piuttosto battuta e la neve soda, poi via via più soffice e si sprofondava sempre più facilmente.
    Ma c’era quel gran sole, l’ho detto, quella luce che s’infilava dappertutto – sotto la giacca, tra i rami bassi dei pini, nei pensieri. Siamo andanti avanti.

    Mi è tornato alla mente una foto che abbiamo fatto Federico e io qualche anno fa. L’abbiamo fatta col telefonino, una notte di febbraio che sulle nostre colline scendeva una neve leggera, inattesa. Avevamo deciso di uscire, lui e io. La foto è in bianco e nero, come i ricordi di quella notte: bianco della neve, nero del cielo. Abbiamo cenato in un ristorante dalle nostre parti, abbiamo bevuto vino. E poi siamo usciti a camminare perché ci sono poche cose che amo come la neve che cade di notte, come l’idea del mondo che si ferma mentre dormo (e vorrei stare sveglia) e che il mattino dopo è un’altra cosa. Non proprio: la stessa cosa, ma diversa.
    Non ricordo cosa ci siamo detti, ma ricordo le impronte che lasciavamo indietro. Se riguardassi il percorso vedrei orme vicine -quando ci siamo tenuti per mano- e segni di impronte più distanti, ma parallele – devo essermi fermata con gli occhi chiusi a sentire i fiocchi sciogliersi sulla faccia, o lui si è allontanato a frugare il buio, ad accendersi una sigaretta.
    Ho pensato che così è l’amore: camminare tenendosi a portata di braccio. Lasciare orme appaiate.

    Camminando coi bambini, quel pomeriggio di marzo, non siamo arrivati al bosco. Eravamo tutti e quattro esausti un bel pezzo prima, così siamo tornati indietro. Per fare l’ultimo tratto ci siamo divisi: i bambini hanno fatto la strada più breve e noi quella dove la neve era più compatta, per evitare di sprofondare fino all’inguine, spezzando a maleparole l’incanto di quel silenzio.
    Hanno fatto tutto il tratto tenendosi per mano, mentre noi li tenevamo d’occhio.

    Ho corretto la mia idea di amore, perlomeno quello di madre e padre: guardarli camminare a distanza, tenendosi a portata di sguardo.
    Senza lasciare impronte evidenti.

    neve in Monferrato

    In una notte di neve, noi due a lasciare impronte. Il caldo le saccheggerà alla terra, ma non potrà con la memoria.

    millegrobbe, trentino
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  • Istanti rubati ad #agosto2016

    On: 20 Settembre 2016
    In: istanti rubati, la mia vita e io, viaggi
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    Piccole DolomitiFine agosto, tempo di preparativi per una migrazione. Sono stata alcuni giorni a occhi in su, nel prato sul fianco della casa a Obra, mentre nuvole di rondini popolavano il cielo, animavano gli alberi frondosi ai margini della valle.

    Se ne stavano vicine sui fili della luce, una fila che pareva arrivare ai monti, pizzicate lì come le mollette sui fili per stendere. Era tutto un frinire per aria, una frullio d’ali, un lungo saluto prima di andare.

    “Dove vanno, mamma?”
    “Vanno al caldo, a vedere il deserto, il mare. Vanno a vedere il mondo.”

    Agosto è finito così, ma è cominciato maluccio. In mezzo ci sono stati giorni in salita, di quelli con il respiro corto di quando fai le scale dopo una malattia. Dopo, meglio. Il mio paese tra le montagne, con la mia famiglia e i miei bambini (il solo genere di cose a cui l’aggettivo possessivo si sposi benissimo). Il posto migliore in cui leccarsi le ferite, in cui riprendersi i tempi e gli spazi; il sapore della polenta e gnocchi di malga, l’odore di felci e foglie pestate, la fatica appagante di arrivare in fondo alla salita, di uscire dal bosco quando vien giorno, di ritrovare il passo e il fiato lasciati qui a ogni stagione, su questi sentieri stretti, tra questi sassi bianchi.

    Le fiabe la sera lette sui libri, la colazione al mattino in balcone, il caffè, i biscotti pucciati nel primo sole.
    E alla fine questo saluto dal cielo, questa tempesta di piume, questa baruffa in aria.

    “Mamma, ma tornano?”
    “Non lo so, se tornano. Ma se partono, da qualche parte arrivano.”
    Io ci credo, che non ci sia partenza senza approdo.
    Anche se non sappiamo dove, anche se non vediamo dove.

    E poi andremo via come fanno gli uccelli che dove vanno nessuno lo sa.
    (…) L’estate è finita l’inverno è alle porte, la morte e la vita rimangono uguali.

    Obra di VallarsaObra di VallarsaCampogrosso (Vicenza)Obra di VallarsaObra di Vallarsaago9ago10ago11Muse, TrentoObra di Vallarsa
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  • Storia di un libro che ha attraversato il mare del Nord

    On: 25 Gennaio 2016
    In: il progetto, la mia vita e io, ovunque tu sarai, viaggi
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    piken fra piemonteMi piacerebbe visitare la Norvegia. Non sono mai stata nei paesi Scandinavi e da un pezzo mi dico che dovrei.
    Però da oggi un pezzetto di me sta là, tra Oslo, i laghi pattinabili, scintillanti fiordi e distese di latifoglie. Quel pezzetto è Ovunque tu sarai, che per l’occasione diventa Piken fra Piemonte, ovvero La ragazza del Piemonte. Per noi è un titolo buffo, sì, ma evidentemente da quelle parti sarà sembrata una roba piuttosto esotica.
    Altra cosa buffa è la copertina: chi l’ha vista e mi conosce mi ha chiesto se la ragazza di spalle sono io. In effetti no, ma ci somiglio parecchio. Una copertina su misura, proprio.

     

    Ecco, oggi  un po’ di emozione c’è: è la prima volta che qualcosa che ho scritto viene pubblicato oltre i confini nazionali. Beh, a ben vedere è la seconda volta che qualcosa che ho scritto viene pubblicato. Un bel po’ di emozione, a dirla tutta, perché c’è della magia in te che resti e le tue parole che vanno, che sarebbe anche bene fare cambio o andare insieme, a un certo punto, ma adesso è bello così.

    È evidente da allora che i libri fanno mescola con la vita, firmano gemellaggi d’occasione. Si versano nell’imbuto degli occhi e si disperdono nell’ambiente di ognuno. (Erri de Luca)

    Io le ho preparato valige, alla creatura, spero di averci messo quel che serve. Le ho fatto qualche raccomandazione spolverando il frontespizio, l’ho incoraggiata arieggiando le pagine, una pacca sul dorso e via, ora tocca a lei. Mi divertirò a immaginare una donna chiara di pelle e capelli davanti alla sua casetta rossa, a strapiombo sugli scogli, sulle ginocchia le pagine che ho scritto mesi fa, nel chiuso della mia stanzetta vista Monferrato o su qualche treno per Torino.

    Un po’ di emozione c’è, ma con un innegabile vantaggio, rispetto ai giorni della pubblicazione per Giunti: se qualche critico norvegese stroncherà il mio scritto, io comunque non ci capirò una virgola.

     

    Se qualcuno invece conosce la lingua (ma anche no), può sbirciare  qui .

     

    Il Jolly è: grazie all’editore Tiden Norsk Forlag e agli impareggiabili Walkabout Literary Agency.
    E poi… God Tur, Piken fra Piemonte! (Google suggerisce che si dica così)
    pikenfrapiemonte
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  • Il Portogallo attraverso gli occhi dei miei figli – Fotoracconto

    On: 14 Dicembre 2015
    In: foto, la mia vita e io, viaggi
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    sagres, portogalloQuando si viaggia con i bambini, niente è come sembra.
    Niente è come sembra nemmeno quando si è a casa, a dire il vero, ma in viaggio si nota di più. Forse perché gli occhi loro, spalancati e spropositati come quelli dei Tarsius di notte, colgono dettagli che tu nemmeno al microscopio. E non è tanto quello che notano, ma il modo in cui lo decifrano, con un candore ineffabile e con una lucidità spietata. Vengono fuori sentenze surreali, dialoghi da sbacalire Ionesco, mezze magie che spalancano universi come scatolette di tonno Riomare.

    (altro…)

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  • Istanti rubati a #novembre2015 (speciale Portogallo)

    On: 1 Dicembre 2015
    In: foto, istanti rubati, la mia vita e io, viaggi
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    portogallo 20154 viaggiatori (22 anni l’età media), 1 volo e circa 2300 chilometri percorsi in auto, 8 diversi alloggi, 1 compleanno festeggiato durante, 3 libri appresso*: alcuni numeri del nostro giro in Portogallo di novembre.
    Giorni on the road graziati del clima, alla scoperta di un Paese che va viaggiato a passi brevi. Perché la sua bellezza è negli incavi di pietra dietro un cortile, nelle pareti di azulejos, nei filari autunnali che accendono i fianchi molli delle colline.

    portogallo 2015lisbonaportogallo 2015portogallo 2015portogallo 2015Gli ho voluto bene per le carezze sulla testa che i miei figli hanno preso a valanghe, da perfetti sconosciuti; per il proflo risoluto dei litorali inginocchiati contro la rabbia dell’Oceano che gli urla addosso.
    Per il castello che una custode ha aperto solamente per noi, per far salire i bambini sulla torre di vedetta a vedere la luce aranciata che s’appoggia ai muri di Trancoso. Per l’odore di baccalà e caffè, per la saudade che ti invita a ballare un fado e ti fa volteggiare in un tempo sospeso, in un tempo di nessuno, sul palco legnoso della tua solitudine.
    Per l’incontro con la mia cuginetta e il suo fidanzato, che non vedevo da anni 4, e che ci ha raggiunti al Miradouro de Santa Luzia, a suo agio perfetto nella nuova vita lisbonese. Per le cose riviste a distanza di anni, frammenti da ripescare uno a uno sul fondale melmoso della memoria. (altro…)

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  • Istanti rubati a #ottobre2015

    On: 5 Novembre 2015
    In: istanti rubati, la mia vita e io, viaggi
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    ottobre in campagnaOttobre in campagne esibisce l’opulenza di due tondi che sono lune piene, bastoni nudi che reggevano pomodori, una pergola azzurra sotto cui sdraiarsi per veder nevicare gli alberi.
    Ottobre in campagna è rumore di zoccoli sul battuto davanti alla stalla, fischi di corvi e tosse di bambini infagottati nelle prime giacche pesanti.
    Sono chiome d’acero esplose di rosso in un mazzo di ore, come se nella notte le avesse accese una fiamma.

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  • Ci sei dentro

    On: 27 Agosto 2015
    In: la mia vita e io, sproloqui, viaggi
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    piccole dolomitiHo visto i muscoli della montagna. Sono striature scure dove crescono alberi che ad alta quota diventano cespugli bassi, erbe e muschi.
    Ho scalato il fianco duro e verticale, oltre i suoi duemiladuecentocinquanta metri di protensione al cielo. Le ho sentito il battito del cuore, uno solo lento e lungo come il rintocco di una campana, lontana, di notte.
    Ho appoggiato l’orecchio sulla sua schiena, ad auscultarne le intenzioni, mentre cercavo l’appoggio al piede e l’appiglio alla mano.

    C’era un silenzio rotto dagli strappi amplificati dall’eco di qualche pietra che rotola per una camoscio in fuga, del sibilo della marmotta e del suono del corvo. Di scarponi che battono la terra e spostano ghiaia spessa.
    La montagna l’ho pagata, per il suo tenermi addosso, in moneta di fatica e fiato che si fa breve, come la pausa dopo il punto che non va a capo.
    Mi ha pagata lei con un senso di cuore che s’allarga e sterno che si apre, quando, alla fine di certe salite, si stendono orizzonti in dissolvenza, dopo lo strapiombo.

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