Giochiamoci il Jolly: Blog di Fioly Bocca

All’origine delle parole

On: 5 Giugno 2012
In: scienza&fantascienza
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bimbo che leggeOsservare un bambino che impara a parlare è stupefacente. L’impegno che ci mette nel cercare nella testolina proprio quella parola, il desiderio di farsi capire, il mettere insieme suoni e significati con tutta la fatica che traspare dagli occhioni concentrati: è la loro piccola grande impresa, il tributo da pagare per essere ammessi nelle conversazioni dei grandi.

Lemuele ha 18 mesi e ascoltarlo è uno spasso. Delle volte è persino impegnativo perché riesce a chiacchierare senza demordere per ore di fila, e, ovviamente, con molte ripetizioni. Però ogni giorno è un progresso e da un po’ riesce a mettere insieme nome e aggettivo. Ad esempio, quello che l’ha punto sulla gamba qualche giorno fa è un taccio bibbo [insettaccio birbo]; il sasso più ricercato in una montagna di sassi è eta ande [pietra grande]. Compone piccole frasi: Dado nanna, shh… [Eliandro fa la nanna, bisogna fare silenzio], anche se solitamente lo dice strillando (bé, non si può avere tutto).
Riesce addirittura a spiegare il passare del treno: sbaie… tan! Tu-tu… via… [le sbarre si abbassano e il treno passa]. Oppure racconta una piccola storia che abbiamo letto più volte in un libro: gli piace il pezzo in cui l’orsetto chiama forte la mamma perché ha paura della bufera di neve.
Conosce a memoria i nomi dei nostri cinque cani, quattro gatti e ventuno cavalli. E, a differenza mia, raramente sbaglia.
Poi chiaramente spesso si generano misunderstanding. Ad esempio quando mi dice totto e io lo vesto per andare di sotto in cortile e poi scopro che voleva soltanto un biscotto. O che mi informava semplicemente di aver tolto un calzetto.

Però è bellissimo vedere come si sforza per trovare le parole. L’altro giorno voleva che lo portassi in balcone ed è andato avanti un pezzo a dire dà, dà [di là], prima che gli venisse in mente la parolina magica, per far capire il concetto alla sua mamma dura di comprendonio: fuoi [fuori]: più chiaro di così! E lo hai visto proprio che dopo qualche minuto di concentrazione l’ha pronunciato tutto raggiante –come una grande vittoria– quel vocabolo che gli avrebbe aperto la porta del terrazzo.

Mi piace guardarlo sommare concetti, riflettere pensieroso sulle frasi di papà, spazientirsi quando non riusciamo a capirlo e finalmente essere tutto fiero e soddisfatto quando riesce a comunicare (e possibilmente a veder esauditi i propri desideri). Ogni tanto si blocca e lo vedi che nella sua testolina cerca di afferrare la sequenza esatta di suoni. Se li rigira in bocca e cerca la forma esatta, quella che gli permetterà di farsi intendere. Un po’ come quando io cerco di buttar lì due frasi in inglese, ma i suoi risultati fortunatamente sono di gran lunga migliori dei miei.

Poi ci sono alcune parole che utilizza a suo modo. Ad esempio, quando riesce a farmi uscire dai gangheri e si accorge di aver passato la misura, mi si avvicina sornione e mi abbraccia sussurrando mamma… taao…. Ecco, quel ciao è il suo modo di dire scusa.
Ripete qualunque cosa, a suo modo, compreso il mio complicatissimo nome che diventa Sgisgì (alla francese). E ovviamente non fa distinzione tra parole più o meno opportune, così si diverte un sacco a vedere le reazioni divertite quando ripete l’esclamazione boia che ha sentito dal nonno o il piemontesissimo bedra per indicare la pancia, come gli ha insegnato la zia. O bùgia, muoviti, come sente dire a suo papà.

Sfoglia i suoi amati bibbi [libri] e riconosce oggetti e animali, ne ripete i nomi e ne imita i versi (riproduce in modo diverso l’abbaiare di un cane piccolo da quello di uno di grossa taglia: nell’essere preciso non ha preso da sua madre). Ci sono cose che lo colpiscono particolarmente, come il rumore dell’aspirapolvere o i camion molto grossi e allora anche la mimica facciale diventa tutta un programma, roba da affabulatore provetto. Chissà, forse da grande avrebbe fatto il cantastorie, non fosse un mestiere in disuso.

A volte vorrei registrarlo per memorizzare tutte le sue buffe espressioni, per capire come funziona la sua testolina così affollata di concetti nuovi e di cose tutte da sperimentare.
Perché ogni giorno è una scoperta: per lui una briciola di mondo e per me un pezzetto del mio bambino.

Il jolly è: godersi ogni suono

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4 Responses to All’origine delle parole

  1. Elena ha detto:

    Il peio per Elettra è la mela, la fea è la canzone “Alla fiera dell’est” di Branduardi, le cocò sono le galline, la brubrumma è la macchina. ETTA è lei!!! (Attenzione a non chiamarla con un altro nome!!). ETTA è fotte (forte!!)!! ….. Fioly, prova ad immaginare un vocabolario meletta-etta!

  2. barbara ha detto:

    che bel salto indietro nel tempo che mi hai fatto fare…a quando irene aveva parole tutte sue per definire le cose e noi ci eravamo scritti un mini-dizionario per divertirci.
    Per esempio bunda era la musica e bando il formaggio!
    Ma quella che più ci divertì per l’assoluta originalità era dudù che per molto tempo ha voluto dire “nonno”, anche perchè invece nonna lo scandiva perfettamente.
    Di Lorenzo invece mi ricordo solo le urla e le cadute ma vabbè si sa che i secondi in qualche modo si devono differenziare.

    • Fioly ha detto:

      Bella l’idea del mini-dizionario, voglio farlo anche io! vocabolario meletta-italiano. Mi piace!
      (dudù… è più bello di nonno!)

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